Oasi Culturale
“Oliva Denaro” di Viola Ardone
Benvenuti su “Oasi Culturale” rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. Questa settimana parleremo del romanzo “Oliva Denaro” di Viola Ardone.
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di Sara D’Angelo
Credit foto: Pinterest
Il fiocco rosa appeso alla culla non è sempre stato sinonimo di gioia per il nuovo petalo sbocciato nel grembo materno. È femmina! Non è un maschio!
Martorana 1960.
Oliva è una ragazzina quindicenne di un piccolo paese siciliano, nata da genitori obbedienti alle tradizioni strette come catene al collo di un cane da guardia. Per Oliva il tempo del gioco non è ancora finito, spesso accompagna il padre nella divertente ricerca di lumache, a saltare sulle pozzanghere per poi correre nei prati più veloce del vento.
Quando arriva “il marchese” Oliva non è più una bambina, le sarà vietato uscire da sola, dovrà
rinunciare alle sue abitudini che tanto la rendevano felice.
“La femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia” le dice la madre, preoccupata di mantenere la brocca intatta fino all’altare.
Non deve esserci alcun utensile da riparare, come è successo alla sorella Fortunata rimasta incinta prima del matrimonio, per non parlare di tutte le battaglie ragionate allo scopo di condurre il figlio del sindaco davanti al prete. Oliva no, diventerà donna quando indosserà l’abito da sposa corredato dal velo imperlato di purezza. Oliva non perderà l’onore sotto il peso di un uomo annebbiato dai fumi dell’alcool. Lei preda, lui cacciatore. Così deve essere. L’egemonia maschile non ammette eccezioni, ad ogni comportamento vizioso la donna deve arrossire, pena la perdita della reputazione. Ci sono leggi non scritte osservate di generazione in generazione, sigillate nel silenzio omertoso di chi applica la sanzione ancor prima che venga commesso il reato.
Ribellarsi alla segregazione femminile è troppo presto per dare giustizia a tutte le donne vessate dalla supremazia di padri, mariti, fratelli …maschi. Pirati dell’universo aggraziato col capo chino alla volontà incontestabile.
La mente irrigidita dal rigore morale sembra voglia leccarsi le ferite incancrenite pur di non allentare la resistenza del tesoro custodito. Nessuna chiave ha il diritto di regalare alla serratura il giro proibito dalla coscienza. Spetta all’albero decidere cosa ne sarà delle sue foglie, abituato a credere che tutto gli sia dovuto non desterà meraviglia se le farà ingiallire in piena primavera.
La storia diventa dramma quando la sacralità di una vergine viene profanata dalla violenza fisica e psicologica. Oliva è donna disonorata per mano del figlio di un commerciante che, con la “fuitina” senza consenso, pretenderà di assumersi le proprie responsabilità attraverso il matrimonio riparatore.
Il NO di Olivia è il NO di una colpevole anziché di una vittima evasa dalla prigione ancor prima di essere rinchiusa tra le sbarre. Il tribunale delle bocche pettegole del paese sovverte la punizione adeguata al peccato nel miscuglio delle carte nauseabonde d’ingiustizia. Quel NO sa già di solitudine, la società dell’epoca prende le distanze da chi sconvolge il dogma della consuetudine.
Decidere del proprio destino richiede coraggio unito a più voci, Oliva si concede al sostegno dei suoi genitori, umile gente distaccata da ogni forma di pregiudizio.
“Un no, da solo, può cambiare una vita, e tanti no messi insieme possono cambiare il mondo”.
Non esiste altro modo di dare un’identità alla storia che fissare il nome a grandi lettere subito dopo la firma su stampa della scrittrice, il titolo annuncia una donna perché lei, solo lei ha il diritto di denunciare l’abuso libero di marcire l’anima nella sua fioritura. Nella crudeltà del fatto, la famiglia svolge un ruolo di primaria importanza donando forza e sostegno alla fragilità indifesa. Oliva Denaro può contare sulla figura di un padre sensibile nel suo modo di elargire silenzi da cui ricavare il beneficio del ristoro mentale.
Un affetto paterno così profondo al punto che nella quarta e ultima sezione del romanzo, la scrittrice cede la sua penna al solo uomo che, invaso d’amore, presta il suo sguardo agli occhi di una donna. Un padre. Anche se la felicità del suo fiore lo porterà a restare solo, il seme sa di aver dato vita perché la Terra ne tragga suprema bellezza. L’intensità del rapporto commuove la parola non detta ma esplicita nel sublimare l’unicità di due metà intere.
“Avevi ragione tu, papà: ogni cosa viene per chi sa aspettare”.
La storia di Oliva Denaro offre un terribile richiamo alla memoria della vicenda subita da Franca Viola nel 1965. Fu spettacolo offerto in pasto alle fauci della pubblica piazza, fu piatto condito con il disonore, la vergogna, il ripudio dell’indipendenza femminile.
La violenza si ripetè insieme al NO della vittima al matrimonio riparatore, ci vollero anni prima di rimuovere la follia della spina sociale messa nero su bianco nell’articolo 544 del codice penale.
“Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
Finalmente libera dal giogo delle istituzioni Oliva sceglie di emigrare lontano, solo a se stessa deve chiedere il permesso di misurarsi con il metro di vita che le spetta. Il paese riavrà la sua vittima sacrificale parecchi anni dopo, quando Oliva ritornerà da insegnante tra i banchi di scuola, eredi di un testamento orale pieno di preconcetti ancora intatto.
Oliva Denaro sposerà l’Amore che non ammette repliche, il sentimento a colori sopravvissuto alle brutte copie in bianco e nero.