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Referendum cannabis, il proibizionismo ha fallito

È giusto legalizzare le droghe leggere?

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L’approccio dello Stato con le droghe è sempre stato molto controverso, tuttavia nelle ultime settimane è stato presentato in cassazione un quesito referendario per depenalizzare l’uso della cannabis, mentre parallelamente è stato adottato come testo base alla commissione giustizia un disegno di legge per la legalizzazione della cannabis. Non solo il referendum, capace di raggiungere 400.000 firme in meno di quattro giorni, ma anche i dati attuali, mostrano come il proibizionismo ha fallito.

Parlamento italiano. Credit foto Flikr, licenza CC BY-ND 2.0.

di Alessandro Andrea Argeri

L’Italia ha le leggi più severe d’Europa in merito ai reati legati al consumo di droghe considerate “leggere”. Attualmente infatti nel belpaese delle contraddizioni usare sostanze stupefacenti è assolutamente illegale, a meno dei comuni alcol o sigarette. Tuttavia se le droghe considerate leggere sono detenute esclusivamente per uso personale, esse sono considerate “illeciti amministrativi”, sebbene siano comunque illegali.

A tal proposito la polizia è in grado di capire se la cannabis è per uso personale attraverso una tabella in cui sono indicate tutte quante le droghe. Ovviamente le leggere sono distinte dalle pesanti, con annesse quantità tollerabili di principio attivo. In caso contrario si viene condannati secondo il comma 1 art.73 DPR 309, 1990, per il quale: “chiunque coltiva, produce, estrare, vende e passa sostanze stupefacenti, è punito con la reclusione dai sei ai venti anni di carcere con la multa da euro 26.000 a euro 260.000.” Nel particolare illecito della cannabis si ottengono dai due ai sei anni, mentre se la pena è di piccola entità si va dai due mesi ai quattro anni. Per questo motivo circa il 35% della popolazione italiana è in carcere per droga.

Per quanto riguarda la cannabis legalizzata, le uniche coltivazioni commerciabili sono le “cannabis light”, ovvero con THC inferiore allo 0.6%, capaci solo di procurare un generico relax, prescritte quasi solo esclusivamente per scopi terapeutici. Questo consente ai giudici di stabilire condanne in base al “ragionevole” contesto.

Per cercare non solo di semplificare le leggi per risolvere le controversie giuridiche, ma anche di colpire violentemente la criminalità in favore di una vendita controllata, quindi più sicura, in Italia ci sono due grandi progetti. Il primo è un DDL per la legalizzazione della cannabis partito su iniziativa del Movimento Cinque Stelle e Lega, quest’ultima tuttavia ha tolto il supporto per poi votare contro assieme a Fratelli D’Italia, con astensione di Italia Viva. Il testo base, composto in cinque punti, propone di modificare il decreto 309, 1990 sopra citato, a cui innanzitutto sarebbe aggiunto il comma 1-bis, per il quale sarebbe consentita la coltivazione in casa per uso personale di massimo quattro piantine femmine. In tal modo l’uso personale non sarebbe nemmeno più un illecito, così come la coltivazione.

Il secondo punto riguarda l’articolo73 relativo alle condanne. La proposta di legge prevede l’esclusione dalle pene per coloro i quali riguardano l’articolo 1-bis, mentre viene inasprita la pena, da due a dieci anni, sia per chi coltiva illegalmente per vendere sia per chi detiene cannabis illegale. In pratica la cannabis non diventerebbe più un illecito amministrativo, ma se trovata illegalmente la reazione dello Stato diventerebbe ancora più violenta di quella attuale. Infine verrebbe aggiunto l’articolo 73-bis, per il quale se le droghe possedute sono di leve entità, la pena è di massimo a due anni. Qualora la sentenza fosse ricevuta da un tossicodipendente certificato da una struttura sanitaria, quest’ultimo potrebbe richiedere le apposite misure alternative quali: servizi sociali, centri di recupero, domiciliari. Ancora, sarebbe inasprita la pena per il reato di spaccio ai minorenni, attraverso cui avviene maggiormente la diffusione di droga, così da distruggerebbe un mercato dichiaratamente illegale.

Veniamo allora al secondo progetto: il referendum, capace di raggiungere in appena quattro giorni quota 400.000 adesioni. Tuttavia qualora non si raggiungessero entro fine settembre le 500.000 firme necessarie per portare la causa in parlamento, bisognerebbe ricominciare la petizione nel 2024, siccome non è possibile indire quesiti referendari l’anno prima delle elezioni politiche. Ad ogni modo, nel referendum è prevista l’abrogazione totale del decreto 309, 1990, assieme alle parole “coltiva” dell’art. 73 comma 1, “reclusione da due a sei anni” dell’art. 73 comma 4, più l’art. 75 il qual prevede il ritiro della patente qualora si venga scoperti con a bordo sostanze stupefacenti classificate come droghe leggere.

Rispetto al 1990 i tempi sono sicuramente cambiati. Nel dicembre 2020 l’Onu ha rimosso la cannabis dalla lista delle sostanze più dannose, così da riconoscerla definitivamente per uso medico, mentre negli ultimi giorni in centro a Milano le elezioni amministrative si sono praticamente fuse con la campagna per la legalizzazione grazie a vari flash mob dallo slogan “legalizzarla è sicurezza”. Se la cannabis fosse legalizzata infatti, non solo si colpirebbe gravemente la criminalità organizza ma, secondo le stime, a fronte degli attuali sei milioni di consumatori lo Stato potrebbe sia guadagnare annualmente circa sei miliardi di euro sia creare trentacinquemila posti di lavoro in più.

Quando gli Stati Uniti proibirono il consumo di alcolici gli americani cominciarono a comprare da un certo Al Capone anziché smettere di bere. Allo stesso modo in Italia la cannabis è vietata solo formalmente, poiché è facilmente reperibile attraverso vari canali notoriamente illeciti. In pratica legalizzare la droga vorrebbe dire sottrarla alla criminalità organizzata per sottoporla al controllo dello Stato, non liberarla, poiché è già libera.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).