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07 Luglio 2025

Via Caravaggio, 1975: la strage irrisolta che insanguinò Napoli

La verità, come l’acqua nella vasca in cui giacevano i corpi, resta torbida, immobile. Irraggiungibile.

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Un massacro in famiglia tra misteri, depistaggi e indagini mai risolte

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Napoli, ottobre 1975. In un elegante appartamento del quartiere Fuorigrotta, al civico 78 di via Michelangelo da Caravaggio, si consuma uno dei delitti più efferati e inquietanti del secondo dopoguerra italiano. Tre persone — il rappresentante di commercio Domenico Santangelo, la moglie ostetrica Gemma Cenname e la figlia diciannovenne di Santangelo, Angela impiegata INAM — vengono trucidate in un massacro che mescola precisione, ferocia e inquietanti silenzi.

È l’8 novembre 1975 quando la polizia entra nell’appartamento della famiglia Santangelo, allertata dai parenti preoccupati per  il silenzio della famiglia. La scena che si presenta agli inquirenti è agghiacciante:

Domenico Santangelo, la moglie Gemma e il loro piccolo cane yorkshire “Dick” giacciono nella vasca da bagno, in circa 20 cm d’acqua ormai stagnante.

Angela, la figlia, è adagiata sul letto matrimoniale, avvolta in un lenzuolo.

Tutti sono stati uccisi con una combinazione di colpi contundenti al cranio e ferite da arma da taglio alla gola, inferte con un coltello.

L’evidente intenzione di disporre i cadaveri con ordine, insieme alla scelta di immergere i corpi in acqua (probabilmente per mascherare la data esatta della morte), suggerisce la mano di un omicida lucido e metodico.

La scena del crimine offre molti spunti:

Assenza di scasso e tracce contraddittorie

Nessun segno di effrazione: l’assassino doveva conoscere bene la famiglia.

All’interno dell’appartamento vengono trovate tracce ematiche, impronte digitali non riconducibili a persone conosciute e impronte di scarpe numero 42, incompatibili con le calzature delle vittime o di Domenico Zarrelli, il principale sospettato.

Vengono repertati mozziconi di sigarette e un coltello da cucina sporco di sangue: su questi oggetti si concentreranno, molti anni dopo, nuove analisi.

L’autopsia indica un assassino feroce e razionale:

Colpi al capo inferti con estrema violenza, probabilmente con un oggetto contundente (forse una statuetta, mai ritrovata).

Successivo sgozzamento: una firma rituale o la volontà di assicurarsi la morte?

I segni indicano che le vittime non dormivano al momento dell’aggressione.

Angela presenta differenze significative nel trattamento post mortem: non fu spogliata né immersa in acqua. Inoltre solo lei viene colpita con due coltellate al basso ventre. Colpi che hanno un significato sessuale? Era Angela il vero bersaglio della furia omicida?

L’iter giudiziario si può così riassumere: un sospettato, tre processi, nessun colpevole.

Nel 1976 viene arrestato Domenico Zarrelli, 25 anni, nipote di Domenico Santangelo. I motivi dell’arresto:

Una ferita da morso alla mano, ritenuta compatibile con il cane Dick.

Alcune testimonianze su motivi economici: pare avesse chiesto denaro allo zia ricevendo un rifiuto.

La sua presenza in casa, non giustificata, nei giorni precedenti il delitto.

Il processo si conclude in primo grado nel 1978 con una condanna all’ergastolo. Ma nel 1983, in appello, Zarrelli viene assolto per insufficienza di prove. Assoluzione annullata dalla Cassazione.

Nel processo d’appello bis arriva l’assoluzione con formula piena confermata dalla Cassazione.

L’imputato trascorre oltre sei anni in carcere e, nel 2006, ottiene 1,4 milioni di euro di risarcimento per ingiusta detenzione.

Nel 2011, il caso viene riaperto. La polizia scientifica, usando tecnologie di analisi del DNA non disponibili negli anni ’70, riesamina i reperti:

Su uno strofinaccio e su due mozziconi di sigaretta, emerge un profilo genetico compatibile con Zarrelli.

Tuttavia, essendo forte la possibilità di contaminazione dei reperti, ai risultati non può essere dato valore. Inoltre Zarrelli è stato assolto con sentenza definitiva.

Nel 2015, la Procura di Napoli chiede e ottiene l’archiviazione del caso.

 Analizziamo le piste alternative e dubbi irrisolti.

Oltre a Zarrelli, gli investigatori hanno vagliato:

  1. 1) Una persona che sotto falso nome e presentandosi come “ingegnere”  prende in affitto un capannone di proprietà di Gemma Cenname. Successivamente “l’ingegnere” scompare senza pagare l’affitto. La Cenname con suo marito si reca presso il capannone. Trovano delle brandine, corde e materiale forse usato per raffinare droga.

“L’ingegnere” viene identificato. Si tratta di Annunziato Turro. Pregiudicato calabrese che rifiuterà di rispondere alle domande degli investigatori.

Le cronache del 1971 riportano l’arresto, durante i moti di Reggio Calabria, di Annunziato Turro. Con trascorsi nell’MSI e trovato in possesso di due bombe a mano. Si tratta della stessa persona?

Credit foto archivio storico “Il Corriere della Sera”

2) Un collega dell’Inam di .Angela Santangelo.

Piste battute in realtà con poca convinzione.

L’assassino si reca a casa delle vittime dopo le 22. Orario particolare per persone che erano abituate a non aprire la porta di sera. Dovevano quindi conoscerlo e fidarsi.

Il soggetto ignoto si reca nello studio insieme a Domenico Santangelo. Perché?

Era la signora Cenname ad essere la proprietaria del capannone. Era lei che gestiva gli interessi economici. Se invece l’assassino era lì per Angela che senso aveva parlare con il padre?  Santangelo doveva forse fare da messaggero per conto della figlia che non voleva affrontare l’uomo?

Il soggetto ignoto e Santangelo iniziano a discutere. Inizialmente tranquillamente, viene versato anche da bere. C’è anche il cane.

Poi l’assassino colpisce prima con rabbia e poi con metodo. Prima Santangelo, poi la Cenname e per ultima Angela. Tutti colpiti alla testa e poi una coltellata alla gola. Dovevano morire.

Angela Cenname, pochi giorni prima di morire, confida ad un collega ed al fidanzato che sarebbe morta “scannata” e accenna ad un “ingegnere”. Inoltre anche Gemma Cenname mostra paura tanto da avere una pistola nel suo studio da ostetrica in via Mario Fiore e viene vista piangere nella clinica “Villa del Pino” dove lavorava.

Se Angela e Gemma erano coscienti del pericolo, perché non vengono prese delle precauzioni? Cosa rendeva “inevitabile” l’incontro con l’assassino?

Il movente è legato forse all’attività lavorativa di Santangelo? Attività lavorativa che ha die punti mai chiariti. Ad iniziare dalla ditta tedesca per cui faceva da rappresentante e mai individuata.

A quasi cinquant’anni di distanza, la strage di via Caravaggio rimane un cold case emblematico del fallimento investigativo e giudiziario. Un delitto brutale, commesso con metodo, che ha lasciato una città intera senza risposte e una famiglia annientata.

Le nuove tecnologie hanno offerto verità parziali, ma non giustizia.

E la verità, come l’acqua nella vasca in cui giacevano i corpi, resta torbida, immobile. Irraggiungibile.

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