Attualità
Il bisogno di avere un nemico
Avere un nemico contro cui combattere è necessario, sia per la società sia per il singolo essere umano, in ogni periodo storico infatti l’uomo ha creato avversari contro cui schierarsi, per giustificare un periodo di crisi, o semplicemente per tenere in piedi l’ordine sociale. Esploriamo il concetto in questo articolo, ispirato al saggio di Umberto Eco “Costruire il Nemico”.
di Alessandro Andrea Argeri
La storia insegna: avere qualcuno da combattere è vitale, se non perfino cruciale. Il bisogno di avere un nemico, pubblico o privato, contro cui confrontarsi è necessario, fondamentale, insito nella natura umana, bisognosa di misurare il proprio sistema di valori, con l’obiettivo di affermarlo su quello di qualcun altro. Molte volte si creano nemici proprio perché non se ne hanno, pertanto, quando l’avversario non ci sia, occorre costruirlo.
L’invenzione di un nemico è una costante storica, forse anche per questo si tende a ridurre semplicisticamente la narrazione degli eventi nella guerra romanzesca dei “buoni contro i cattivi”, dove i primi risultano essere sempre i vincitori, ovvero chi a posteriori ha il privilegio di raccontare la storia, mentre i secondi sono gli sconfitti destinati ad essere i futuri soggetti delle distopie letterarie. L’attualità dei nostri tempi ha visto l’aumento consistente dell’aggressività, della rabbia sociale, dell’odio, declinato nelle sue varie forme: dalle più “tradizionali” quali razzismo, omofobia, xenofobia, misoginia, antisemitismo, al recentissimo disprezzo della maggioranza, la quale si tramuta nella nuova minoranza, sebbene rimanga numericamente superiore, a seguito del ribaltarsi delle prospettive.
Volto truce, corpo grosso, muscoloso, dalle dimensioni esageratamente imponenti rispetto alla media, oppure basso, tarchiato, grasso, dai tratti scimmieschi, primitivi, rozzi. Si tratti di uno straniero, di un ebreo, di un occidentale in oriente, di un orientale in occidente, di una donna, di un uomo, di un omosessuale, insomma, di un qualsiasi individuo immerso in un ambiente come fosse un “pesce fuor d’acqua”, nella cultura generale il nemico è brutto, perché “il bello non può essere cattivo”, dopotutto per l’inconscio l’estetica non mente, non a caso è stata inventata la “fisiognomica”, attraverso la quale in epoca medievale si decidevano addirittura le sorti dei processi.
In mille anni di epoca romana il ruolo del cattivo è stato giocato prima dagli etruschi, subito dopo dai cartaginesi, si ricordi il famoso “Cartago delenda est”, poi quando erano finiti gli stranieri si è passati ai nemici interni, ovvero gli stessi romani fautori delle guerre civili. Durante i periodi di relativa stabilità politica, l’odio popolare ha oscillato in varie occasioni dai cristiani, quando la maggioranza religiosa era pagana, agli ebrei decritti da Tacito come “strani, perché profano è per loro tutto quello che è sacro per noi e quanto è per noi impuro per loro è lecito”. Infine sono stati individuati i “barbari”, ovvero le popolazioni al di là dei confini, quindi nuovamente gli stranieri.
Nel medioevo invece l’odio è stato canalizzato prima verso gli infedeli, poi nei confronti di donne appartenenti ai ceti meno abbienti, talvolta anche affette da scabbia o malattie i cui sintomi si manifestano sulla pelle, così sono nate le streghe: corpi femminili diversi dalle tradizionali “donne angelicate” narrate nei canzonieri, accusate di intrattenere rapporti col diavolo.
Si potrebbe continuare a risalire i secoli fino ai giorni nostri, specialmente all”ultimo cinquantennio. Se tracciassimo un profilo approssimativo dei “nemici principali ingiustificati”, noteremmo come quest’ultimi sono stati inizialmente gli omosessuali, accusati negli anni ’80, da una società fortemente patriarcale rispetto ad ora, di “trasmettere l’HIV tramite la sodomia”, barbaramente scherniti per “aver commesso il crimine di essere sé stessi”, fino a pochi anni fa si poteva essere offesi per aver indossato pantaloni rosa, quando il colore non era ancora diventato di moda.
In tempi di pandemia si è cercato di delineare il profilo dell’untore, da lì una minoranza “no-vax”, poi i “no green pass”, poi gli stessi vaccinati, i virologi in televisione, la donna giustamente pronta a lottare per la propria emancipazione, vedasi le recenti indecenti polemiche sulle calze a rete della cantante Emma a Sanremo, per concludere con “il maschio cis etero bianco occidentale”, nel caso della petizione in difesa della lingua lanciata nelle ultime settimane da intellettuali tutt’altro contro la libertà d’espressione. In ogni caso, individuare il nemico contro cui canalizzare l’odio popolare è fondamentale per tenere in piedi le stesse fondamenta della società. L’aveva capito bene questo Governo, così come lo teneva bene a mente il precedente quando chiudevamo i porti, mentre additavamo a causa dei nostri mali poveri disperati in fuga dalla guerra, per distogliere l’attenzione da decenni di dannosa politica finalizzata esclusivamente agli interessi della casta.
Se si confrontano i documenti storici, si noterà un elemento comune in ogni descrizione generale del mostro-nemico: sono tutte uguali. Per spiegarlo meglio, basti pensare alla raffigurazione del diavolo, un essere da noi immaginato con corna imponenti, denti vistosi simili a zanne, un volto rugoso o comunque deformato, orecchie grandi, occhi scuri capaci di incutere timore. Nella foto qui accanto è raffigurata una maschera di cresta creata dalla società Ngbe, una tribù segreta di guerrieri tra gli Ejagham del fiume Cross.
La testa in legno è ricoperta di pelle di animale, la quale poggia su una base di fibre intrecciate utilizzate da collegamento con il costume. Il viso ovale realistico è di colore chiaro, con labbra e sopracciglia rosse. La bocca è aperta per mostrare i denti. In alto due corna tinte di nero. Usata per spaventare i nemici, la maschera viene interpretata come una forma di appropriazione del potere dei morti. Possiamo quindi finalmente constatare, o per meglio dire confermare, un’antica verità: il nemico lo creiamo noi in quanto società, perché è nella nostra testa.
Alessandro Andrea Argeri.
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