Sanità
Sanità pubblica, quei tagli che fanno male
di FLAVIO DIOGRANDE
Nonostante i timidissimi segnali positivi, che vanno confermati nelle prossime settimane, la battaglia contro il coronavirus è ancora lontana dall’esser vinta ed è chiaro che i cittadini siano ora prevalentemente concentrati sul presente e sugli sforzi necessari per ritrovare quanto prima la propria normalità. Quando l’emergenza covid-19 sarà passata, tuttavia, occorrerà riflettere attentamente sulle priorità che questo Paese dovrà darsi in prospettiva futura, abbandonando la retorica nazional popolare che oggi risente inevitabilmente del peso degli avvenimenti e nasconde le inefficienze del nostro sistema sanitario. La sanità pubblica tornerà ad avere un ruolo chiave nell’agenda politica dei prossimi anni e, di conseguenza, beneficerà delle risorse finanziarie necessarie a garantire i princìpi di equità, solidarietà e universalismo sui quali si basa il Servizio Sanitario Nazionale?
«Nell’ultimo decennio tutti i Governi hanno contribuito a sgretolare il SSN, la maestosa opera pubblica costruita per tutelare la salute delle persone», ha affermato Nino Cartabellotta presidente della Fondazione Gimbe, il Gruppo Italiano per La Medicina Basata sulle Evidenze commentando l’ultimo rapporto (“Il definanziamento 2010-2019 del Servizio sanitario nazionale”) della fondazione che attraverso attività indipendenti di ricerca, formazione e informazione scientifica si pone l’obiettivo di favorire l’applicazione delle migliori evidenze scientifiche al fine di migliorare la salute delle persone e di contribuire alla sostenibilità di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico.
Nello studio realizzato dal centro di ricerche si evidenzia che «la crisi di sostenibilità del SSN coincide con un prolungato periodo di grave crisi economica durante il quale la curva del finanziamento pubblico si è progressivamente appiattita, in conseguenza di scelte politiche che negli ultimi dieci anni hanno determinato una rilevante contrazione della spesa sanitaria». Nel decennio 2010-2019, il finanziamento pubblico del SSN è aumentato complessivamente di € 8,8 miliardi, ma l’incremento è stato inferiore al tasso d’inflazione media annua, per cui si può parlare di definanziamento decennale.
Analizzando i documenti di finanza pubblica degli ultimi dieci anni, gli autori del report sottolineano che il definanziamento della sanità pubblica, inizialmente imputabile alla crisi economica, si è trasformato in una costante irreversibile. In altri termini, se nel primo quinquennio, il SSN si è fatto pesantemente carico della crisi, la ripresa economica del Paese non ha avuto e non avrà un corrispondente positivo impatto sulla spesa sanitaria, come dimostra l’analisi dei DEF 2017, 2018 e 2019 che documenta «la precisa intenzione di non rilanciare il finanziamento della sanità pubblica».
Per quanto concerne l’entità del definanziamento pubblico del Servizio Sanitario Nazionale, nel periodo 2010-2019 alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre € 37 miliardi, di cui circa € 25 miliardi nel 2010-2015, in conseguenza di tagli previsti dalle varie manovre “lacrime e sangue” e oltre € 12 miliardi nel 2015-2019, a seguito del definanziamento che ha assegnato meno risorse al SSN rispetto ai livelli programmati per l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica. Risorse insufficienti che hanno intaccato la qualità dell’assistenza, determinando la chiusura di strutture ospedaliere, il ridimensionamento del numero di lavoratori, compresi medici e infermieri, un peggioramento delle condizioni di lavoro, la riduzione dei posti letto e l’aumento dei livelli delle compartecipazioni richieste ai cittadini e delle aliquote di imposta (ticket) con conseguente forte incremento della quota di cittadini che hanno rinunciato a visite mediche per il costo eccessivo. Tutto questo nel Paese con l’età media della popolazione più alta al mondo, seconda solo al Giappone.
Prendendo in considerazione la spesa sanitaria pro-capite totale (pubblica e privata insieme), il nostro paese è molto al di sotto della media Ocse: in Italia si spendono in media 3.428 dollari contro i 3.980 della media Ocse (in Europa spendono meno di noi solo Spagna, Repubblica Ceca, Portogallo, Slovenia, Lituania, Repubblica Slovacca, Estonia, Grecia, Polonia, Ungheria e Lettonia), mentre per la sola spesa pubblica si spendono 2.545 dollari a fronte dei 3.038 dollari medi degli altri Paesi Ocse.
Guardando ai Paesi del G7, i numeri confermano il trend negativo dell’Italia in termini di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, come si legge nel rapporto: «Se nel 2009 le differenze assolute sulla spesa pubblica tra l’Italia e gli altri paesi del G7 erano modeste, con il costante e progressivo definanziamento pubblico sono ormai divenute incolmabili: ad esempio, se nel 2009 la Germania investiva “solo” $ 1.167 (+50,6%) in più dell’Italia ($ 3.473vs $ 2.306), nel 2018 la differenza è di $ 2.511 (+97,7%), ovvero $ 5.056 vs $ 2.545».
Secondo quanto emerge dalla relazione presentata dal Gimbe, il Fondo Nazionale Sanitario rappresenta il capitolo di spesa pubblica più facilmente aggredibile, come confermano le scelte politiche susseguitesi negli anni: «Dal 2010 tutti i Governi hanno sempre trovato nella spesa sanitaria le risorse necessarie per fronteggiare ogni emergenza finanziaria, certi che il SSN possa fornire sempre e comunque buoni risultati in termini di salute».
Il report della fondazione si conclude con l’elencazione di una serie di punti programmatici che indipendentemente dal colore dei Governi consentirebbero di pianificare, stabilizzandolo, il rilancio il finanziamento pubblico per il SSN – tra questi una soglia minima del rapporto spesa sanitaria/PIL e un incremento percentuale annuo in termini assoluti, pari almeno al doppio dell’inflazione – «prendendo reale consapevolezza che il rilancio della sanità pubblica richiede volontà politica, investimenti rilevanti, un programma di azioni a medio-lungo termine e innovazioni di rottura».
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