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02 Giugno 2025

Misoginia 2.0: Il ritorno della violenza maschile contro le donne, tra femminicidi punitivi, antifemminismo militante e sessualizzazione precoce di bambine e preadolescenti.

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Di Maddalena Celano

Donne: ancora disprezzate e sottovalutate dalla culla fino alla bara

Il femminicidio di Martina Carbonaro, una ragazza di appena 14 anni, per mano del suo ex fidanzato Alessio Tucci, non è solo una tragedia individuale: è un indicatore di un problema strutturale e culturale che attraversa la nostra società. Le parole del padre dell’assassino – “Mio figlio è un bravo ragazzo”, “Non era ossessionato, era innamorato” – riflettono una mentalità patriarcale ancora profondamente radicata, che giustifica la violenza maschile, colpevolizza la vittima e normalizza i gesti più atroci.

I dati del femminicidio in Italia

Secondo i dati aggiornati del 2024 forniti dall’Osservatorio Nazionale “Non Una di Meno”, in Italia si registrano circa 100 femminicidi ogni anno, con il 70% dei casi commessi da partner o ex partner. Questo dato evidenzia come la violenza contro le donne si manifesti soprattutto all’interno della famiglia, e che i principali autori sono padri, madri, fratelli, mariti, conviventi e fidanzati.

Un report dell’Istat del 2023 sottolinea che il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito almeno una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, e che in quasi due terzi dei casi (circa il 64%) la violenza è stata perpetrata proprio da persone con cui la vittima aveva una relazione affettiva o familiare stretta.

L’espansione dei movimenti antifemministi patriarcali

Parallelamente, stiamo assistendo a un ritorno di movimenti antifemministi, che in realtà sono una riedizione del patriarcato in chiave moderna, spesso mascherati da rivendicazioni “tradizionaliste” o “pro-famiglia”. Un rapporto del 2023 della Fondazione Heinrich Böll ha documentato come in Europa questi movimenti siano finanziati e strutturati, riuscendo a influenzare l’opinione pubblica soprattutto tra i giovani maschi, veicolando una narrazione misogina e sessista che alimenta la violenza di genere.

Sessualizzazione precoce, preferenza e vizio verso i figli maschi

Negli ultimi anni, anche in Occidente, si è osservata una crescente sessualizzazione delle bambine sin dalla prima infanzia. Le pratiche come i “beauty party” per bambine, denunciati da inchieste giornalistiche italiane del 2024, testimoniano come gli stereotipi di genere siano veicolati e rafforzati già nei primi anni di vita. Inoltre, ricerche internazionali, come quelle pubblicate su Frontiers in Psychology nel 2021, mostrano che la preferenza per i figli maschi permane in molte famiglie italiane, dove essi sono considerati più “preziosi” o “meno problematici” rispetto alle figlie femmine.

Questa preferenza si manifesta anche nel modo in cui i figli maschi sono più amati, desiderati e persino viziati rispetto alle figlie femmine. Questa preferenza si manifesta anche nel modo in cui i figli maschi sono più amati, desiderati e persino viziati rispetto alle figlie femmine. Studi condotti dall’Istituto Italiano di Sociologia Familiare nel 2023 evidenziano come, nella maggioranza delle famiglie, i figli maschi ricevano maggiori attenzioni affettive e materiali, spesso giustificate da stereotipi culturali che vedono il maschio come futuro “capofamiglia” o “protettore”. Tale disparità affettiva contribuisce a rafforzare un senso di impunità e centralità maschile che, nel peggiore dei casi, può sfociare in comportamenti violenti e controllanti.

Un nodo critico: la marcata depoliticizzazione delle donne

Molti credono che l’educazione sentimentale e sessuale nelle scuole possa rappresentare la soluzione definitiva per affrontare la violenza patriarcale. Tuttavia, dati più approfonditi suggeriscono che questa strategia da sola non basta. Un elemento fondamentale è infatti l’aumento sostanziale dell’occupazione femminile, dell’imprenditoria al femminile e, soprattutto, della politicizzazione delle donne.

Secondo l’ISTAT (2024), in Italia il tasso di occupazione femminile si attesta attorno al 58%, ben al di sotto della media europea del 67%. Inoltre, le donne imprenditrici rappresentano solo il 22% del totale, con un’incidenza inferiore rispetto a molti altri paesi europei. Questo divario economico si riflette anche nella politica: nonostante le quote di genere, la rappresentanza femminile nei parlamenti locali e nazionali italiani è stagnante o in diminuzione negli ultimi anni. Nel Parlamento italiano, le donne sono circa il 35%, percentuale che non si traduce però in un’effettiva influenza politica o nelle politiche di genere.

Questo scenario evidenzia un fenomeno di depoliticizzazione delle donne, che viene spesso sottovalutato. La mancata piena inclusione delle donne nei centri decisionali e nel mondo del lavoro limita le loro possibilità di influenzare le politiche sociali, economiche e culturali, lasciando spazio a narrazioni patriarcali che alimentano la violenza e la discriminazione.

Solo una società in cui le donne siano economicamente indipendenti, politicamente attive e culturalmente protagoniste potrà opporsi efficacemente al ritorno di un patriarcato repressivo e all’ascesa di movimenti antifemministi. Fino a quando le donne resteranno marginalizzate, la violenza di genere e il sessismo continueranno a essere una piaga sociale, in Italia e nel mondo.

Donne: “umane” o periferia dell’Umano?

Un quesito cruciale da porsi nell’analisi del patriarcato contemporaneo riguarda la stessa percezione sociale e culturale delle donne. Sono considerate “umane” a pieno titolo o relegate a una condizione di “periferia” dell’Umano, viste sostanzialmente come un trastullo, un oggetto di consumo o una mera incubatrice?

Numerosi studi di filosofia femminista e teoria critica — da Simone de Beauvoir a Judith Butler, passando per le riflessioni postcoloniali di Donna Haraway e Gloria Anzaldúa — evidenziano come il patriarcato abbia da sempre costruito le donne come “altro” rispetto a un modello maschile di umanità. Questa “alterità” ha storicamente giustificato la marginalizzazione politica, sociale ed economica delle donne, riducendole a corpi funzionali alla riproduzione o al piacere maschile, piuttosto che a soggetti autonomi e portatori di diritti.

Nel contesto attuale, questa percezione si traduce nella persistente svalutazione delle competenze femminili, nella scarsa rappresentanza politica e nel mancato riconoscimento delle donne come protagoniste della storia e del presente. Le donne sono spesso relegate ai margini, considerate “periferia” di una definizione di Umano che rimane dominata da una visione maschile, patriarcale e gerarchica.

Riconoscere questa dinamica è fondamentale per decostruire il sistema che alimenta la violenza, la discriminazione e la subalternità femminile. Solo assumendo la piena umanità delle donne – con tutti i diritti, le capacità e la dignità che ne derivano – si può realmente pensare a una società libera da oppressioni di genere.