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21 Luglio 2025

Caregivers, cosa li salverà dall’aver assistito al disfacimento di chi hanno amato?

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Credit foto ilfattoquotidiano.it

Di Rosamaria Fumarola

Accettare che chi si ama termini i suoi giorni, ora dopo ora, minuto dopo minuto davanti ai nostri occhi diventa accettabile solo a condizione di accogliere in qualche modo anche l’idea della nostra morte e questo è quanto di più anti conservativo il pensiero umano possa partorire. È naturale questo dolore? È inevitabile? È senz’ altro una battaglia che ci coglie disarmati. Recentemente in un’intervista il cantante Robbie Williams ammette di non sentirsi pronto ad affrontare la malattia dei genitori, demenza per la madre e  Parkinson per il padre (dei quali non credo sia però il caregiver) e che ha ovviamente commosso il pubblico dei suoi fans e non solo. Prendersi costantemente cura della vita di un familiare ed in particolare di un padre o di una madre, ha delle implicazioni che riguardano tanto i rapporti privatissimi che intercorrono tra le persone, che le componenti culturali, religiose o semplicemente consuetudinarie che ci hanno formato, che non sempre abbiamo scelto e che ci impongono la presa in carico di chi amiamo, nonostante si avverta un male che disfa anche le nostre esistenze. Sic et simpliciter vedersi sfuggire come acqua tra le mani la vita di un familiare, di cui tanto sappiamo e che ha rappresentato il primo termine di confronto per lo sviluppo nel bene o nel male della nostra identità, non può semplicemente definirsi un dolore. È infatti un evento che rischia di radere al suolo l’impalcatura su cui si regge ciò che siamo e che ci impone (quando possibile) il tentativo di una riscrittura della nostra storia. Il lutto di un familiare è cosa diversa dall’ osservazione quotidiana dell’ oltraggio della malattia, del furto che opera al corpo ed alla mente e provoca inevitabili ripercussioni sui corpi e sulle menti degli stessi caregivers. Se la vulgata offre poi consolazione ricordando che non esiste vita senza dolore e che la sofferenza alla fine rafforza, l’esperienza quotidiana ci racconta che esistono anche altre strade che la mente può percorrere e che non tutte portano all’ auspicata salvezza. È infatti naturale e sano il distacco che da piccoli ci fa definire i nostri spazi, a partire da quello del corpo, meno lo è tuttavia la partecipazione al corpo dolente da cui un tempo abbiamo tratto la nostra forza, il legarsi nuovamente alla carne che amiamo più di ogni cosa e domandarsi quale energia possa essere benefica e se saremo davvero in grado di donarla. Quanto scritto non va inteso come un egoistico tentativo di sottrarsi alle responsabilità che l’amore familiare impone, ma come una richiesta di attenzione su una problematica sempre più cogente e che coinvolge un numero sempre più grande di famiglie che non possono essere lasciate sole. Perché se da un lato è sacrosanto tutelare l’anziano e rispondere efficacemente alle sue necessità è di tutta evidenza che i caregivers non possono più considerarsi eroi invincibili, ma cittadini ai quali non può essere negato il sostegno dell’ autorità pubblica, proprio in virtù della loro partecipazione concreta al mantenimento di delicati equilibri non solo familiari, su cui qualsiasi società si regge.

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, blogger, podcaster, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano