23 Febbraio 2025
Fabio Cagnazzo, il diritto ad una giustizia dal volto umano
Domizio Ulpiano ha così definito la giustizia «La giustizia è costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto». Abbiamo dimenticato una così nobile eredità?

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
In attesa di continuare l’analisi di questa vicenda ci soffermiamo su una questione che non interessa solo il colonnello Cagnazzo, la sua famiglia e i suoi amici.
Soffermiamoci sulle motivazioni che hanno portato a negare gli arresti domiciliari https://www.giustizianews24.it/2025/02/18/omicidio-vassallo-si-va-verso-il-processo-ecco-perche-il-gip-ha-negato-i-domiciliari-a-cagnazzo-per-motivi-di-salute/.
In pratica è vero che il colonnello Cagnazzo soffre, ovviamente, di uno stress psicologico che condiziona le sue problematiche cardiache ma visto che anche a casa continuerebbe lo stato ansioso tanto vale che rimanga in carcere.
Sembra un paradosso ma così è stata decisa la sorte di Fabio Cagnazzo. Ci limitiamo ad osservare che in campo medico al paziente viene consigliata sempre la convalescenza in ambito famigliare. Per i chiari benefici sullo stato psicofisico. Nessuno direbbe ad un paziente terminale che affrontare una tale prova in ospedale è come affrontarla in casa tra gli affetti più cari.
Appare evidente e logico che le condizioni di Fabio Cagnazzo migliorerebbero con gli arresti domiciliari. In ambiente famigliare.
Soprattutto la costante presenza della figlia avrebbe sicuri effetti benefici.
Detto ciò il problema è più ampio e tocca la custodia cautelare.
La custodia cautelare ha tre presupposti. Pericolo di fuga, reiterazione del reato, rischio di inquinamento delle prove. Devono essere rischi reali non meramente ipotetici.
Nel caso del colonnello Cagnazzo il rischio di inquinamento delle prove è nullo essendo chiuse le indagini preliminari. Il colonnello Cagnazzo non è mai fuggito davanti al pericolo nei tanti anni di servizio perché dovrebbe fuggire ora? La reiterazione del reato non è possibile vista la natura dei fatti contestati.
Tra le misure cautelari il carcere dovrebbe essere l’eccezione non la regola. Esistendo misure alternative come gli arresti domiciliari con bracciale elettronico.
Invece spesso il carcere è la misura cautelare per eccellenza. Questo è costato molte critiche all’Italia.
Non è cambiato molto dagli anni 70 e dalla realtà raccontata da Alberto Sordi.
Il principio di presunzione di non colpevolezza deve valere per tutti. Anche e soprattutto nel caso di servitori dello Stato come il colonnello Cagnazzo.
Centinaia di camorristi arrestati, i tanti pericoli affrontati https://casertace.net/brutto-incidente-ferito-il-colonnello-dei-carabinieri-fabio-cagnazzo/. Tutto questo può essere cancellato così?

Dopo una vita al servizio delle Istituzioni non “merita” nemmeno gli arresti domiciliari?
In realtà Fabio Cagnazzo è tre volte vittima come molte altre vittime senza volto.
Di un sistema giudiziario lento. Ci vorranno almeno quattro anni prima di una sentenza definitiva. Quattro anni sono tanti e l’assoluzione non restituisce la serenità perduta. Alla fine Fabio Cagnazzo non sarà più la persona di prima.
Vittima della mancata riforma della custodia cautelare. Che dovrebbe vedere gli arresti domiciliari come soluzione di default con il carcere previsto solo in comprovati casi di pericolo.
Soprattutto Fabio Cagnazzo è vittima del sistema di “giustizia mediatica”. Quel sistema che lo esaltava quando forniva notizie e “materiale” ma che lo ha abbandonato quando è diventato vittima.
Sostanzialmente è sceso un fragoroso silenzio. Tranne la famiglia e i suoi amici non è nato un movimento.
Non è successo ciò che è successo con Tortora ma anche ad esempio nel caso di Alfredo Cospito con una petizione all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Per non parlare di ministri e parlamentari per cui si invoca la presunzione di non colpevolezza per giustificare le mancate dimissioni.
Per Cagnazzo silenzio o imbarazzati “attendiamo l’esito del processo, saprà chiarire la sua posizione”. Invece dobbiamo avere il coraggio di prendere noi posizione.
“E se lo condannano che figura facciamo?” La risposta è semplice, prima di difendere la persona vengono difesi i valori Costituzionali. Una battaglia che non prevede mai sconfitta.
Ha preso piede la presunzione di colpevolezza che con il dilagare dei social ha calpestato i diritti sanciti dalla nostra Costituzione.
Anche Fabio Cagnazzo e la sua famiglia stanno sperimentando il sapore dell’amaro calice fatto di sofferenza, false amicizie, invidie. Un qualcosa che non dovrebbe capitare a nessuno.
Devono anche affrontare, i famigliari del colonnello Cagnazzo, un fenomeno legato all’aspetto mediatico dei procedimenti giudiziari. Quando il legittimo dolore e la legittima esigenza di giustizia dei famigliari delle vittime diventano in alcuni casi la base per una sentenza mediatica anticipata. Anche la costituzione come parte civile di Enti o Istituzioni non può essere invocata, letta o presentata come “sentenza” di colpevolezza. Ad esempio l’Arma dei Carabinieri si è costituita parte civile, nel processo per l’omicidio di Serena Mollicone, nei confronti dei carabinieri Suprano e Quatrale. Assolti poi con formula piena e definitiva.
L’unica sentenza che conta è quella dei tribunali. Lo scopo di tutti e di ciascuno deve essere la ricerca della verità non di una verità. Devono essere di monito ed insegnamento per TUTTI le recenti parole del Procuratore Generale presso la Suprema Corte.

In molti esprimono vicinanza e dispiacere per ciò che vive Fabio Cagnazzo. Giusto ma in realtà dobbiamo essere preoccupati per noi stessi e per il nostro Paese.
Il volto umano della giustizia è imprescindibile in un paese democratico.
La giustizia può diventare ma non dovrebbe un buco nero che può inghiottire chiunque di noi. Attualmente rischiamo una punizione preventiva con la detenzione cautelare e successivi danni permanenti nonostante l’assoluzione definitiva.
Come ben descrive, in una dichiarazione del 16 novembre 2003 l’avvocato Giulia Bongiorno: “Ho assistito spesso, nella fase preprocessuale, a delle umiliazioni che segnano definitivamente le persone. Ne ho conosciute alcune disposte a tutto pur di uscire, pronti a inventare accuse nei confronti di altre persone, a confessare reati non commessi. Questo non vuol dire che il carcere non serve, ma ci vuole grande cautela. Ci sono persone che una volta fuori continuano a passeggiare in tre metri per tre. Anche se hanno più spazio non riescono ad andare oltre”.
Domizio Ulpiano ha così definito la giustizia «La giustizia è costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto». Abbiamo dimenticato una così nobile eredità?
RIPRODUZIONE RISERVATA ©
