03 Febbraio 2025
Dal diario (immaginario) di un migrante del “progetto Albania”
Di Rosamaria Fumarola
Agli italiani piacciono davvero i containers collocati in Albania per la risoluzione di un
problema quale quello delle migrazioni verso l’occidente?
Io migrante dopo la prigionia, il rapimento e le torture in Libia sono riuscito a raggiungere
l’Italia. Anche in Libia mi domandavo chi volesse la mia sofferenza e quella di chi mi era
vicino, anche se si sa, pensavo soprattutto a me, a me di fronte agli aguzzini. Capivo però
che era quella sofferenza procurata un altro modo per cercare di sopravvivere, per sottrarsi
alla mia stessa fame ricattando e lucrando.
In Italia non mi avrebbero torturato. Quando però dopo il viaggio nel Mediterraneo sono
arrivato a Lampedusa, in poche ore mi sono ritrovato ancora in mare, su una nuova
imbarcazione assieme ad altri nelle mie stesse condizioni. Mi hanno detto che essendo
maschio e sano sarei stato trasportato in Albania ed infine rimpatriato. Cosa significa essere
maschi e sani? I miei compagni, ombre di esseri umani col terrore negli occhi sono maschi e
sani? Non basta quella paura a fare di noi dei mezzi uomini? Quando poi abbiamo raggiunto
l’Albania abbiamo saputo di trovarci in una prigione e non una di quelle costruite con i
mattoni, ma una fatta di containers assemblati, circondati e coperti dal filo spinato, una di
quelle che servono a punire chi ha violato la legge, chi ha rubato, ucciso, stuprato. Persino
costoro però hanno un nome ed un cognome, quello che noi non abbiamo mai, nemmeno da
morti, noi ridotti a cavie senza diritti del “progetto Albania” per il vantaggio di chi? Noi
separati da madri, mogli, figli, incarcerati e rimpatriati per produrre deterrenza? E sarebbe
questo un modello virtuoso per l’intero occidente? E perché gli italiani sono disposti a votare
chiunque assicuri loro di rimandarci dove siamo fuggiti, perché sono convinti di dover
dividere ciò di cui godono con noi, quasi come se fossero individualmente obbligati ad aprire
le porte delle loro case per darci ospitalità? Il nostro è un problema che non può essere
risolto dalla cattiva o buona volontà di ciascuno, ma da scelte politiche che non devono
prescindere dalla nostra volontà di vivere un’ esistenza migliore.
Ora ci porteranno al Cara di Bari, forse sulla stessa nave usata di recente per un altro
“riaccompagnamento”, la nave Visalli. Mi hanno detto che Visalli era un sottufficiale della
Marina morto a Milazzo nel 2020, nel salvataggio di un ragazzo di quindici anni aggrappato
ad una boa nel mare in tempesta. Non è questo il mio racconto. Eppure non scorderò gli
abbracci, le lacrime di chi avrà provato ad accoglierci, nonostante tutto.
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