Oasi Culturale
IL CRISANTEMO E LA SPADA
Benvenuti su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. Oggi parleremo de “The Chrysanthemum and the Sword – Patterns of Japanese Culture”, saggio sulla civiltà giapponese scritto nel 1946 da Ruth Benedict.
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Copertina del libro “Il Crisantemo e la Spada”. Credit foto ibs.
di Alessandro Andrea Argeri
Pubblicato nel 1946, all’indomani di Hiroshima, Ruth Benedict analizza la civiltà giapponese, una realtà molto diversa da quella occidentale soprattutto per la forte sottomissione del singolo individuo alle regole del legislatore. Il testo nacque da una commissione del ministero della difesa statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale. La civiltà giapponese viene spiegata in un testo relativamente breve, senza tuttavia sembrare una sintesi, benché è lecito considerare delle necessarie omissioni per contenere la mole dell’opera, altrimenti infinita.
Sebbene l’autrice sia stata un’etnologa anziché una sociologa, il libro è considerato ancora oggi nella tradizione occidentale tra i classici della saggistica accademica di sociologia, non a caso continua ad essere stampato. Eppure il punto debole più grande consiste nell’attendibilità o meno delle argomentazioni, poiché l’autrice non ha mai vissuto in Giappone, non parlava giapponese, né tantomeno ha mai conosciuto giapponesi “puri”. I dati sono stati raccolti tramite interviste ad immigrati nipponici presenti negli Stati Uniti. Non poteva essere diversamente, tuttavia resta un limite.
Benedict mostra grandi doti di scrittrice. Adopera un linguaggio semplice, in certi punti sembra addirittura di trovarsi a leggere un romanzo. Idee complicate spiegate con chiarezza, senza ricorrere a paroloni inutili fuori luogo in un saggio didascalico. Ad oggi si apprezza soprattutto l’obiettività con la quale ci si pone nei confronti di un popolo al tempo “nemico”, di cui sono valutate obiettivamente sia i punti di forza sia gli aspetti di maggiore debolezza. Era difficile non essere di parte, considerato i committenti dell’opera.
Bisogna tuttavia considerare come la civiltà del 1946 si sia inevitabilmente evoluta. C’è stata la fine della guerra, la globalizzazione, l’ascesa del vicino cinese, l’approdo a un nuovo secolo, il semplice scorrere del tempo. Tutti fattori capace di mutare il vecchio nell’attuale Giappone, pertanto l’attendibilità scientifica del saggio con gli anni è venuta meno in favore di una semplice “fotografia storica”. Insomma, vale la pena leggerlo? Probabilmente non più, a meno di essere studiosi universitari o appassionati in materia. Inoltre è necessario possedere un buon livello di inglese, o in alternativa tanta pazienza col vocabolario, in quanto in Italiano il libro non è più stato tradotto.
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