23 Giugno 2025
Se l’assassinio di Anastasia ed Andromeda non ci insegna nulla

Di Rosamaria Fumarola
Sul perché alcuni eventi delittuosi ci colpiscono più di altri molto potrebbe essere scritto, senza la certezza tuttavia di raggiungere un risultato esaustivo. Il rapporto con le immagini dei media infatti, come insegnava Pasolini è tutt’altro che scevro da usi asettici ed anzi, semmai lo si desiderasse non sarebbe possibile. È così i visi delle piccole vittime palestinesi, benché versino in condizioni milioni di volte peggiori di qualsivoglia bambino che viva o muoia nelle nostre città, ci colpiscono di meno. Di questo è responsabile il passato coloniale di un occidente diventato tale disumanizzando e sfruttando il resto del mondo, ma questo lo sappiamo già o almeno così si spera. Vedere invece una bambina di nemmeno un anno tra le braccia del padre, passeggiare nelle strade delle nostre città, fa parte di un “paesaggio”, di una visuale che ci appartiene e quella bambina è come se fosse anche un po’ la nostra. Il pensiero poi che una creatura che fiduciosa si affida ciecamente al padre, possa di lì a qualche giorno finire col giacere inerme in un parco, non lontano dal corpo morto della madre, provoca in noi reazioni che ci feriscono al punto tale da preferire respingerne anche la sola idea. Su tutti gli schermi televisivi abbiamo potuto visionare le immagini che ritraevano Andromeda poco prima che suo padre la strappasse alla vita, la sua tenerezza nell’abbracciare chi già l’aveva resa orfana di sua madre e che la stava tradendo una volta di più. Passeggiavano per Roma e quell’ uomo americano era già stato segnalato dai passanti per lo stato alterato, per la sua aggressività e nonostante l’intervento della polizia nessun agente si è premurato di chiedere i documenti di Andromeda e l’ americano, “buono e bello” per statuto, ha potuto chiudere le sue vacanze romane con l’omicidio di una giovane donna e di sua figlia, della quale era anche il padre. Andromeda è stata così tradita anche dalla sciatteria delle nostre forze dell’ordine che, anche in assenza di disposizioni precise riguardo la procedura da seguire in casi simili (disposizioni che invece abbondano nel nostro ordinamento!) avrebbero potuto agire secondo buonsenso ed invece per ben quattro volte hanno preferito lasciare che quell’ uomo continuasse tra i fumi dell’ alcool le sue passeggiate. Un americano che tra le altre cose nel suo paese era già stato condannato cinque volte per aggressione e che aveva truffato il nostro Ministero dei Beni Culturali facendosi finanziare con quasi novecentomila euro in quanto regista, un film mai realizzato. Mi sia poi consentita una piccola digressione: il nostro governo si preoccupa di impedire la vendita della cannabis light, equiparandone gli effetti a quelli di tutte le droghe, ma tollera l’abuso di alcool come consuetudine diffusa ed accettabile. Eppure la violenza che è in grado di scatenare, che Edgar Allan Poe analizza magistralmente quando in un suo racconto descrive un uomo che in preda all’ alcool uccide il gatto che amava sopra ogni cosa, è la stessa che è quasi sempre all’ origine delle aggressioni ai danni delle donne, dentro e fuori casa. Anastasia e la sua bambina non ci sono più e il destino del loro carnefice mi è personalmente indifferente. La tenerezza e la protezione che si deve invece a chi ha bisogno di aiuto, come un imperativo categorico non ci deve mai abbandonare, a Roma come a Gaza.
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