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Cronaca

Il colonnello, le tarantelle e il dovere di farsi pappice

il cammino verso la verità è sempre un cammino collettivo

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Credit foto www.larampa.news

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

“Dicette ‘o pappice vicino ‘a noce, damme ‘o tiempo ca te spertose”. La saggezza partenopea che ci ricorda come tempo e perseveranza rendono possibili anche le imprese più ardue.

Saggezza popolare che trova piena applicazione nelle vicende giudiziarie. Come stanno sperimentando il colonnello Fabio Cagnazzo e la sua famiglia.

Nel loro caso la noce è rappresentata dall’accusa di aver pianificato e coperto l’omicidio del sindaco Angelo Vassallo. Accusa che ha portato alla custodia cautelare che dura da oltre cinque mesi.

Ponderosa l’ordinanza che ha portato all’arresto. Tanto da sembrare una noce dal guscio troppo spesso.

In realtà non è così come abbiamo raccontato e continueremo a raccontare sia noi https://ilsud-est.it/attualita/inchiesta/2025/02/10/fabio-cagnazzo-quei-ventitre-minuti-di-troppo/ che le giornaliste Mary Liguori e Manuela Galletta https://www.giustizianews24.it/2024/11/24/omicidio-vassallo-e-lora-del-riesame-le-opacita-nel-racconto-del-pentito-i-tanti-ho-dedotto-e-la-prova-regina-che-non-ce/ .

Soprattutto lo ha indicato la recentissima sentenza della Cassazione che ha annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame ordinando un nuovo esame. Accogliendo le richieste degli avvocati difensori.

Bisognerà attendere le motivazioni della Suprema Corte. Possiamo, però, fare delle considerazioni preliminari.

Essendo Corte di legittimità e non di merito è probabile che la Cassazione abbia ritenuto carenti le motivazione del Riesame che confermavano l’impianto accusatorio. Forse carenti e superficiali nella valutazione degli elementi portati dagli avvocati difensori.

Questa è una criticità che, non sempre ma con frequenza, si presenta soprattutto nella fase delle indagini e delle misure cautelari. Un quasi effetto fotocopia dove i provvedimenti, a volte, vengono confermati senza un contraddittorio più approfondito.

Situazione poi sanata dalla Cassazione. Non sempre.

Un primo passo è comunque stato fatto. Però Fabio Cagnazzo, ad oggi, resta in carcere. Diventa sempre più incomprensibile il perché di questa misura cautelare.

Comunque i primi dubbi sull’impianto accusatorio sono stati formalizzati.

Un movente evanescente perché basato su dichiarazioni di pentiti non riscontrate. Una dinamica ricostruita sulle dichiarazioni dei pentiti. Non riscontrate.

Quando parliamo di un contributo dichiarativo la valutazione di affidabilità è sia intrinseca che estrinseca.

Il giudizio di attendibilità intrinseca si basa sul giudizio delle caratteristiche della narrazione.

Nel caso delle accuse al colonnello Cagnazzo la narrazione dei pentiti non è esente da dubbi, lacune e contraddizioni. Oltre ad essere spesso basata sul sentito dire. Scarsa, molto, l’attendibilità dimostrata dagli stessi pentiti in altre vicende.

L’attendibilità estrinseca si basa su conferme esterne che ne supportano l’accuratezza. Nel caso di specie non sembrano esserci conferme esterne riguardo la presenza del traffico di droga, del presunto ruolo del colonnello Cagnazzo. Non ci sono conferme di eventuali depistaggi. Anzi.

Le uniche conferme sono le dichiarazioni di altri pentiti ma sempre per sentito dire.

Sui criteri di valutazione dei pentiti esiste una pietra miliare spesso dimenticata. Le motivazioni della Corte d’assise d’appello di Napoli che il 15 settembre 1986 assolveva Enzo Tortora dalle accuse che appunto solo sulle dichiarazioni dei pentiti trovavano fragile fondamento. Giusto citarne alcuni stralci tratti da questa interessante analisi https://rivistacriticadeldiritto.it/?p=692 :

”Ciascuno infatti è stato stimolato ad operare le chiamate di correo o perché doveva sottrarsi a determinati pericoli che incombevano sulla sua vita nell’inferno delle carceri …oppure perché era fiducioso in trattamenti eccezionali sia nell’ambito del processo, sia nel corso della detenzione ….oppure perché intendeva consumare le sue vendette per motivi suoi particolari, come si vedrà per Pandico contro Tortora…oppure per altri motivi particolari, comunque estranei alla pura volontà di contribuire alla ricerca della verità”.

“Perciò man mano che si andava avanti nel processo rinfoltiva la schiera dei collaboratori della giustizia … nella speranza di abbandonare la struttura carceraria e di ottenere futuri benefici, anche al di fuori dei reati confessati con la chiamata di correo, come si vedrà a proposito di Villa e Melluso. Significativi al riguardo sono l’espressione di Villa, secondo cui da tutti ormai ad un certo punto si sapeva che a Napoli ‘si facevano le tarantelle’, ed il tentativo dell’ultima arrivata, Francesca P. che , ritenendo che le “tarantelle” fossero ancora in atto, si presentò alla Corte di appello, detenuta già da sei anni”, pretendendo di far credere alla Corte che – nel mese in cui era stata nel carcere femminile di Campobasso, contiguo a quello maschile – aveva appreso grazie alle grida, percepite attraverso i finestroni, del detenuto Mangiapia, fatti di camorra oggetto delle imputazioni.”

Il forte e odierno sospetto è che anche nel caso del colonnello Cagnazzo ci sia la tentazione di “fare le tarantelle”.

L’attendibilità di un pentito deve essere vagliata con rigore ancora maggiore, e questo potrebbe sottolinearlo anche la Cassazione nelle motivazioni, quando le accuse sono rivolte ad un ufficiale dei carabinieri che annovera molti nemici nella malavita. E probabilmente non solo in quell’ambiente.

Oltre all’attendibilità dei pentiti, ci sono poi aspetti da approfondire come le piste alternative e la genesi delle “accuse” mediatiche al colonnello Cagnazzo. Aspetti che cercheremo di approfondire con la massima cura ed incisività.

Fabio Cagnazzo è sostenuto da una famiglia forte ed esemplare, dagli amici. Quelli veri e non di circostanza. Ha ottimi legali.

A questo deve aggiungersi, per dovere civico e dovere d’informazione, il nostro farsi pappice. Perché il cammino verso la verità è sempre un cammino collettivo.

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