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Cronaca

Nicola Teofilo, giornalista pugliese racconta queste ore difficili di emergenza

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di MARIA DEL ROSSO

Nicola, giornalista polignanese ci racconta la sua esperienza in qualità di esperto dell’ informazione  e la sua scelta di restare al Nord in questi giorni difficili di emergenza del coronavirus.


È giornalista praticante per “Futura News”, la testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino e ha lavorato come stagista per Sky Tg 24 dal settembre al novembre 2019.

Sin da piccolo ha amato accompagnare il caffè con il fruscio della carta dei giornali e sognava di poter leggere la propria firma stampata su qualche quotidiano nazionale o di fare l’ inviato televisivo di guerra.

La carriera giornalistica di Nicola Teofilo debutta nel 2008 con la nascita e  la direzione della testata giornalistica on line “La voce del Paese”, un network di paesi della provincia di Bari, dove per la prima volta si affacciava l’ informazione web partecipata.

Nicola e il suo socio hanno sperimentato le prime dirette web, seguito gli spogli elettorali, organizzato tribune politiche in streaming, quando sui siti nazionali e su facebook non erano ancora previste. Il loro talento è nell’ aver raccontato il territorio e approfondito alcuni argomenti importanti mediante inchieste giornalistiche come l’ inchiesta sulla discarica dei rifiuti di Conversano e sulla gestione malavitosa della stessa, è ancora oggi oggetto di processo penale.

Oltre al giornalismo, Nicola coltiva la sua passione per la fotografia e ha realizzato diversi documentari e reportage videografici. Di recente, si è occupato dei senzatetto, dei migranti nel torinese e degli artisti di strada a Milano.

È un giornalista umile, preparato, determinato, sognatore, innamorato della sua immensa passione per il giornalismo che lo ha portato a studiare e a crescere professionalmente fuori dalla terra natale con l’ augurio che un giorno possa tornare nella sua Polignano con la valigia ricca di sogni e di speranze proprio come ci insegna il conterraneo Domenico Modugno.       

Nicola, come stai affrontando l’emergenza coronavirus in qualità di giornalista? Quali paure emergono con l’aumento dei contagi in queste ore?

“In qualità di giornalista sono molto impegnato col mio praticantato al Master “Giorgio Bocca” di Torino. Ringrazio i miei cari colleghi e amici che non mi fanno sentire solo: i due Riccardo,  la conterranea Francesca, Adriana, Nadia, Vincenzo. Giovani con tanti sogni e grandi qualità umane e professionali. Sono il più anziano ma da loro imparo ogni giorno. Ringrazio i tutor e chi dirige la nostra squadra impegnata sul fronte dell’emergenza sanitaria. Produciamo regolarmente giornali radio, telegiornali e pdf. Seguiamo lezioni a distanza, dal computer. Su www.futura.news pubblichiamo articoli e approfondimenti sulla situazione nel Nord Italia, dando voce a esperti dei vari settori.

Qui in Piemonte i contagi triplicano ogni giorno che passa. I decessi sono aumentati. Il governatore Cirio ha chiesto misure più stringenti prima ancora che il governo Conte le varasse. Sabato è arrivato l’Esercito in strada nel quartiere Barriera di Milano. Il capoluogo piemontese è una città invisibile e militarizzata. Ora la vicina Lombardia fa davvero paura”.

Durante l’emergenza nazionale hai deciso di non tornare nella tua terra Natale in Puglia, a Polignano. Cosa ti ha spinto a restare nel Nord Italia e quali preoccupazioni e timori hai per il Sud?

“Il dovere mi chiama. Il Nord mi ha offerto questa opportunità di studio-lavoro e in questo momento ha bisogno di me. Amo il mio lavoro, stare in trincea e raccontare quello che accade. Mi sentirei di morire se stessi giù chiuso in casa in quarantena. Come disse un filosofo: darei la vita per non morire. Il giornalismo è la mia ragione di vita.

Seguo con apprensione quanto sta accadendo al Sud e molti parlano di un picco dei contagi che deve ancora arrivare. Io penso che la Puglia potrebbe ancora salvarsi, lì non ci sono stati focolai prima che Roma approvasse le misure restrittive. Diversamente, il sistema sanitario meridionale, dissanguato dalla corruzione e dai pesanti tagli degli anni passati, collasserebbe. Non ci voglio nemmeno pensare.

Mi feriscono i commenti sprezzanti contro i migranti di ritorno, contro chi ha scelto invece di fuggire dal Nord per rientrare a casa in Puglia. Ogni storia è personale e differente dalle altre. Non voglio giudicarli. Tra l’altro hanno potuto farlo e ci sono chiare responsabilità politiche in tutto questo. E poi “giudicare i difetti degli altri deriva spesso dal bisogno di assolvere i propri”. Questa gogna a me non piace. È un clima terrificante, da guerra civile. Questa non è la mia Puglia. Invito tutti a restare umani”.

