23 Dicembre 2024
Le politiche di decoupling Usa hanno già fatto le prime vittime: in Occidente
Il 2 dicembre l’amministrazione Biden ha varato un terzo round di restrizioni, dopo quelle del 2022 e 2023, contro le aziende tecnologiche cinesi che ampliano le strategie di decoupling
Di Fulvio Rapanà
Il 2 dicembre l’amministrazione Biden ha varato un terzo round di restrizioni, dopo quelle del 2022 e 2023, contro le aziende tecnologiche cinesi che ampliano le strategie di decoupling <disaccoppiamento/separazione> delle tecnologie occidentali verso quelle cinesi. Saranno colpite circa 140 aziende occidentali e cinesi con un misto di divieti e sanzioni che per Gina Raimondo, Segretaria al Commercio USA , “mirano a impedire alla Cina di auto-produrre tecnologie avanzate, che potrebbero mettere a rischio la nostra sicurezza <superiorità> nazionale, e ostacolano la modernizzazione militare delle forze armate cinesi” . L’obiettivo apertamente dichiarato è impedire che le aziende tecnologiche cinesi usufruiscano di tecnologie statunitensi per avanzare nei settori dei semiconduttori che sviluppano l’intelligenza artificiale e pareggiare il vantaggio che in questo settore ad oggi gli americani hanno sui cinesi.
Brevemente e in generale le nuove restrizioni colpiscono principalmente la capacità di produrre chip di memoria a banda elevata (HBM) fondamentali, grazie alla loro capacità di gestire grandi volumi di dati in tempo reale, per alimentare piattaforme come supercomputer, sistemi di analisi predittiva, tecnologie di guida autonoma, sono inoltre indispensabili in applicazioni di intelligenza artificiale e machine learning (macchine che servono a far immagazzinare ai server i dati per produrre Intelligenza Artificiale).
La Cina ha risposto bloccando le esportazioni di metalli come il gallio, il germanio e l’antimonio indispensabili per produrre chip. Sono due cani che si mordono le reciproche code. Sommate alle restrizioni già poste in essere sono migliaia le aziende e i beni soggetti a restrizioni/sanzioni che colpiscono maggiormente le aziende tecnologiche cinesi ma, in un mondo estremamente interconnesso, anche quelle occidentali. Di fatto le prime vittime di queste controverse politiche stanno proprio nel campo occidentale. A ottobre ASML Holding l’azienda tecnologica olandese, la più importante in Europa, ha perso in un solo mese 65 mld. di capitalizzazione di Borsa a causa delle prospettive che queste ulteriori restrizioni da parte degli Stati Uniti avrebbero colpito duramente le attività commerciali dell’azienda sul mercato cinese. ASML produce macchine litografiche, utilizzate per stampare i chip, più avanzate a livello mondiale e ha come clienti tutte le più importanti aziende che producono chip tra cui l’americana Intel, la taiwanese TSMC, la coreana Samsung, l’americana Micron, la coreana SK Hynix e in più tante aziende cinesi che rappresentano complessivamente il 47% delle vendite. Nel mese di settembre il governo olandese pressato dall’amministrazione Biden ha imposto nuove e più stringenti regole a ASML sia per nuove vendita in Cina di macchine litografiche, anche quelle più vecchie, che limitare la manutenzione e riparazione di quelle già vendute. La seconda pessima notizia riguarda INTEL. Il colosso americano della microelettronica, fino al 2019 egemone nel mercato mondiale dei processori, è entrato in una fase di crisi acuta. INTEL dopo due anni di perdite di fatturato passato da 75 miliardi del 2021 a 54 miliardi del 2023 ha di recente presentato conti con una proiezione per il 2024 a 55 miliardi, parallelamente al declino di fatturato anche i conti economici vanno male passati da un utile nel 2021 di 20 miliardi a 975 milioni del 2023 con una proiezione per il 2024 di perdite per 1,6 miliardi. Il titolo in borsa è ai minimi dal 2013 e segna -55% da inizio anno. I motivi stanno certamente nella concorrenza sopratutto di Nvidia che è diventata leader per i chip necessari all’intelligenza artificiale ma come non detto c’è il crollo del mercato cinese che rappresenta il più importante per l’azienda con un declino che ha seguito i round di sanzioni verso quel mercato . La crisi risulta strategicamente più rilevante per il settore tecnologico americano in quanto INTEL è l’unica azienda americana che progetta e produce in proprio i chip.
