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Cultura

In memoria di Vittorio Cosentino, che al teatro ha dato tutto senza ricevere niente

Esattamente due anni fa i media davano notizia della morte dell’attore e regista Vittorio Cosentino, colto forse da un malore nella ex caserma liberata Rossani, qui a Bari. Ma chi era Vittorio Cosentino?

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Credit foto teatridibari.it

Esattamente due anni fa i media davano notizia della morte dell’attore e regista Vittorio Cosentino, colto forse da un malore nella ex caserma liberata Rossani, qui a Bari. 

Chi era oggi Vittorio Cosentino? Un uomo di settant’anni portati male che era noto per le sue esibizioni teatrali di testi shakespeariani per le strade cittadine, corpulento,  con barba e capelli bianchi e con lo sguardo di un personaggio tragico fissatosi per ironia della sorte nei suoi occhi azzurri. E pensare che io l’ho sempre ricordato per un particolare sorriso che generosamente regalava a chi lo incontrasse, accogliendo l’altro prima ancora che con le parole, con lo sguardo, perché Vittorio investiva sempre in chi gli stava di fronte ed in chiunque in lui si imbattesse, convinto di appartenere ad una famiglia nella quale nessuno può essere tagliato fuori. Anzi, pareva che fosse proprio mancante geneticamente della categoria mentale dell’esclusione o che forse la conoscesse tanto bene da considerare un dovere morale l’astenersi dal praticarla.

Conobbi Vittorio venticinque anni fa, quando dirigeva il Teatro Osservatorio ed io ero una studentessa universitaria. Era sempre circondato da molti giovani attori nei confronti dei quali esercitava una evidente fascinazione. Non ho mai ambito a fare l’attrice, sebbene talvolta mi ci sia cimentata e dunque frequentavo il Teatro Osservatorio perché condivideva la sede con altre due associazioni, una delle quali letteraria e di cui io facevo appunto parte ed inoltre, avendo interesse in quegli anni per l’arte moderna, ricordo di aver avuto un paio di incontri con i suoi allievi su questa materia. Oltre a ciò mi occupai della segreteria del teatro per qualche tempo. 

Come ho già chiarito, la frequentazione  di Vittorio era per me avulsa da un interesse per la professione attoriale. Mi incuriosivano la sua cultura, la profondità, l’apertura, la sua libertà, tutti elementi che ai miei occhi ne facevano un intellettuale degno di questo nome, latore di un prezioso patrimonio al quale attingere. Come tutti gli intellettuali veri era un uomo inquieto, pervaso sempre da una strana febbre che lo teneva lontano dalla normalità, cosa per la quale non smetteva mai di pagare un prezzo altissimo, sebbene ciò non sembrasse preoccuparlo più di tanto, a differenza dei suoi collaboratori che gli rimproveravano spesso manchevolezze di cui finivano per rispondere purtroppo anche loro. I limiti di Vittorio non erano però per me un problema, poiché non mi riguardavano direttamente, ma finirono col creare una insanabile frattura con gli attori con i quali lavorava e che pure era evidente non smettessero mai di considerarlo il loro maestro. Del tutto casualmente venni a conoscenza del fatto che era stato sfrattato dall’abitazione che all’epoca occupava, ma non seppi mai come questa vicenda fosse andata a finire, visto che la mia vita prese in quel periodo una strada diversa e di Vittorio per molti anni non seppi più nulla. Talvolta pensavo alla precarietà nella quale era evidente vivesse e lo facevo perché conoscevo bene quella condizione e mi domandavo se almeno lui se la fosse lasciata alla spalle. Tuttavia lentamente la mia situazione migliorò, consentendomi la sopravvivenza attraverso i’uso dei mezzi per apprendere i quali avevo studiato. 

Non ero contenta, ma mi pareva giusto rispettare la benedizione del dono del lavoro, che prima tanto mi era mancato, andando avanti.

Una sera, molti  anni dopo il nostro ultimo incontro, mentre facevo ritorno a casa, dal buio vidi  sbucare una figura trasandata che trascinava un carrello della spesa. Pensai che quel carrello contenesse tutto ciò che aveva, si trattò tuttavia solo di una mia congettura e non seppi mai se fossa fondata. L’uomo mi guardò serio, severo: era Vittorio. Non mi saluto` e non ebbi il coraggio di farlo io, vedendo la condizione di disagio  in cui mi pareva  versare. Continuò a guardarmi muto, con la stessa severità anche quando fummo fianco a fianco. Chissà perché quando incontriamo qualcuno al quale abbiamo voluto bene o che semplicemente abbiamo stimato, trovandolo in una situazione difficile reputiamo opportuno fargli credere che non lo abbiamo riconosciuto, quando la cosa più giusta sarebbe superare uno stupido, inutile pudore e chiedere se si può in qualche modo essere d’aiuto all’altro. Da quella sera di una decina di anni fa non ho più visto Vittorio. Molti suoi ex allievi sono nel frattempo diventati attori e si esibiscono regolarmente nei teatri, anzi, quasi tutti coloro i quali hanno oggi una quarantina d’anni e fanno gli attori di professione, hanno incominciato con Vittorio e mi capita talvolta di andarne a vedere gli spettacoli. Qualche giorno fa la notizia della morte di Vittorio nella ex caserma nella quale pareva che trovasse rifugio. Leggo la dichiarazione di una persona a lui molto vicina che ci tiene a puntualizzare che non fosse un senza tetto. Certo le sue scelte di vita non escludevano di dimorare in luoghi non ordinari, ma questo non toglie nulla ad un’altra questione ovverosia al rapporto che una città come Bari riesce ad instaurare con chi intende vivere col frutto del proprio intelletto, della propria creatività, che è un rapporto difficile perché la creatività e la cultura con grande fatica vengono considerati beni in grado di produrre reddito e questo senza alcun rispetto per il peso specifico del prodotto offerto, che può essere notevole ma venire considerato inutile e dunque non degno di essere remunerato. 

Qualcuno potrebbe obiettare che viviamo in un mondo globalizzato e con un sistema capitalistico e dunque cosa ci si può aspettare, cosa auspicare? La rivoluzione? No, non auspico la rivoluzione ma un semplice, utile correttivo, che nasca dalla considerazione che contribuire a sviluppare il senso critico o la creatività di quanti fanno parte della società creerebbe proprio quell’ equilibrio necessario ad evitare estremismi, che la storia ci dice non hanno fatto bene nemmeno a chi li ha fomentati. La vicenda di un intellettuale di valore quale era Vittorio Cosentino questo dovrebbe insegnarci, che il pensiero, l’elaborazione intellettuale di chi dedica un’intera vita alla cultura è un bene da cui tutti traggono vantaggio, anche chi non lo sa e che la morte di Vittorio è un’ onta per una città come Bari, perché Bari da lui ha ricevuto tutto senza restituire nulla in cambio.

Rosamaria Fumarola

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano