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Ambiente

L’Ultima spiaggia per il bene comune.

Oltre il settanta per cento delle spiagge italiane, è occupato da lidi privati. Un giro di affari di circa quindici miliardi di euro all’anno, spesso agevolato da canoni irrisori. Il governo vorrebbe approvare un disegno di legge, che prevede entro dal 2024 l’attivazione di procedure di evidenzia pubblica per l’assegnazione dei tratti di costa per la balneazione

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DI NICO CATALANO

Credit foto:  ViaggioRoutard license CC BY 2.0.

Oltre duemila anni fa, nella Roma Repubblicana si affermò la distinzione giuridica tra i beni privati e quelli non considerati tali. Questi ultimi furono differenziati in res pubblicae, quindi pubblici come una fognatura o una piazza e in res communes, ovvero tutti quei beni che in virtù della loro natura non potevano avere un proprietario pubblico o privato, in quanto comuni e quindi appartenenti all’intera comunità: l’aria, il mare, un bosco e una spiaggipitaliano annovera un bosco o una spiaggia quale bene pubblico inalienabile. Oggi, purtroppo nel nostro Paese, oltre il settanta per cento delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari privati, con regioni in cui l’increscioso fenomeno raggiunge percentuali vicini al novanta per cento delle coste occupate da lidi privati. Una situazione che in Europa non ha eguali, sicuramente dovuta all’assenza di una norma nazionale che regola il libero diritto di accesso dei cittadini alle coste, e derivata dall’ubriacatura per le privatizzazioni che vide protagonista quasi tutta la politica italiana sul finire degli anni novanta del secolo scorso. Mentre si autorizzava concessione privata dopo concessione, nessuno si preoccupava minimamente dei futuri risvolti sociali, ecologici e soprattutto ambientali, non a caso negli ultimi decenni le spiagge italiane risultano sempre più sottoposte agli effetti nefasti dell’erosione e del dissesto idrogeologico, fenomeni che oggi a detta dei ricercatori sembrano essere triplicati rispetto al 1970. Secondo gli ultimi dati del Demanio, nel 2021 le concessioni balneari sono arrivate a oltre dodicimila, con un incremento di quasi il tredici per cento in più rispetto al 2018, un giro di affari di circa quindici miliardi di euro all’anno. La stragrande maggioranza dei titolari di queste concessioni è gente rispettosa dei luoghi, imprese che portano lavoro e crescita economica ai territori, ma non mancano situazioni di strutture realizzate a discapito dell’ambiente tramite la distruzione di ecosistemi e dune o peggio ancora concessioni ultradecennali per chilometri di spiaggia a canoni irrisori. In questi ultimi giorni, il tema delle concessioni balneari è oggetto di un serrato confronto tra il governo Draghi e alcune forze politiche. Pomo della discordia, è il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri in febbraio, norma che segue le direttive UE in merito e prevede entro il 2024 l’attivazione di procedure di evidenzia pubblica per l’assegnazione ai privati dei tratti di costa per la balneazione. Se da una parte Lega e Fratelli D’Italia chiedono al governo una proroga, l’esecutivo ritiene l’approvazione del decreto tra le riforme inserite negli impegni presi con Bruxelles in ambito del recovery plan. Gli oltre ottomila chilometri di costa del nostro Paese, rappresentano un patrimonio inestimabile, una fonte di ricchezza il cui uso andrebbe finalmente normato. È urgente, allargare i tratti di spiaggia fruibili gratuitamente a tutti i cittadini, così come aggiornare i canoni di locazione per i lidi privati, collegandoli ai reali guadagni, alla tipologia di impresa, nonché alle differenze territoriali delle varie località, ma anche introdurre premialità per chi conduce queste attività nel rispetto dell’ambiente, dei lavoratori o magari favorendo l’accesso alle categorie di persone svantaggiate. La politica Italiana è chiamata all’ennesima prova di responsabilità.

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Agronomo, ricercatore ecologista, divulgatore e saggista