Cosa ti manca del tuo paese natale?

“Mi mancano la famiglia, Ezia, Piero, Mauro. Ma soprattutto mi manca la capacità di        sognare che solo in quei luoghi meravigliosi potevo permettermi. Coltivavo i sogni con il mio caro amico Fabrizio, il socio del giornale. Avevamo progetti di vita, eravamo spregiudicati e idealisti. Forse eravamo più giovani e felici. Oggi vivo un po’ di rancori. Lo so, è brutto, ma mi sono sentito abbandonato. Adesso mi sento come se non appartenessi più a nessun luogo. Un nomade alla ricerca di un’isola che forse non c’è”.

In questo periodo di quarantena molte persone non hanno un alloggio o vivono in solitudine. Basti pensare ai senzatetto, ai poveri, agli anziani soli. Al riguardo, quanto la politica e la società possano soddisfare le esigenze e garantire la dignità ad ogni essere umano?

“Qui a Torino ci sono molte associazioni di volontariato laiche e religiose. I volontari sono l’altra faccia di un’Italia bella, onesta e pulita. Le istituzioni locali fanno rete con queste realtà del Terzo Settore. C’è chi dona il proprio tempo in modo incondizionato. Ho raccontato le storie dei senzatetto, delle volontarie che realizzano mascherine in casa; mi ricordano un po’ le nostre vecchie nonne e zie che ricamano e soffrono in silenzio per i propri figli. La politica e la società sono richiamate alla responsabilità e al bene collettivo. L’operatrice di un dormitorio torinese per senza dimora mi ha detto che “ci sono momenti in cui ti puoi girar dall’altra parte, oggi non è più possibile. Se vuoi salvarti tu, devi salvare anche chi ti sta vicino”. Stiamo riscoprendo l’essenza del tempo e delle relazioni umane. Qui al Nord stiamo imparando che le tante vittime del Coronavirus non sono anziani e soggetti dalla salute precaria. Ma sono Persone. Troppe anime che stanno morendo senza un dignitoso funerale, senza l’abbraccio dei cari”.

Recentemente Dubai, Albania, Gerusalemme, Sarajevo, Palestina, Betlemme hanno mostrato solidarietà al popolo italiano nell’indifferenza dell’Europa. Sta svanendo il sogno europeo per molti italiani. Al riguardo, il vescovo pugliese, don Tonino Bello negli anni ’90 aveva già profetizzato i nostri anni bui. “Verranno tempi duri per la nostra vita nazionale. Verranno tempi duri nel momento in cui stiamo preparando a vivere l’esperienza nella casa comune della nuova Europa che a me si presenta anche con tristi presagi perché ha più il sapore di una convivenza economica, di una cassa comune che di una casa comune. Sembra più l’Europa dei mercanti che l’Europa dei fratelli. Verranno tempi difficili, ma noi li dobbiamo affrontare con grande speranza”.     L’Europa di oggi di cosa ha bisogno per creare la casa comune?

“Mi viene in mente una canzone: l’Europa procede come un treno in mezzo a un temporale. Un caos calmo. Io però sono di parte, un fiero europeista cresciuto con il sogno di Altiero Spinelli. O ripiombiamo nell’incubo di essere nazioni egoiste sotto le spinte sovraniste o diventiamo gli Stati Uniti d’Europa, una grande potenza civile come la intendeva il mio professore di Università, una federazione che investe sempre meno nelle armi e si impone come attore di pace nel mondo. Occorre però ridisegnare un welfare adatto ai nostri tempi. Sciogliere i legacci della burocrazia. In futuro dobbiamo dotarci di una Costituzione europea, un progetto fallito nel recente passato. Qualche segnale positivo è arrivato giorni fa quando l’Unione Europea ha deciso di sospendere il Patto di Stabilità. Fatta l’Europa bisogna fare gli europei”.

Una canzone che vorresti dedicare al nostro Paese.

“I brani di Domenico Modugno sono state le colonne sonore dell’Italia del boom economico nel dopoguerra. Con la sua originale apertura alare, dal palco di Sanremo faceva “Volare” i sogni e le speranze di tutti gli italiani. Modugno è polignanese come me, un migrante che ha sofferto tanto ed è riuscito a imporre la sua diversità nella mediocrità del mondo. Al nostro Bel Paese dedico la canzone che ancora verrà, quando ci sarà la rinascita per tutti”.

La foto è di Nicola Teofilo.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo