02 Giugno 2025
Innocente oltre ogni ragionevole dubbio
La vittima ha diritto ad avere giustizia. Quella vera però.
La Giustizia capace di coltivare il dubbio e cosciente dei limiti derivanti dall’imperfezione umana.

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Dopo la riapertura dell’indagine sull’omicidio di Chiara Poggi, teoricamente risolto con la condanna definitiva di Alberto Stasi, si parla continuamente di ragionevole dubbio.
Partiamo dalla definizione che la Cassazione da al ragionevole dubbio :” la condanna può essere pronunciata a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili “in rerum natura” ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Cass. pen. 17921/201; Cass. pen. 2548/2015; Cass. pen. 20461/2016)”.
Apparentemente tutto chiaro ma nella realtà bisogna ammettere che il concetto di ragionevole dubbio è soggettivo.
Perché soggettivo è il confine tra cosa è ragionevole e cosa no.
Ragionevole è ciò che la maggioranza ritiene tale.
Quando venne introdotta l’energia elettrica, per la maggioranza non era un’invenzione ragionevole. Anzi era folle.
Un giudizio basato sui dati scientifici disponibili in quel momento e condivisi dalla maggioranza. Eppure sappiamo com’è andata.
Nel processo penale il concetto di ragionevole è ancora più fragile perché le dinamiche di un delitto sono spesso poco razionali.
Un giudizio oltre ogni ragionevole dubbio ha senso solo con la certezza di aver acquisito tutti ma proprio tutti gli elementi legati alla dinamica e alla vittimologia.
Nel caso dell’omicidio di Chiara Poggi si è dato per logico e ragionevole affermare che la vittima si sarebbe presentata in pantaloncini e maglietta solo davanti ad una persona con cui aveva grande confidenza.
Chi se non il fidanzato che era stato da lei la sera precedente? Certo può essere ragionevole ma solo se hai dimostrato caso per caso dove erano le altre persone con cui Chiara Poggi aveva tale confidenza.
Prova decisiva è stata la famosa camminata. L’impronta delle scarpe.
Indizi non prove ma legate dal “non esiste pista alternativa a Stasi”. Ma è vero?
Questo dimostra che di fatto il nostro sistema penale, specialmente nel caso di omicidio, praticamente ha adottato una presunzione di colpevolezza. Con l’innocenza che deve essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio.
Con l’avvento dei social la pressione mediatica è aumentata.
Famigliari in lacrime che reclamano giustizia. Piazza reali e virtuali scagliate contro il sospettato di turno.
Assolvere quando rimangono delle ombre richiede coraggio. Che spesso manca.
Un’assoluzione definitiva non si può revocare mentre una condanna si può riformare. Con un risarcimento può tornare alla sua vita il condannato ingiustamente. Questo ragionamento, nel dubbio, può portare a condannare.
In realtà nessun rimborso può restituire anni rubati dalla ingiusta detenzione.
In realtà dovrebbe essere l’imputato presunto innocente con la Procura che deve dimostrare che lui e lui solo può aver ucciso.
Le sentenze della Cassazione sono piene di riferimenti al ragionevole e alla logica.
Logica va bene ma chi decide cosa è logico?
Nel caso di Perugia la Cassazione prima annulla l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. E poi annulla la loro condanna.
Evidentemente parliamo di logiche diverse.
L’interpretazione soggettiva è una caratteristica del giudice. Anche nel calcio si è affrontato il problema con l’introduzione della VAR.
Nel processo penale non si è fatto molto. La riforma Orlando ha fatto qualche passo ma non basta.
Davanti all’assoluzione o a più assoluzioni un qualche automatismo di garanzia deve scattare.
Ovviamente e giustamente la magistratura difende il proprio ruolo ma davanti a casi con sei sentenze di merito contrastanti tra loro non si può parlare di certezza del diritto e di oltre ogni ragionevole dubbio.
Tanto più che ottenere la revisione di un processo in Italia è molto difficile.
Non serve arrivare al sistema anglosassone dove davanti ad una assoluzione il processo finisce.
Serve però rendere, in caso di assoluzione, possibile solo un giudizio di legittimità e non di merito mascherato dalla illogicità della sentenza.
Garlasco ha aperto un dibattito. Che potrebbe continuare dopo il recente deposito delle motivazioni con cui la Cassazione ha annullato l’assoluzione degli imputati accusati di aver ucciso Serena Mollicone.
La Corte d’appello di Roma li aveva assolti ma con un ragionamento del tipo “per noi qualcosa a carico degli imputati c’è ma non è sufficiente per condannare, vedete voi in Cassazione”.
La Cassazione ha chiesto alla nuova Corte d’assise d’appello di assumersi la responsabilità. E potrebbe arrivare una condanna rimandando la responsabilità alla Cassazione.
Esattamente come accade anche nel caso di Alex Pompa, ora Cotoia. Assolto dall’accusa di aver ucciso il padre perché venne riconosciuta la legittima difesa. La Corte d’assise d’appello annulla l’assoluzione e condanna Alex. La Cassazione annulla la condanna e dispone un nuovo processo. Che porta all’assoluzione. La Procura ha presentato ricorso e si torna in Cassazione https://www.rainews.it/tgr/piemonte/articoli/2025/05/si-riapre-il-caso-di-alex-cotoia-la-procura-fa-ricorso-contro-lassoluzione-045b1bb2-8ef3-4c81-807a-0a4ccf988dd6.html .
Un continuo rinvio da Erode a Pilato.
La vittima ha diritto ad avere giustizia. Quella vera però.
La Giustizia capace di coltivare il dubbio e cosciente dei limiti derivanti dall’imperfezione umana.
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