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Il blues non è tutto il jazz, ma tutto il blues è jazz

Aldilà dei suoi contenuti, il blues aprì la strada al jazz e questo perché le sue armonie erano di derivazione chiaramente europea. Sarebbe tuttavia riduttivo ritenere che la sua influenza non si sia estesa oltre lo stesso jazz. Il rock ad esempio ha nel blues la sua matrice fondamentale.

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Credit foto Carl Van Vechten

Il dibattito sulle origini del jazz è ancora oggi vivacissimo. Benché però non si possa disconoscere la presenza in questo genere dei contributi di tutti coloro che nell’ America del nord rappresentavano le minoranze sfruttate, provenienti soprattutto dall’Europa, il legame tra il jazz e le vicende degli schiavi di colore deportati dall’Africa non sembra potersi mettere in discussione. Tale legame diventa chiaramente leggibile se si prende in considerazione il patrimonio culturale a cui il jazz per via diretta attinse e cioè il blues, del quale brevemente ricorderò qui alcune caratteristiche, allo scopo di sottolineare il ruolo determinante che assunse come una delle testimonianze più vitali dello scorso secolo, ruolo ancora oggi troppo poco rimarcato. 

Il blues nacque, come musica vocale nera,  nel momento in cui i padroni sottrassero agli schiavi gli strumenti a percussione che avevano portato dall’Africa. Tali strumenti col tempo sarebbero stati ricostruiti (vibrafono, xilofono, banjo etc. hanno infatti tutti origini africane) ma per un periodo sostanzialmente lungo gli schiavi furono costretti ad usare esclusivamente la propria voce. 

Negli anni venti del secolo scorso le case discografiche compresero che il “canale nero” poteva rivelarsi una fonte straordinariamente redditizia da un punto di vista economico ed incominciarono così a produrre i cosiddetti “race records” registrazioni cioè riservate esclusivamente ad un pubblico di colore. Questo mercato, favorito per questioni meramente legate al profitto, si tradusse tuttavia in un’ operazione culturale dalla portata inimmaginabile per quegli stessi manager che l’avevano favorita e se prima di allora non esisteva contatto alcuno tra un nero di uno stato americano e quello di un altro, le registrazioni blues consentirono alle loro storie di essere vicendevolmente conosciute. È dunque a questo punto che anche per la lunga battaglia per il riconoscimento dei diritti degli uomini di colore, il principio secondo il quale non esiste libertà senza possibilità di esprimersi manifestò tutta la sua rivoluzionaria importanza, consentendo agli schiavi africani di far conoscere dovunque la realtà della propria condizione. Va ricordato che quegli erano gli stessi anni in cui i senatori sudisti con grande naturalezza sottolineavano, durante i consueti discorsi al Senato, la necessità dell’esistenza di una classe sociale che svolgesse i lavori più pesanti ed ingrati e che fosse moralmente preferibile che li eseguissero gli appartenenti ad una razza inferiore, quale appunto quella degli afroamericani. Da questo punto di vista, un esempio straordinario del blues usato come lamentazione è il “Patrol Wagon Blues” il blues del furgone di polizia, nel quale il suo autore con questi eccezionali, sintetici versi finali rende appieno la condizione disumanizzante a cui gli schiavi di colore, come animali erano destinati:

“…se quel furgone ti prende 

andrai senza scampo in galera

e ti sentirai come un cane

con una scatola di latta legata alla coda”.

Aldilà dei suoi contenuti, il blues aprì comunque la strada al jazz e questo perché le sue armonie erano di derivazione chiaramente europea. Sarebbe tuttavia riduttivo ritenere che la sua influenza non si sia estesa oltre lo stesso jazz. Il rock ad esempio ha nel blues la sua matrice fondamentale. Non è questa la sede per analizzare diffusamente il fenomeno tanto della nascita e dello sviluppo del blues, quanto dello schiavismo da cui trasse origine e nemmeno per citare i bluesman e le blueswoman che hanno dato lustro a tale genere, ma ritengo tuttavia doveroso concludere con i celebri versi cantati in “Strange Fruit”, il blues portato alla celebrità mondiale da Billie Holiday:

“Gli alberi del sud fanno strani frutti,

sangue sulle foglie e sangue alle radici.

Corpi che dondolano alla brezza del sud,

strani frutti appesi ai pioppi.

Scene pastorali del galante sud,

occhi che strabuzzano e bocche contorte.

Profumo di magnolia, dolce e fresco,

poi il puzzo improvviso 

della carne bruciata.

Qui ci sono dei frutti

da beccare per le cornacchie,

da far marcire per la pioggia,

da succhiare per i venti,

da far imputridire per il sole,

da far cadere per gli alberi.

Qui c’è uno strano, amaro  raccolto.

Rosamaria Fumarola

RIPRODUZIONE RISERVATA ©

Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano