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Editoriale

Tra vendetta pubblica e condizioni disumane, il collasso delle carceri italiane

Intervista all’avvocato Maria Pia Scarciglia e all’avvocato Alessandro Stomeo dell’associazione Antigone per la tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario.

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Credit foto Pixabay, immagine di dominio pubblico.

di Alessandro Andrea Argeri

Una democrazia si misura anche dal livello delle sue carceri. Dagli anni ’80 Antigone Onlus si occupa della tutela dei diritti dei detenuti e delle garanzie nel sistema penale, promuove elaborazioni e dibattiti sul modello di legalità sia penale sia processuale, divulga informazioni sulla realtà carceraria. L’associazione è inoltre un riferimento nazionale per il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT).

  • Partiamo dall’anno corrente. Ci sono dei problemi specifici che avete individuato quest’anno?

Avv. Scarciglia: <<Se guardiamo la Puglia, a livello regionale non c’è stato un grande aumento della detenzione. Tuttavia continuiamo ad avere un alto tasso di sovraffollamento nelle carceri, sebbene i numeri rimangano pressoché identici con una situazione stazionaria, se non un aumento di poche unità nel caso qualche istituto. Abbiamo calcolato un aumento del 136%, il che rende la Puglia prima in classifica addirittura sopra la Lombardia. Le carceri più affollate, in ordine, sono: Brindisi, Bari, Taranto e infine Lecce. Questo è un dato nuovo perché Lecce era tra gli istituti più virtuosi. Ovviamente ogni istituto va trattato singolarmente rispetto alla composizione dei detenuti. Solo Lecce, Taranto e Foggia hanno sezioni femminili. Altamura non ha sezioni femminili ma deputate ai “sex offenders”, chi commette violenze sessuali, e trans. Tutti gli istituti hanno evidenti carenze strutturali, spazi non agibili o luoghi non funzionanti. Ad esempio mancano aree dedicate allo sport. Le condizioni igienico-sanitarie non sono sufficienti e le prestazioni sanitarie non vengono erogate nei tempi necessari, così detenuti affetti da malattie di diversa natura, come le malattie infettive, magari già presenti prima che il detenuto entrasse in carcere, non vengono curate adeguatamente.>>

  • Cosa pesa principalmente ai detenuti durane la detenzione?

Avv. Stomeo: <<Lo stato di detenzione è un’interruzione non solo delle abitudini ma anche dei diritti civili fondamentali. Qualsiasi attività, anche quelle che normalmente sarebbero considerate come quotidiane, passa dall’amministrazione penitenziaria, anche la possibilità di leggere libri. Sicuramente c’è il problema già accennato della salute. Avere accesso alle cure nelle carceri è complicato, alcune tipologie di farmaci devono essere acquistate all’esterno del carcere, dunque è difficile introdurle. Inoltre il personale medico è carente. Oltre a ciò, l’assegnazione dei detenuti nelle varie strutture non considera i loro luoghi di residenza, così molto spesso i detenuti vengono collocati in istituti molto lontani dai luoghi di residenza dove si trovano i familiari, e quindi hanno difficoltà a tenere colloqui con i parenti.>>

  • Delinquenti non si nasce, ma si diventa. Qual è la causa principale?

Avv. Stomeo: <<L’origine della delinquenza è una questione prevalentemente sociologica. Chiaramente ognuno ha le sue idee su quali fattori portano l’individuo a delinquere. Sicuramente l’emarginazione sociale è uno di questi perché è difficile da sopportare. Non dobbiamo sottovalutare inoltre l’impossibilità di accedere a percorsi di crescita formativi che in realtà sono fondamentali. Proprio per questo noi di Antigone riteniamo la carcerazione inutile come pena per tutti i reati di emarginazione e legati a uso di sostanze stupefacenti. La risposta dello Stato per contrastare la criminalità deve essere di socializzazione e crescita culturale, non di punizione vendicativa.>>

  • Le carceri dovrebbero servire a rieducare per reinserire. Come rieducare?

Avv. Stomeo: <<Antigone sostiene da sempre l’idea di una sanzione che abbia come scopo la rieducazione, come è scritto anche nella Costituzione. Lo Stato non deve dare una risposta punitiva, infliggendo un male considerato “giusto”. Così infligge solo un altro male. Questa logica punitiva e retributiva non ha mai funzionato, motivo per cui è necessario innovare questi concetti. Quando diciamo che il sistema carcerario dovrebbe rieducare intendiamo dire che dovrebbe eliminare le cause che spingono l’individuo a delinquere, o metterlo nelle condizioni di non dover delinquere più. In altre parole, dovremmo far sì che l’individuo esca migliore dal carcere, non più incattivito, altrimenti è molto alto il rischio che possa commettere altri reati. Solo così la società potrà migliorare. A meno che non vogliamo veramente credere che in una minoranza di esseri umani ci sia un substrato di cattiveria innata, ma anche qui se si guardano i dati i soggetti penitenziari sono pieni di chi non ha commesso reati gravissimi, bensì solo furti e rapine.>>

  • Per la rieducazione, c’è concretamente la possibilità di praticare arti in tutte le carceri?