Questa è la cronaca dura, numerica degli ultimi due mesi ma chiaramente gli analisti vanno più a fondo e verificano che le ragioni di queste crisi non sono aziendali ma sistemiche. Le normative del governo americano hanno procurato un terremoto che sta destabilizzando l’intero settore tecnologico mondiale dalla vendita del prodotto finito fino alle catene di forniture globali le cui ramificazioni sono sconosciute anche alle aziende appaltanti. La stessa Raimondo ha dovuto ammettere che sia le aziende che il governo “semplicemente non conoscono i diversi livelli di fornitura e sub-fornitura che sono utilizzate per produrre microprocessori”. In pratica Apple non conosce esattamente al 100% da dove provengono e chi produce tutti i componenti di un iphon. La “grande riallocazione” delle catene di fornitura globali voluta dai governi americani sulla base di politiche di “reshoring” <ritorno> della produzione negli stati Uniti o di “friendshoring” , riallocazione su aziende in stati alleati o di <neardshoring> riallocazione in stati attigui, Messico/Canada, si sta dimostrando illusoria in quanto non si conosce esattamente tutto quello che c’è da riallocare. Una analisi approfondita sulla inefficacia delle politiche di decoupling è stata fatta sul New York Times da Peter Goodman: “l’idea centrale che ha reso forti e imprescindibili le attuali strutture delle catene di fornitura, che hanno contribuito in maniera determinante per l’enorme sviluppo del commercio mondiale, stanno nella logica finanziaria dell’ incessante ricerca del profitto, ecco perché si chiamano “catene di valore”, e sono alla base del sistema capitalistico mondiale. L’attuale politica del governo sulla sicurezza delle catene di fornitura all’insegna di reshoring e frienshoring non è destinato a durare perché vanno contro le leggi dell’economia che impongono alle aziende di tagliare i costi anche quando sono obbligate per legge a pagare di più o produrre dove non si è mai prodotto”. Come ho scritto su questo giornale in un articolo del 17 novembre 2023, la SIA, Security Industry Association, l’Associazione che raggruppa tutte le aziende tecnologiche americane europee e asiatiche non cinesi, in un comunicato stampa del Dicembre 2022, dopo il primo round di restrizioni, si rivolse alla Raimondo: “ Permettere all’industria di continuare ad accedere al mercato cinese, il più grande mercato commerciale al mondo per i semiconduttori , è importante per evitare di compromettere la leaderchip Usa nelle tecnologie elettroniche avanzate. Inoltre le ripetute misure volte a imporre restrizioni troppo ampie, ambigue e talvolta unilaterali rischiano di ridurre la competitività dell’industria statunitense dei semiconduttori, di interrompere le catene di fornitura, di causare una significativa incertezza del mercato e di provocare una continua escalation di ritorsioni da parte della Cina. Senza poter accedere a quel mercato , le aziende statunitensi e occidentali perderanno un mercato di riferimento enorme con conseguenza riduzione delle capacità economiche di investire in ricerca e sviluppo da parte delle aziende occidentali e in particolare la possibilità di sostenere i costi dell’innovazione nel segmento del “design”, della progettazione, dove gli Stati Uniti sono leaders con il 48% del mercato globale. Continuare a mantenere questa leaderchip è strettamente collegato agli investimenti che sono sempre più dipendenti dal fatturato ”. Oltre a fattori di politica industriale nei produttori di chip americani c’è la convinzione che le aziende cinesi nella difficoltà di acquistare chip avanzati dalle aziende americane incominceranno a progettarli e realizzarli in proprio. Lo stanno già facendo. E’ di questi giorni l’uscita dell’ iphon Huawei Mate Pro 70 che presenta una serie di novità allarmanti per le aziende tecnologiche Usa: tutti i componenti compreso il chipHiSilicon Kirin 9100 a 6 nm sono progettati e fabbricati in Cina; inoltre utilizza un sistema operativo HarmonyOS NEXT realizzato totalmente dall’azienda che gli permette di fare a meno di un girare su Android . Pessima notizia. Attualmente il 50% dei cellulari venduti nel mondo sono fabbricati in Cina, utilizzano chip di aziende Usa e girano sul sistema Android, se in 3/5 anni le aziende cinesi avranno ancora più difficoltà ad accedere alla componentistica e ai sistemi operativi Usa incominceranno a realizzarli in proprio, come ha fatto Huawei, con una enorme perdita economica per le aziende tecnologiche occidentali che non avranno più le risorse finanziarie per la progettazione e lo sviluppo delle nuove tecnologie avanzate che fino ad ora hanno permesso agli Usa di avere un vantaggio sulla Cina. Mi permetto un’ultima eccezione a quello che dice la Raimondo quando parla di “contrastare la realizzazione da parte del governo cinese di attrezzature utilizzate per la repressione e il controllo delle minoranze e della dissidenza”, per ora le principali minoranze e dissidenze che hanno subito l’effetto delle armi realizzate con chip prodotti dalle aziende americane sono i 50.000 morti di Gaza e in Libano.
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