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18 Maggio 2025

Roberta Lanzino, il diavolo all’incrocio

Sono passati tanti anni ma c’è un profilo di Dna che può ancora dare giustizia a Roberta.

Nell’attesa Roberta Lanzino vive. Nel cuore delle persone che l’amano e nel centro antiviolenza a lei dedicato.

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Credit fotohttps://www.ilreggino.it/societa/2023/12/08/polistena-contro-la-violenza-sulle-donne-la-testimonianza-della-madre-di-roberta-lanzino/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Ma come erano belli gli anni 80!? I messaggi d’amore scritti sul diario. Le cassette con la musica preferita. Quelle foto con i colori vividi come le emozioni che si vivevano.

Poca tecnologia ma si parlava di più.

Le corse in motorino verso la libertà.

Gli anni 80 erano belli perché ci aprivamo al mondo. Adolescenti verso l’età adulta.

Come Roberta Lanzino. Una ragazza di 19 anni che viveva a Rende insieme alla sua famiglia. Suo padre, sua madre, un fratello e una sorella. Affiatati e felici.

Roberta Lanzino era iscritta all’Università e studiava con profitto. Aveva tanti interessi.

Per descriverla i suoi amici usano poche parole che racchiudono tutto “era impossibile non volerle bene”.

Aveva tanta gioia di vivere Roberta.

Anche il 26 luglio 1988. Estate, pausa dai libri. Vacanze spensierate con la famiglia nella loro villa al mare a Miccisi di San Lucido. A pochi metri dallo splendido mare di Calabria.

Il pomeriggio di quel caldo 26 luglio Roberta, sua madre e suo padre si devono appunto recare presso la loro villa dove già attendono il fratello e la sorella.

Giusto il tempo di attendere il rientro a casa del padre, impiegato di banca, e si parte.

Roberta ha ottenuto di poter portare il motorino nella villa al mare. Ad una condizione. I genitori la seguiranno in auto percorrendo una strada secondaria. Più sicura.

Sono le 17 e Roberta è pronta con il motorino. Il padre chiama a casa avvisando che sta per arrivare. Si parte.

Roberta dice a sua madre che lei si avvia con il motorino. Tanto loro sono in auto e in pochi minuti la raggiungeranno.

Roberta parte. Dopo pochi minuti arriva il padre che carica alcune buste con delle provviste e con sua moglie si avvia verso la villa al mare.

Devono, però, fare due soste durante il tragitto. Presso una frutteria per prendere un cocomero e presso una fontana pubblica per riempire un bidone.

Ripartono nella certezza di raggiungere Roberta o di trovarla con i suoi fratelli al mare.

Durante il tragitto Roberta non viene raggiunta. Non è nemmeno arrivata nella villa al mare.

Qualcosa non va. Una brutta sensazione.

Il padre ripercorre la strada. Chiama gli ospedali. Di Roberta nessuna notizia.

Vengono allertate le autorità. Le ricerche partono subito nonostante l’oscurità.

Finiscono, nel peggiore dei modi, nella notte del 27 luglio.

Viene prima trovato il motorino e circa 70 metri più avanti, in uno spiazzo coperto di rovi e difficile da vedere dalla strada, il corpo della ragazza.

Credit foto “Telefono Giallo”
Foto del 1988/89 credit Geoportale Nazionale. La freccia indica il punto di ritrovamento del motorino

Il cadavere è in posizione supina. Con la testa verso la strada e i piedi verso il mare. Seminuda con la maglietta e il reggiseno arrotolati sul torace. Gli occhiali, le scarpe, gli slip strappati e i jeans aperti da un taglio netto sono nello spiazzo a qualche metro dal corpo.

Sulla maglietta, sul reggiseno, sugli slip e sui jeans molte macchie di sangue.

Dietro la testa una pozza di sangue quasi asciutta.

Sul corpo una trentina tra lividi ed ecchimosi. Anche sul volto, forse colpita con un pugno.

Ha ferite da coltello sulla testa e due sulla gola. Profonde, trapassanti.

Roberta si sloga una caviglia. Probabilmente nel tentativo di fuggire.

Muore per soffocamento. Infilate in gola le spalline, intrise di sangue, che la vittima portava sotto la maglietta.

Prima di essere uccisa è stata violentata. In modo molto violento e ripetuto.

Roberta non doveva trovarsi lì. Per prima cosa, quindi, viene ricostruito il suo percorso.

Da San Fili Roberta arriva, senza problemi, alle porte di Falconara Albanese.

Arriva, però, ad un bivio e non sa che strada prendere.

