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Economia & lavoro

Coronavirus : tra Eurobond, Mes e sovranismi

nico catalano

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di NICO CATALANO

“Un Europa lontana da essere comunità e un Italia priva di visione”


Il Coronavirus sta provocando una situazione di emergenza sanitaria mondiale accompagnata nel nostro continente dalle gravissime ripercussioni economiche e soprattutto sociali derivate dalla drastica serrata imposta alle imprese e alla produzione da tutti i governi dell’Unione Europea al fine di contenere tra le popolazioni contagi e diffusione del patogeno. Una situazione inedita per l’Unione Europea, forse l’unica e prima seria crisi che vede impegnato lo stesso Organismo Internazionale dalla sua nascita avvenuta a Roma nel 1957 passando per il trattato di Maastricht del 1992 sino ai nostri giorni. Per fronteggiare la crisi economica innescata dal diffondersi del Coronavirus, le istituzioni di Bruxelles hanno individuato misure per circa 500 miliardi di euro, anche se purtroppo secondo le stime di diversi economisti ne servirebbero almeno il doppio. Infatti proprio questo è il compito che i capi di Stato e di governo dell’UE hanno affidato all’Eurogruppo che si è riunito più volte la settimana scorsa in videoconferenza. La posta in gioco è altissima, infatti non riguarda solo la tenuta economica di ognuno dei 27 Stati membri ma addirittura il futuro politico della stessa Unione Europea a causa delle divergenze emerse tra i vari Stati sulle misure da intraprendere per contrastare la crisi. Italia, Francia, Spagna e il gruppo dei Paesi Euro Mediterranei spingono per la messa in comune del debito, attraverso l’emissione degli Eurobond da parte di un’agenzia da creare appositamente per lo scopo. Praticamente un meccanismo solidale di distribuzione del debito a livello Europeo tramite la creazione di obbligazioni del debito pubblico dei Paesi facenti parte dell’Eurozona, la cui solvibilità sarebbe garantita congiuntamente dagli stessi Stati. A questa posizione si contrappone il gruppo dei Paesi del Nord Europa con a capo Germania, Austria e Olanda che vorrebbero sia l’adozione immediata del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) ma anche di un piano economico di aiuti individuali ai singoli Stati, perché temono che con l’emissione degli Eurobond possa verificarsi la messa in comune dei debiti pregressi contratti proprio dai Paesi del sud Europa. L’Eurogruppo sembrerebbe orientato nell’adottare delle soluzioni mediate, come ridurre al minimo le condizioni per l’uso del Meccanismo Europeo di stabilità, prevedendo aiuti per coprire solo i danni economici legati al Coronavirus tramite una linea di credito di circa 240 miliardi di euro, da cui tutti gli Stati potrebbero attingere fino al due per cento del proprio Prodotto Interno Lordo(PIL). Una proposta questa, che vedrebbe anche il consiglio direttivo della Banca europea per gli investimenti (BEI) aumentare la propria capacità di intervento per sostenere interventi nell’economia reale, a favore del settore privato ma anche di regioni ed organismi pubblici. Questo orientamento dell’Eurogruppo non soddisferebbe i Paesi del Sud Europa e in primis l’Italia contraria anche ad una versione “alleggerita” del MES e sostenitrice del concetto che in questo momento tra i Paesi dell’Unione Europea deve prevalere il principio di solidarietà tramite la predisposizione di un vero e proprio piano Marshal europeo. Una posizione corretta quella intrapresa del governo Conte, in quanto l’Europa di oggi è molto lontana da una comunità vera e propria perché costruita solo sui tecnicismi finanziari e invece poco sulle reali esigenze dei popoli europei, una abiezione questa resa possibile anche grazie al contributo della classe politica italiana degli anni novanta. Risulta altrettanto vero però che le risorse europee in passato nel nostro Paese non sempre sono state spese adeguatamente e bene. Tanto per citare qualche esempio: i denari del Fondo Sociale Europeo usati da qualche sindaco per implementare sistemi di videosorveglianza anziché nella costruzione di un capillare ed efficiente sistema di Welfare, l’uso non ottimale effettuato dei fondi FESR mentre il Paese fa continuamente i conti con ponti che crollano, strade dissestate, scuole non a norma e un sistema vergognoso di trasporti pubblici sino al Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale con cui si continuano a varare strumenti programmatici in gran parte vetusti, privi di una concezione moderna del settore e utili solo a generare burocrazia, alimentare centri di potere e clientele. Alla luce di tutto ciò le garanzie rivendicate da alcuni Paesi nei nostri confronti non sembrano poi così tanto campate in aria, specie quando si chiedono a Bruxelles investimenti, aiuti e soldi senza nessuna visione strategica futura del sistema Italia. Nel formare l’attuale Unione Europa sicuramente lontana dai valori di Altiero Spinelli e sempre più minacciata nella tenuta dai vari sovranismi un ruolo chiave è stato svolto dai nostri politici, una classe dirigente quella dell’ultimo trentennio con i cui lasciti purtroppo facciamo i conti quotidianamente e che forse farebbe bene prima a riflettere sui tanti errori commessi per poi magari fare più di un passo indietro.

Fonte della foto il Messaggero

Agronomo, ricercatore ecologista, divulgatore e saggista