Avv. Stomeo: <<Teoricamente “sì”, in realtà “no”. La dimensione del carcere porta all’omologazione e la detenzione si trasforma in uno stare senza far nulla. Ci sono delle realtà particolari dove è possibile essere coinvolti in attività formative, ma parliamo di poche strutture, due o tre in tutto il territorio nazionale. Non ci sono né spazi adatti né personale sufficiente né interazioni con associazioni esterne che dovrebbero organizzare le attività.>>

  • Antigone può entrare nelle carceri, ma incontra difficoltà nell’operare?

Avv. Stomeo: <<No, per fortuna non incontriamo difficoltà. Antigone è l’unica associazione a livello nazionale dotata di un osservatorio, inoltre ha disposizioni per poter visitare liberamente tutte le strutture penitenziarie, anche senza avvisare.>>

  • Le donne rappresentano il 4,2% della popolazione carceraria italiana. Registrate disparità nei trattamenti di genere?

Avv. Scarciglia: <<La detenzione femminile è sempre molto residuale rispetto a quella maschile. Donne ce ne sono poche nelle carceri, e la maggior parte sono madri, motivo per cui bisognerebbe pensare molto di più alle case-famiglia per consentire loro di gestire la genitorialità in maniera più serena. Le esigenze delle donne sono diverse, ma nella realtà dei fatti ci sono sezioni maschili che ospitano reparti femminili. Per evitare la presenza di bambini in carcere e potenziare il ruolo delle case-famiglia era stato presentato nella scorsa legislatura il DDL Siani, che però ora giace in Parlamento senza risposta.>>

  • Il 32% dei detenuti sono tossicodipendenti. Ma non dovrebbero stare in comunità anziché in carcere?

Avv. Scarciglia: <<La legge e la normativa in tema di stupefacenti è profondamente sbagliata perché approccia la questione in maniera ideologica e poco pratica, infatti viola i principi del diritto penale di tassativa, proporzionalità e offensività. Non si capisce quale sia la vittima che la norma cerca di trovare. Nel momento in cui una persona usa stupefacenti, rientra nella sua libertà farne uso, a meno che non ci sia un’associazione finalizzata al traffico. Dovremmo liberare la legge dall’approccio ideologico e criminalizzante, perché è pensata per colpire principalmente i consumatori e poco gli spacciatori. A conferma di questo, secondo i dati circa il 15,1% dei detenuti, pochissimi, sono imputati per reati finalizzati al traffico, mentre molti di più sono invece i consumatori e i soggetti imputati per piccolo spaccio. Nel restante 30% rientrano i tossicodipendenti, circa 11mila nel solo 2021, che ovviamente dovrebbero essere allocati in comunità o comunque in strutture sanitarie perché la tossicodipendenza non è una devianza ma una patologia legata al consumo di sostanze che potrebbero recare danni anche alle persone che stanno intorno al consumatore. Ma se continuiamo a perseguire con una legge sbagliata è ovvio che continueremo ad avere un 32% che non dovrebbe esserci, e questo ha conseguenze sul sovraffollamento.>>

  • Due mesi fa abbiamo sentito dei minori evasi dal Beccaria di Milano. Ma che ci fanno i ragazzini in carcere?

Avv. Scarciglia: <<Sicuramente l’episodio in sé è sproporzionato, inoltre è stata pericolosa la narrazione sentita sui giornali nel descrivere i fatti del Beccaria. Tra l’altro noi eravamo in visita proprio in quei giorni e abbiamo potuto vedere cos’è l’ipm di Milano. La maggior parte dei detenuti sono stranieri o abitanti della periferia milanese. In realtà l’Italia ha un ordinamento minorile di tutto rispetto ed estremamente avanzato in quanto mette al centro il minore, del quale la magistratura è sempre stata garante preferendogli le comunità alla reclusione. Noi abbiamo 17 ipm in Italia e molte più comunità. Dal nostro punto di vista il carcere per i ragazzi dovrebbe essere abolito per mettere al centro il minore e la sua crescita, favorendo le comunità e la messa alla prova del ragazzo. Secondo i sociologi con cui ci interfacciamo, i minori non possono essere giudicati come un adulto, sebbene il codice penale sia uguale. La procedura minorile è invece diversa, ad esempio le custodie cautelari sono dimezzate per i minori. Bisogna adottare un intervento culturale e investire nei processi educativi, quindi scuola, lavoro e finanziamenti alle comunità. E poi ovviamente è importante evitare di cadere in quella deriva che vorrebbe abbassare l’età per finire in carcere addirittura ai 14 anni, sarebbe una mostruosità.>>

  • Secondo voi perché c’è molta indifferenza sulle condizioni dei detenuti?

