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Esteri

Guerra in Iran: Nessun Vincitore, Ma una Sconfitta per l’Egemonia Occidentale

Sì alla pace. No alla guerra. Sì alla giustizia. Mai più imperi.

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Un’analisi critica del conflitto e del declino delle potenze guerrafondaie

Di Marlene Madalena Pozza Foschiera

La tragedia annunciata
In guerra non ci sono vincitori. Restano solo macerie, corpi, esili e un futuro rubato. Tuttavia, sullo scacchiere geopolitico, ci sono segnali evidenti che la recente guerra tra Israele e Iran ha segnato una svolta strategica negli equilibri globali: l’Iran ha resistito e ha tenuto testa; gli Stati Uniti e Israele sono stati costretti a fare marcia indietro, perdendo credibilità.

L’Iran resiste e riafferma la propria sovranità
Nonostante decenni di sanzioni, sabotaggi, assassinii mirati e campagne mediatiche di demonizzazione, l’Iran è rimasto in piedi. L’offensiva israeliana, iniziata con l’assassinio di scienziati iraniani, non è stata solo illegittima, ma anche imprudente. Quella che sembrava una provocazione senza conseguenze ha invece provocato una risposta coordinata ed efficace da parte di Teheran — che ha dimostrato non solo capacità militare, ma anche strategia e sostegno da parte di alleati regionali.

La risposta iraniana, seppur calibrata con attenzione per evitare un’escalation nucleare, ha messo in luce le fragilità di un Israele abituato all’impunità. Il passo indietro di Netanyahu — che ha accettato negoziati mediati in un momento di crisi di fiducia interna e internazionale — è la prova più chiara che l’attacco non è andato come previsto.

Anzi, la logica stessa della guerra ha svelato una menzogna strategica. Se davvero l’Iran possedesse armi nucleari, come hanno ripetutamente insinuato Washington e Tel Aviv, gli attacchi sarebbero avvenuti in questo modo? Stati Uniti e Israele avrebbero davvero rischiato di provocare una potenza atomica con attacchi diretti, senza nemmeno mobilitare una coalizione? È evidente che no. Ancora una volta si è rivelato l’uso cinico della “minaccia nucleare” come strumento di manipolazione dell’opinione pubblica — come già accaduto in passato con l’Iraq e, più recentemente, con la Turchia. Il mondo comincia, finalmente, a riconoscere queste menzogne.

L’impero vacilla: Washington nel silenzio dell’imbarazzo
Gli Stati Uniti, con un presidente eletto promettendo “pace con onore” e la fine delle guerre, si sono trovati coinvolti in un altro conflitto senza una direzione chiara. La mancanza di sostegno interno — anche tra settori democratici — e la condanna internazionale contro le azioni israeliane hanno lasciato Washington isolata, sebbene non lo ammetta.

Il presidente americano ha vacillato. Prima ha minacciato una risposta “decisa”, poi è rimasto in silenzio per giorni, infine ha accettato la mediazione dell’ONU e della Cina. Questa esitazione non è solo il frutto di calcoli elettorali, ma anche della crescente consapevolezza che gli Stati Uniti non riescono più a imporre la propria volontà come un tempo. Il mondo è cambiato, e il monopolio della forza viene sempre più messo in discussione.

Ma c’è un altro fattore cruciale dietro questo silenzio: il potere del capitale. La guerra minacciava direttamente il flusso commerciale globale, in particolare nello Stretto di Hormuz — da cui transita circa il 20% del petrolio mondiale. Qualsiasi blocco avrebbe avuto effetti devastanti sull’economia globale, influenzando le borse, i prezzi dell’energia e la stabilità politica nei paesi ricchi. I grandi gruppi finanziari hanno esercitato pressioni su Washington affinché evitasse un conflitto prolungato, che avrebbe fatto crollare i mercati, aumentato i costi e portato instabilità in un anno elettorale.

Inoltre, la posizione ferma della Russia e della Cina è stata determinante. Mosca ha rafforzato il sostegno diplomatico a Teheran, mentre Pechino ha avvertito che un’escalation avrebbe danneggiato i progetti strategici della Nuova Via della Seta e la stabilità del mercato energetico. Entrambe hanno agito, direttamente e indirettamente, per contenere l’impulso bellicista, offrendosi anche come mediatrici. Il ritiro degli Stati Uniti, dunque, non si spiega solo con la debolezza politica della loro leadership, ma con la forza delle nuove potenze emergenti e il calcolo freddo delle élite economiche globali.

Israele e la sconfitta dell’arroganza
Il governo Netanyahu ha commesso un errore di calcolo. Ha scommesso sull’escalation per rafforzare il potere interno, distogliere l’attenzione dalle inchieste per corruzione e silenziare le critiche contro le atrocità commesse a Gaza. Tuttavia, la risposta iraniana ha costretto Tel Aviv a fare marcia indietro — un’umiliazione difficile da digerire per un governo militarista e ultranazionalista.

Se Israele avesse avuto la possibilità di vincere militarmente, non avrebbe accettato un cessate il fuoco mediato. L’accordo — anche se informale — è la confessione del fallimento della strategia del confronto diretto con l’Iran. E inoltre ha messo in luce le divisioni interne nella società israeliana, dove parte della popolazione comincia a mettere in discussione la deriva bellicista del proprio governo.

Il silenzio europeo e la complicità delle potenze coloniali
L’Europa, come spesso accade, ha assistito al conflitto con cinismo e omissione. I governi che si autodefiniscono difensori dei “valori democratici” hanno ignorato ancora una volta l’illegalità delle azioni israeliane e l’escalation promossa dagli Stati Uniti. Nessuna condanna chiara. Nessuna sanzione. Nessuna solidarietà per i civili iraniani uccisi nei bombardamenti.

Forse perché il passato coloniale europeo — che ha trasformato popoli in merce e continenti in proprietà privata — pesa ancora. E pesa anche la paura di rompere con il fratello maggiore dell’Atlantico: la NATO, che di recente ha deciso di aumentare del 5% i bilanci militari degli Stati membri. Soldi per la guerra, mai per la pace.

Conclusione: la vera sconfitta è dell’umanità
Questo conflitto dimostra ancora una volta che l’egemonia occidentale è in declino — e cerca disperatamente di riaffermarsi con la forza. Ma il mondo non tace più. L’Iran non si è inginocchiato. La resistenza esiste, anche di fronte alla barbarie.

Tuttavia, bisogna dirlo chiaramente: non c’è nulla da festeggiare. Né dal lato iraniano, né da quello israeliano. Sono sempre i popoli, i civili, i bambini, i lavoratori, i giovani — a pagare con il sangue le decisioni prese nei palazzi del potere. Per questo diciamo con convinzione:
Sì alla pace. No alla guerra. Sì alla giustizia. Mai più imperi.