Cultura
Alda Merini, l’anima di cristallo dei Navigli
di SARA D’ANGELO
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
A dieci anni dalla morte della poetessa Alda Merini numerosi sono stati gli eventi per celebrare la sua memoria. Poetessa dei Navigli, guerriera di una guerra senza tregua, prigioniera di un ingarbugliato viaggio destinazione sè stessa.
Alda Giuseppina Angela Merini nasce a Milano il primo novembre 1931. Cresciuta in una famiglia benestante, il padre era un assicuratore e la madre donna di superiore cultura, pur non avendo avuto particolare propensione allo studio. Il rapporto di Alda con il padre era speciale, esclusivo, li legava la passione per la letteratura, una comune bramosia del sapere era la forza che scuoteva l’animo di entrambi. Alda trovò nel padre il suo primo maestro, il primo regalo fu un vocabolario, strumento adeguato per far crescere il loro già solido rapporto. Il papà sera dopo sera le spiegava il significato di parole sconosciute, senza mai lesinare chiare illustrazioni alle domande di Alda, prodiga di richieste e affamata di conoscenza.
Otto anni appena compiuti, Alda era già una bambina che aveva imparato a memoria la Divina Commedia. Fragile nel corpo ma dotata di una personalità forte con dei picchi frequenti di malinconia, Alda era talmente presa dallo studio che finì per isolarsi dalle compagne e dal gioco, sfogo naturale della sua età.
Gli anni della guerra spezzarono il sereno equilibrio quotidiano in cui era consapevolmente avvolta, da bambina felice si ritrovò ad essere testimone di un terremoto che distrusse per sempre la sua già fragilità fisica e psichica, la guerra acutizzò il suo debole stato emotivo. All’età di quindici anni l’esordio dell’anoressia interruppe i giorni felici che mai più fecero ritorno.
Curata e guarita ritornò a casa .
Fu in quel periodo che incontrò Manganelli, un intellettuale sposato che diventò il suo mentore e l’affidò alle cure di Fornari, con il risultato che, roso dalla gelosia per la nuova intimità nata tra Alda e Fornari, questa parentesi fu chiusa dopo non pochi episodi di accese discussioni tra i due uomini.
Il manicomio recitò la parte di un uomo in pieno vigore in possesso di Alda, in verità il suo primo marito fu Ettore, un matrimonio durato 40 anni, di cui 10 passati in casa di cura. Madama Follia mischiava colori forti a delicate sfumature, sfavillio di luci dentro oscurità di notti maledette e maledetta schizofrenia, altalena costante della sua vita. Tutto ciò che non è espulso dal corpo in lacrime e parole trova ristoro nella follia.
La guerra fu la prova generale del manicomio, il palco a lei riservato da cui declamava la sua essenza di donna e poetessa.
Giacinto Spagnoletti poeta e critico letterario, fu colui che la introdusse nei prestigiosi salotti culturali dove incontrò i più influenti letterati e aristocratici del tempo. In questi cenacoli Alda incontrò Manganelli, Spagnoletti, Turoldo, Quasimodo. Con quest’ultimo, divenuto suo maestro, ebbe una breve storia d’amore confusa e breve, a causa delle numerose donne del poeta.
“Uomo sapiente, vaso di argilla
e d’oro, che all’interno avevi il confetto
del sentimento tuo siciliano,
uno scrigno di indomita dovizia
una patriarca senza mai l’amore
dei figli.”
Un’amicizia dapprima esclusivamente poetica sfociò presto in una passione . Michele Pierri, chirurgo e poeta, fondatore dell’Accademia salentina, amico di Ungaretti e Quasimodo. Il loro fu un un amore tardivo ma dal comportamento adolescenziale. C’era sempre una poesia e un bocciolo di rosa ad accompagnare il caffè del mattino di Alda.
L’eterno marito Ettore, sconfitto dalla malattia, in punto di morte gli disse : “Le affido mia moglie, ne abbia cura e le faccia da padre”. Alda diventò la signora Pierri ma la vita coniugale a Taranto durò appena quattro anni, l’ombra quotidianamente presente della prima moglie di Pierri e la nostalgia di Milano la costrinsero ad abbandonare città e marito. I cognomi che via via si aggiungevano alla sua carta d’identità furono lo sgabello da cui prendere la rincorsa e farla ricadere tra le braccia di Madama Follia.
