Cultura
Passare alla storia de relato, quando un genio s’innamora
Pirandello riteneva che il cervello fosse la parte più inutile di un essere umano, perché ne fa un disadattato nel suo rapporto con la natura. Nel regolare i nostri rapporti interpersonali facciamo appello quasi sempre all’ istinto e se la compagnia di qualcuno ci fa piacere la prediligiamo a quella di chiunque altro, anche a quella di un genio.
di Rosamaria Fumarola
Chi si sognerebbe mai di dire, o anche solo pensare che un genio assoluto della letteratura di tutti i tempi quale Jorge Luis Borges, sarebbe un noioso, uno con cui non sarebbe divertente uscire? E soprattutto chi lo farebbe dopo che lo scrittore argentino gli ha dedicato pagine entrate a buon diritto nella storia della letteratura mondiale? Nessuno… o quasi, perché una persona c’è stata ed è la donna per cui quelle parole furono scritte.
Chi legge sarà forse meravigliato, spiazzato o ancora peggio sul punto di apostrofare la signora con epiteti non eleganti, ma non sarebbe cosa più intelligente per tante ragioni, la maggior parte delle quali aventi a che fare col rapporto misterioso di distanza, che arte e vita hanno da sempre, di reciproca inaccettazione e di rifiuto di cui la realtà e la loro storia ci parlano.
Dobbiamo infatti immaginarci Borges, Pavese o Leopardi (ma la lista potrebbe essere infinita) non come autorità indiscusse per intelligenza e talento, ma come esseri umani immersi come tutti in una “orizzontale” socialità, all’interno della quale esistono norme non scritte che gli esseri umani per loro natura hanno difficoltà a non avvertire come cogenti e questo perché sono parte fondamentale della loro identità di specie. L’adesione al principio di normalità ed il confronto solo con ciò che in essa pare rientrare è per gli uomini imprescindibile, tanto che sembrerebbe loro di andare contro natura abbracciare il principio opposto se, anziché avvicinarsi a chi appare loro somigliante, si accompagnassero cioè a chi è loro lontano, diverso. Questo significherebbe infatti far proprio una sorta di norma culturale piuttosto che un imperativo dell’istinto che da sempre ci protegge proprio in quanto animali. Non a caso Pirandello riteneva che il cervello fosse la parte più inutile di un essere umano, perché ne fa un disadattato nel suo rapporto con la natura. Nel regolare i nostri rapporti interpersonali facciamo appello quasi sempre all’ istinto e se la compagnia di qualcuno ci fa piacere la prediligiamo a quella di chiunque altro, anche di un genio. Il primato culturale in questo caso rivela infatti tutti i suoi limiti, il suo essere inutile, come scriveva appunto Pirandello.
Neppure i versi più belli che siano mai stati scritti comprano l’amore dunque ed è giusto così, ma non è la stessa natura a partorire il poeta, l’artista ed il suo modo eccentrico di guardare il mondo? Ed il mondo non ha forse bisogno di quello sguardo? Sì, ha bisogno anche di quello sguardo. La sua presenza in ogni epoca della storia dell’uomo lo testimonia ampliamente, benché ciascuno periodo abbia avuto con esso un suo proprio, precipuo rapporto, modellato sulla fisionomia dei bisogni del potere. Un tempo il poeta era al servizio di un re, di un imperatore o semplicemente di un potente, che di lui aveva bisogno come strumento di propaganda. Tranne eccezioni come quelle di Saffo o di Catullo che, com’è noto, esprimono quasi esclusivamente se stessi, la gran parte degli intellettuali ed artisti lo furono grazie ad una committenza. Attualmente quel ruolo un tempo affidato ai più colti è svolto ad esempio dai mass media ed in una società strutturata su un sistema capitalistico anche il poeta che canta se stesso non è funzionale alla produzione e rivela la sua inutilità. Va peraltro aggiunto che la cultura generata da quel sistema è come logico, lo specchio dei suoi valori, che diventano dunque quelli di una società intera, anch’essa per forza di cose aliena a ciò che non è la sacralizzazione del consumo.
Pensare è inutile, le attuali società hanno bisogno di tecnici. Il lavoro intellettuale è svalutato e sottopagato. La signorina amata da Borges, qualcuno dirà che semplicemente non lo amava, come Clodia non amo` più Catullo e questo è verosimile, ma il dramma che si coglie nei versi di Catullo non è intriso della stessa solitudine e dello stesso dolore che può cogliersi in Borges o in Cesare Pavese. Il poeta non è conforme ai clichés o almeno così appare e quanto è disposto a dare è moneta che, per quanto preziosa, è fuori corso tra le maggioranze. Quanto il poeta finisce con l’eternare non trova posto nell’attualità, nonostante il suo essere vivo ed autentico. La donna amata da Borges non volle decifrare le parole del poeta, non volle far parte di quel mondo “noioso”, nella sua vita erano altre le cose importanti. Esiste infatti una componente razionale anche nella scelta di chi amare. Il poeta rimase solo con le sue parole, col suo mondo e con quello che nella donna aveva intuito. Baudelaire scrisse che molti anni dopo aver amato alla follia una giovane la incontrò casualmente in stazione. Lei era una donna come tante ormai e di lei non si sarebbe innamorato se l’avesse conosciuta così, sciatta e con prole urlante al seguito. Eppure l’amava ancora. Lei non lo aveva mai amato e non lo amo` neppure quando ne incontro` lo sguardo, era rimasta se stessa, estranea al mondo del poeta. Di lei, dei suoi pensieri nulla ci è rimasto, di quelli dello scrittore tutto. Una relazione in partenza non paritaria quella in cui qualcuno racconta qualcun altro, qualcuno che passa alla storia de relato, senza alcun merito che quello di aver fatto parlare di sé il genio.
Rosamaria Fumarola
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