10 Agosto 2025
GIUSTIZIA O VENDETTA?
Il caso Marianne Bachmeier: la madre che uccise l’assassino della figlia in tribunale

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Anche in Italia capita sempre più spesso di sentire o leggere ” dobbiamo farci giustizia da soli, la magistratura non funziona”. In realtà la chiamano giustizia ma è vendetta. Non è la stessa cosa. Come illustrato da Seneca https://sapere.virgilio.it/scuola/superiori/letteratura-storia-filosofia/letteratura-greca-latina/tragedie-seneca-analisi-riassunto .
Per capirlo meglio raccontiamo una vicenda di quarantaquattro anni fa.
Lübeck, Germania Ovest – 6 marzo 1981. Ore 10:00. In un’aula del tribunale distrettuale, gremita di giornalisti e pubblico, una donna apre la borsa, estrae una pistola e spara. Sette colpi, forse otto. Il bersaglio è Klaus Grabowski, 35 anni, imputato per il rapimento e l’omicidio di Anna Bachmeier, 7 anni. A sparare è Marianne Bachmeier, la madre della bambina. Il suo gesto scuote l’opinione pubblica tedesca e mondiale, aprendo un dibattito feroce tra diritto, etica e dolore.
Una tragedia annunciata
Il 5 maggio 1980, Anna, dopo un litigio con la madre, decide di non andare a scuola. Poche ore dopo, scompare. Il corpo viene ritrovato giorni dopo: strangolata con un paio di calze, chiusa in una scatola di cartone e abbandonata accanto a un canale nei pressi di Lübeck.
Il sospettato è Klaus Grabowski, un uomo con precedenti penali per abusi su minori. Era stato castrato chimicamente anni prima, ma successivamente sottoposto a un trattamento ormonale che aveva invertito la procedura. Nonostante ciò, viveva libero e in compagnia della sua compagna. Sarebbe stato proprio quest’ultima a denunciarlo, portando alla sua incriminazione.
Grabowski conosceva Anna. Secondo le ricostruzioni, l’aveva attirata a casa sua con la promessa di lasciarla usare il telefono. Poi l’omicidio. La difesa avrebbe sostenuto che temeva di tornare in prigione per aver violato la libertà vigilata.
Il processo comincia nel marzo del 1981. Marianne, 30 anni, è presente. Al terzo giorno di udienza, entra in aula con una pistola Beretta 70 calibro .22, nascosta nella borsa. Al momento opportuno, si alza, punta l’arma e fa fuoco. Grabowski muore sul colpo.
Secondo i testimoni, non c’è isteria: solo freddezza, silenzio, e poi le manette.
L’evento scuote la Germania. Alcuni media la definiscono “la madre vendetta”, altri titolano: “La giustizia del cuore”. Il paese si divide. Da un lato chi esprime empatia per una madre devastata dal dolore, dall’altro chi teme le conseguenze di un gesto che mina la fiducia nella giustizia statale.
Il settimanale Stern le offre 100.000 marchi tedeschi per l’esclusiva della storia – denaro destinato a finanziare la sua difesa legale. In carcere, riceve oltre 15.000 lettere di solidarietà.
Nel novembre 1982 si apre il processo a Marianne. L’accusa iniziale è di omicidio, ma presto viene ridimensionata: l’atto, secondo la corte, non è premeditato. Si parla di omicidio colposo.
Il 2 marzo 1983 arriva la sentenza: sei anni di reclusione, di cui ne sconta solo tre. Il giudice riconosce che la donna ha agito in uno stato emotivo alterato, travolta da un dolore inimmaginabile.
Dopo il rilascio, Marianne cerca anonimato. Si trasferisce in Nigeria con il marito, poi in Sicilia. Nel 1990 torna in Germania e racconta la sua storia in varie interviste. Nel 1995, malata di cancro al pancreas, appare in televisione e dichiara:
“Non potevo sopportare che quell’uomo mentisse su mia figlia. L’ho fatto per fermarlo.”
Muore il 17 settembre 1996, a soli 46 anni. Viene sepolta accanto alla piccola Anna nel cimitero di Burgtor, a Lübeck.
La vicenda di Marianne Bachmeier non è soltanto un fatto di cronaca. È una ferita aperta nella storia della giustizia tedesca. Rappresenta il limite sottile tra giustizia e vendetta, tra legalità e giustizia morale, tra ciò che è giusto e ciò che è comprensibile.
Ancora oggi è oggetto di studi, documentari e dibattiti. La sua storia è stata raccontata in film come Annas Mutter (1984) e citata in numerosi saggi su trauma e giustizia.
A distanza di oltre 40 anni, la domanda resta sospesa:
Quando la giustizia fallisce, chi ha il diritto di agire?
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