La sua Milano, i Navigli e le persecuzioni mentali…uomini, donne, incubi e sogni affollavano il suo inconscio in ginocchio, schiacciato da scampoli di coscienza.
L’incontro con Titano fu una figura massiccia per la sua mente debole in costante caduta libera. Titano, un barbone o un clochard, di Milano o di Parigi chissà, visse con Alda un tempo di libertà e amore. Lei lo curò come un figlio, lo plasmò come una creatura concepita di donna soltanto. Un frutto suo e di nessun altro. La solitudine è un mostro assillante, pur di sfuggirlo ci si avvinghia a braccia strane ed estranee.
Solo la notte le dava tregua, pausa di tutto l’orrore di vivere. La perdita di Titano fu una dipendenza arrivata a improvvisare un giorno e interrotta in un momento, perché Alda era questo, un’anima a singhiozzo, dipendente dal manicomio come dalla vita.
Le foglie che si svelano nel vento
sono la carta di trecento libri
che non ho mai letto.
Guardo il tuo bel viso
e trovo che la zona delle labbra
è erotica sì, quasi bambina,
e si piega nei lati con dolore
come se tu volessi una mia nota.
Ti accarezzo nel tempo e nella notte
ma se mi contraddici
io chiamo in fretta il mio carabiniere
che è sempre e solo la mia poesia.
Il delirio amoroso è una frettolosa esigenza fisica più che conseguenza di una scrittura disciplinata. Pur di amare ed essere amata dal mondo e dagli uomini accetta il dono maldestro ricevuto da Dio, una mente con i tacchi a spillo, assoggettata a perdere senza preavviso l’equilibrio precario. Che sia pure lava incandescente il suo destino terreno, il disordine è stato il bagaglio per il suo viaggio interiore, senza di esso il mondo avrebbe ricevuto versi schierati in fila indiana come binari tracciati. Senza l’accento vivo delle pericolose curve mentali, i Navigli oggi non sarebbero orfani di una Poetessa.
“Ma sapete cos’è la follia? Per me è stato un grande, inconfessabile languore amoroso. Un languore talmente doloroso e spastico da somigliare alle doglie doloranti del parto.”
Amare e perdere furono i due suoi veri nemici, input dei suoi innumerevoli crolli psichici. Ricordare non fu mai un’attività piacevole per lei, la memoria era veleno puro, per tutta la vita quel veleno le era stato servito a piccole dosi dagli uomini a cui si era data, a cui aveva molto dato.
L’appello alla morte era sempre più urgente, ma la signora vestita di nero rimandava sempre l’appuntamento invocato da Alda.
“Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra”.
Perché odiare la morte se è disegno di Dio? La fede cristiana è la custode del grande amore di Dio alla cui mensa ci si siede a testa china in attesa della superiore volontà.
Cosa potrà mai essere una carne lacerata al cospetto dell’anima dolente?
La paura ossessiva dell’eternità. Quando non ci sarà più l’altalena dei dolori e delle felicità ma solo un ristagno di tempo appassito, a cosa varrà vivere quell’imitazione di vita?
“Che cosa mi manca? Mi mancherebbe tanto di morire, perché io l’inferno della vita me lo sono goduto tutto.”
Alda scrive del suo manicomio, una prigione non solo sua, ma cella angusta di tante donne stanche, fragili, abbandonate. Il manicomio, punizione di chi e per quale errore? Sbarre e divieti ad ogni costo, l’odore pungente dell’inchiostro diventa nauseabondo quando è monopolio di respiri sensibili. È appetito carnale il corpo di una donna, è scorta di libertà il suo cervello ordinato o capovolto. Libertà da rinchiudere, libertà da sopprimere.
Alda poetessa non di terra ma di cielo è una missiva instancabile senza freni, direzione destinatari celesti. I suoi versi sono figli di donna partoriti dal dolore di vivere e la gioia di esistere. Alda canta la bellezza e canta l’orrore . Sa che il poeta non è un mucchio di ossa rotte dalla vita e ammucchiate in un angolo, il poeta è scossa di terremoto, è lava di vulcano, è grido di sè.