Avv. Stomeo: <<Perché i detenuti non votano. La situazione delle carceri è un argomento politico molto difficile da manipolare ai fini del consenso elettorale. Inoltre, siccome per la semplificazione del dibattito conviene dividere il mondo in buoni e cattivi, la bramosia di sicurezza e rigidità è un modello che paga molto dal punto di vista elettorale. Tranne alcuni movimenti politici, come i radicali e pochi altri, nessuno schieramento affronta adeguatamente la questione. Sulle garanzie processuali invece si riesce ad essere più attenti, ma sui diritti dei detenuti nessuno ha il coraggio di esporsi perché perderebbe consensi.>>

  • Perché?

Avv. Stomeo: <<Perché si pensa che chi commette un reato debba soffrire senza possibilità di redenzione. Se si cercasse di sfondare questa idea di fondo, che è principalmente culturale, i partiti rischierebbero di scontrarsi con l’elettorato.>>

  • Cosa rispondere a chi dice che il carcere debba essere duro, brutto, soffocante e noioso per spaventare i potenziali delinquenti?

Avv. Stomeo: <<La risposta è semplice: bisognerebbe chiedere a queste persone se hanno mai riflettuto sull’utilità del carcere. Le carceri e le pene detentive nascono per evitare il ricorso alle pene corporali considerate troppo crudeli. Ma cosa ha prodotto il carcere dopo 250 anni di pene detentive? Ha prodotto criminalità. I soggetti che scontano l’intera pena sono al 62% recidivi. I soggetti che scontano la pena in misura alternativa hanno tassi di recidività bassissimi. La durezza serve? Dati alla mano serve solo a soddisfare la sete di vendetta, che però è irrazionale.>>

  • È possibile pensare a una rieducazione per chi vive al 41-bis?

Avv. Stomeo: <<Il 41-bis può essere definito “un mondo di mezzo”, una sorta di interruzione dei diritti fondamentali dell’essere umano perché si ritiene che ci siano delle particolari necessità di sicurezza. Col tempo si è trasformato in un regime alternativo di detenzione fuori dalla normativa costituzionale. Non è possibile pensare alla rieducazione perché non è l’obiettivo del 41-bis, che è una deroga all’articolo 27 della Costituzione, quindi si pone al di fuori dell’articolo. È come se ci fosse eternamente la legge marziale dopo una guerra. Non ha una giustificazione giuridica ma di politica di contrasto di determinati tipi di criminali. Alcune restrizioni però sono inverosimili, come la limitazione del numero di padelle, la foto di un familiare necessariamente di una determinata dimensione. Insomma il 41-bis è una risposta aggressiva dello Stato che vuole punire in maniera esemplare e far soffrire chi ha commesso certi reati, il che poteva essere una soluzione valida quando la legge è stata istituita, tuttavia non po’ diventare un metodo legale perché si pone fuori dalla legalità.>>

  • Soprattutto nelle ultime settimane si è parlato proprio di abolire il 41-bis. Chi è contro l’abolizione sostiene la necessità della misura non tanto per punire, quanto per isolare il detenuto il più possibile e depotenziarne la pericolosità. È possibile abolirlo ma controllare comunque i condannati per mafia e terrorismo?

Avv. Stomeo: <<Sarebbe gestibile controllare comunque i condannati. Basterebbero degli accorgimenti nella collocazione del detenuto, anche perché parliamo sempre di individue privati della libertà e tagliati fuori dal mondo. Ci sono chiaramente delle forme di deroga a quelli che sono i diritti dei detenuti. Ad esempio una limitazione dei colloqui, un controllo sulla corrispondenza, potrebbero essere compatibili ma con un procedimento sottoposto a controllo più serrato di quello attuale e sulla base di presupposti diversi da quelli attuali. Oggi il 41-bis fondamentalmente è quasi automatico per i reati di mafia e terrorismo senza un attento esame degli effettivi pericoli.>>

  • È giusto invece toccare l’ergastolo ostativo?

Avv. Stomeo: <<Sì, sarebbe giusto, ma perché è ancora peggio del 41-bis. L’ergastolo ostativo ha in sé una caratteristica di contrarietà al principio rieducativo forse ancora superiore al 41-bis, perché presuppone che la pena non debba finire mai. L’ergastolo non ostativo nel tempo si è modificato in una pena non necessariamente eterna, che è quello che ha detto la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto compatibile l’ergastolo con la carta ma solo nel momento in cui ci sia una rivalutazione periodica dello stato del detenuto. In ogni caso non può esistere una pena eterna, per questo sin dal ‘92 Antigone è impegnata nella campagna “mai dire mai” per l’abolizione dell’ergastolo.>>

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).