09 Marzo 2025
Fabio Cagnazzo, i primi atti di polizia giudiziaria nell’omicidio Vassallo
Ci si può difendere in modo efficace con una mano legata dietro la schiena?

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
In attesa di altre approfondite analisi sulla scena del crimine e altri elementi, ci soffermiamo su un aspetto apparentemente secondario.
Fabio Cagnazzo è un colonnello dei Carabinieri. Detta così sembra la scoperta dell’acqua calda.
Essendo colonnello dei Carabinieri è ufficiale di Polizia Giudiziaria.
Come sappiamo gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria “sono sempre in servizio”.
La loro attività è regolata dagli articoli 55 e 348 c.p.p.
L’art 55 comma 1 recita “La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”.
L’art 348 c.p.p. comma secondo recita: “Al fine indicato dal comma 1, procede, fra l’altro: alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi; alla ricerca di persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti…”.
Tutto ciò che vuol dire? Vuol dire che l’ufficiale di polizia giudiziaria Fabio Cagnazzo non solo poteva ma doveva agire per ricercare e conservare le tracce pertinenti al reato.
“Ma era fuori giurisdizione e non aveva la delega dell’autorità giudiziaria”, vero ma Cagnazzo, uno dei migliori investigatori dell’Arma, procede ai primissimi ed urgenti atti di polizia giudiziaria. Se dall’acquisizione del video operata dal colonnello Cagnazzo o dagli altri atti di polizia giudiziaria che compie quella notte, fosse scaturito l’arresto dell’assassino tali atti sarebbero stati annullati o invece legittimati ex articoli 55 e 348 c.p.p.?
Fabio Cagnazzo ha arrestato centinaia di latitanti anche agendo di iniziativa fuori giurisdizione. La difesa durante il dibattimento avrà modo di illustrare la prassi operativa usata per anni dal colonnello Cagnazzo. Con annessi ottimi risultati che nessuno ha mai censurato per questioni di giurisdizione.
Parlando di giurisdizione bisogna fare un passo indietro. Negli anni 70 l’Arma dei Carabinieri si trova ad affrontare due grosse emergenze. Il terrorismo prima e la criminalità organizzata, agli inizi degli anni 80, poi.
Il modus operandi di terrorismo e malavita organizzata mettevano in crisi il rigido criterio di giurisdizione che regolavano le indagini di P.G. dell’Arma.
Che seppe rispondere con il metodo investigativo del generale Dalla Chiesa: indagini di polizia giudiziaria di iniziativa ovunque occorresse, squadre di carabinieri attentamente scelte con la capacità di ragionare come i malavitosi e mimetizzarsi.
L’esperienza del generale Dalla Chiesa ha portato alla fondazione dei ROS. Di cui il generale Domenico Cagnazzo, padre del colonnello Cagnazzo, è stato uno dei fondatori.
Fabio Cagnazzo è uno degli eredi di questa filosofia investigativa. Se non capiamo questo non possiamo capire il suo modo di operare.
Tanto più se consideriamo la struttura del reato. Seguendo la teoria della bipartizione possiamo suddividere il reato in elemento oggettivo ed elemento soggettivo.
L’elemento oggettivo è il verificarsi di una azione contraria alla legge con la consapevolezza dell’antigiuridicità nell’autore.
Nel caso del colonnello Cagnazzo le azioni che compie non sono contrarie alla legge. Acquisisce il video che le perizie dimostrano non aver subito tagli o alterazioni. Certo poteva sequestrarlo ma parliamo di questioni di forma.
Anche il visionarlo presso il comando di Castello di Cisterna potrebbe rispondere alla necessità operativa, essendo presenti presso quel comando elementi di fiducia del colonnello che avendo ottima conoscenza della geografia criminale campana potevano riconoscere eventuali soggetti ripresi nel video.
Gli atti che compie sulla scena del crimine sembrano non avere elemento oggettivo di reato. Essendo comportamenti comuni, anche se non proprio ortodossi, nell’attività di primo accertamento e che non hanno portato danni alla ricostruzione degli eventi https://ilsud-est.it/attualita/inchiesta/2025/02/10/fabio-cagnazzo-quei-ventitre-minuti-di-troppo/.
Anche l’elemento soggettivo del reato sembra mancare. Per dimostrare il dolo dovrebbe essere certo il movente dell’omicidio. Il presunto traffico di droga esiste solo nelle parole dei pentiti. Nessun riscontro oggettivo. I pentiti non si possono limitare a generiche affermazioni. Il presunto traffico di droga deve essere ricostruito con elementi verificabili.
Dove sono i denari che avrebbe guadagnato con il traffico di droga il colonnello Cagnazzo? Dove sono le prove di un suo coinvolgimento?
Debole anche l’ipotesi di colpa o di prerintenzione. Cagnazzo ha compiuto atti che era addestrato e qualificato a fare. Senza arrecare danni alle indagini.
Anche l’aver indicato una determinata pista investigativa appare debole come presunto depistaggio. Dato che quella pista venne seguita per almeno quattro anni, come dimostra questo video del 19 febbraio 2014.
Inoltre Fabio Cagnazzo proprio perché non assegnato alle indagini non poteva assolutamente influenzarle nel loro lungo proseguo.
Fabio Cagnazzo non era un turista in maglietta e ciabatte che ad Acciaroli gioca a fare il detective dilettante o una anonima manina che fa scomparire le agende rosse. I suoi , fino a mancante prova contraria, erano atti di polizia giudiziaria finalizzati ad individuare gli assassini.
L’avvicinarsi del processo impone e ci impone analisi oggettive basate su fatti provati e sugli atti.
A proposito di atti, ci sia permessa una considerazione finale. Si parla di parità tra pubblica accusa e difesa, allora perché chi deve difendersi da gravi accuse deve pagare anche diverse migliaia di euro per avere copia del fascicolo processuale?
Ci si può difendere in modo efficace con una mano legata dietro la schiena?
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