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I giovani possono fidarsi dell’UE?

Ogni tanto l’Europa si ricorda di esistere. Siccome non capita spesso, quando accade è sempre molto commovente. La Commissione Europea ha indirizzato a tutti gli Stati membri una lettera in cui sollecita la necessità di un “obbligo di retribuzione per stagisti e tirocinanti”. L’idea è quindi quella di abolire “una forma di sfruttamento” giovanile giustificato con la scusa dell’esperienza. Nel concreto, l’obiettivo è garantire un compenso in grado di coprire almeno le spese per i trasporti, il cibo, l’alloggio. Non è molto, però l’intenzione di affrontare il problema c’è.

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di Alessandro Andrea Argeri

Ogni tanto l’Europa si ricorda di esistere. Siccome non capita spesso, quando accade è sempre molto commovente. La Commissione Europea ha indirizzato a tutti gli Stati membri una lettera in cui sollecita la necessità di un “obbligo di retribuzione per stagisti e tirocinanti”. L’idea è quindi quella di abolire “una forma di sfruttamento” giovanile giustificato con la scusa dell’esperienza. Nel concreto, l’obiettivo è garantire un compenso in grado di coprire almeno le spese per i trasporti, il cibo, l’alloggio. Non è molto, però l’intenzione di affrontare il problema c’è.

La prima domanda è quanto tempo ci vorrà perché arrivi la proposta di legge. Considerato come già il 14 giugno dello scorso anno, a seguito di una risoluzione in cui venivano chieste nuove regole anti-sfruttamento in tutta l’Unione, il Parlamento europeo aveva presentato una direttiva per abrogare definitivamente gli stage non pagati, la legge effettiva potrebbe arrivare in tempi molto lunghi. Inoltre quest’anno ci saranno sia le nuove elezioni sia i cambi di vertici della Commissione. A questo si aggiunge un consueto iter di approvazione niente affatto rapido siccome ogni provvedimento europeo deve passare prima dal Parlamento, poi dal Consiglio Ue. Dunque potrebbero passare diversi mesi prima di vedere un risultato concreto o, peggio, non ci sarebbe da stupirsi se la proposta venisse usata ora per la propaganda elettorale per poi cadere nel dimenticatoio una volta passate le urne. Ad ogni modo, qualora la proposta fosse approvata, quanti Paesi si adeguerebbero alla normativa?

Altra incognita è l’ammontare della retribuzione minima per uno stage: probabilmente bisognerà modularla in base alla qualità della vita di ogni Paese membro. In Italia le linee guida sono stabilite dalla Riforma Fornero del 2013, secondo la quale il rimborso minimo non può essere inferiore ai 300euro al mese. Questa, tuttavia, è una soglia base poiché le singole regioni possono variare l’importo. Al momento, alcune zone d’Italia come Abruzzo o Piemonte offrono 600 euro mensili, la regione Lazio ha stabilito un’indennità minima di 800euro, mentre altri come la Sicilia sono ferme a 300. Non esistono invece quote minime obbligatorie per chi svolge un tirocinio curriculare, cioè obbligatorio nel piano di studi.

Una certezza è invece l’importanza degli stage come esperienza formativa nel percorso professionale dei più giovani, pertanto bisogna garantire la possibilità di svolgerli dignitosamente in quanto nel 2024 è inaccettabile lavorare gratis con la scusa della “gavetta”. Invece oggi il sistema degli stage gratuiti o a basso costo è usato da molti datori di lavoro per ottenere lavoratori, talvolta giovani professionisti, senza costi aggiuntivi. Qual è allora la differenza con l’antica servitù della gleba? Nessuna. Può chiamarsi “stage”, “tirocinio”, “formazione”, se è lavoro deve essere comunque pagato altrimenti è sfruttamento. Ogni obiezione in merito è solo retorica di chi non può permettersi di pagare perché non è in grado di gestire la propria attività. Ora finalmente l’Ue ha proposto lo stop allo sfruttamento giovanile, ma andrà fino in fondo? Speriamo di sì, in gioco c’è la fiducia delle nuove generazioni nelle istituzioni, le quali devono essere come Dio nel mondo: sempre presente ma mai visibile.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).