Si ferma. Arriva un furgone con a bordo degli agricoltori. Lei chiede la strada per raggiungere Torremezzo di Falconara.

Gli occupanti del furgone non le indicano la strada che abitualmente Roberta percorre con i genitori ma un diverso percorso che comunque la porterà a Torremezzo.

Accompagnano Roberta Lanzino per alcuni km poi si separano.

Successivamente, verso le 18.10, Roberta chiede ad un agricoltore, Luigi Frangella, se è la strada giusta per Torremezzo. La ragazza si è persa. Può capitare facilmente considerata la presenza di molti bivi.

La freccia indica il punto di ritrovamento del motorino

Riceve risposta affermativa e riparte.

Alcuni testimoni vedono una Fiat 131, guidata da un uomo biondo e magro, seguire Roberta.

Molte le tracce organiche repertate. Dalle quali non si ricaveranno elementi decisivi.

L’attenzione degli investigatori si concentra su Luigi Frangella, suo fratello Rosario e suo cugino Giuseppe. Rosario aveva gravi precedenti psichiatrici.

Verranno processati, tranne Rosario considerato incapace d’intendere, e assolti.

Le indagini si riaprono nel 2007. Un pentito indica Luigi Carbone e Franco Sansone come gli assassini di Roberta.

Il Ris dei carabinieri riesce a ricavare il Dna da tracce di sperma trovato nel terriccio sotto il corpo della ragazza.

Franco Sansone viene processato mentre Luigi Carbone è scomparso da anni. Forse vittima di lupara bianca.

Il Dna individuato dai Ris viene confrontato con quello di Sansone e Carbone. Ma non corrisponde.

Gli imputati vengono assolti. Durante il processo la casa al mare della famiglia di Roberta Lanzino viene prima incendiata e successivamente messa a soqquadro.

Ad aggredire e violentare Roberta Lanzino sono state almeno due persone.

Viene stordita con un pugno. Poi portata nel luogo dove è stata violentata e uccisa.

L’incontro con i suoi assassini appare casuale e forse la prima aggressione avviene ad una certa distanza dal luogo del ritrovamento. Gli assassini potrebbero aver utilizzato un furgone.

Si potrebbe ipotizzare che gli assassini notano che Roberta si è persa e che quindi è vulnerabile.

Viene usata una violenza incontrollata. Bestiale. Chiaro segno di disturbi sessuali evidenti. Senza controllo. Quindi potrebbero esserci stati episodi precedenti. Forse non denunciati per paura.

Nella dinamica dell’omicidio di Roberta ritroviamo elementi presenti in altri casi. I jeans tagliati riportano al mostro di Firenze. Nel 1990 Simonetta Cesaroni viene stordita con un pugno. Pugnalata al volto e da una ferita da arma tagliente che le trapassa la gola.

Coincidenze? Forse ma è possibile che abbiamo di fronte assassini accomunati da fantasie sessuali malate alimentate anche dalla lettura della cronaca nera. L’assassino di Roberta potrebbe aver letto e preso ad esempio le modalità usate dal mostro di Firenze mentre l’assassino di Simonetta Cesaroni potrebbe aver alimentato le sue fantasie malate leggendo o vedendo in tv la dinamica dell’omicidio di Roberta.

Dando per assodato la presenza di due aggressori evidentemente erano legati da un vincolo di parentela o di complicità. Avevano una perfetta conoscenza del territorio. Conoscevano la presenza dello spiazzo nascosto alla vista. Lo avevano già frequentato.

Come hanno incontrato Roberta? Forse lavoravano lungo la strada. In alternativa potrebbe esserci stata una dinamica simile a quella raccontata nel film “Duel”.

Di sicuro casualmente Roberta ha incontrato il demonio.

Sono passati tanti anni ma c’è un profilo di Dna che può ancora dare giustizia a Roberta.

Nell’attesa Roberta Lanzino vive. Nel cuore delle persone che l’amano e nel centro antiviolenza a lei dedicato. Centro fondato dai suoi genitori pochi mesi dopo la tragedia. Hanno voluto mettere subito a disposizione il loro dolore per evitare ad altri di viverlo. Come fece la signora Franca Bizzarri Rampi dopo la morte del suo Alfredino.

Purtroppo oggi il Centro Antiviolenza “Roberta Lanzino” vive un periodo difficile https://www.telemia.it/centro-antiviolenza-roberta-lanzino-in-crisi-denuncia-lindifferenza-istituzionale/.

Roberta morta sulla strada sbagliata ora ci indica quella giusta. Seguiamola.

Credit foto archivio “Il Messaggero”

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