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01 Settembre 2025

Dolore naturalizzato, competizione sterile e necessità di alleanza tra donne

L’energia non deve disperdersi nel piagnisteo o nella competizione del dolore, ma deve tradursi in resistenza attiva: solidarietà, rottura delle catene simboliche, sostegno reciproco tra chi ha avuto il coraggio di ribellarsi e chi ancora cerca una via di uscita

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Credit foto https://www.stateofmind.it/2019/04/violenza-domestica-manipolazione/

Di Maddalena Celano

In diversi contesti sociali segnati da isolamento culturale ed economico – piccoli centri rurali o periferici, sia del Sud che del Nord – si osserva un fenomeno ricorrente e drammatico: donne che hanno subito svalutazioni, umiliazioni e torture psicologiche da parte dei familiari, soprattutto delle figure maschili, finiscono per accettare l’abuso come se fosse un destino naturale.

È come se il dolore fosse stato interiorizzato come parte dell’educazione emotiva: si soffre, si tace, si sopporta. La violenza non appare come un’anomalia, ma come una fatalità. Questa interiorizzazione porta a due atteggiamenti ricorrenti:

• Il piangersi addosso, senza mai trasformare il trauma in azione.

• La competizione del dolore, una sorta di “gara a chi ha sofferto di più”: «Io ho patito più di te ma sono rimasta zitta…»; «Io ho sopportato più di te, senza lamentarmi…». Come se il silenzio fosse virtù.

Diffidenza verso le ribelli

In questo clima, le donne che scelgono la rottura radicale – fuggire da casa, rifiutare il matrimonio, rinunciare alla maternità, vivere in autonomia o intraprendere relazioni non conformi – invece di essere riconosciute come alleate nella resistenza, vengono spesso percepite con sospetto.

La comunità femminile, anziché rafforzarsi, tende a dividersi: da un lato le donne che hanno interiorizzato la sofferenza come destino, dall’altro quelle che provano a spezzare la catena dell’abuso. Così il dolore non diventa forza collettiva, ma immobilismo e complicità con il potere patriarcale.

Voci teoriche a sostegno

Pierre Bourdieu lo afferma con chiarezza: «Il potere simbolico è un potere che si esercita solo con la complicità di coloro che lo subiscono» (La domination masculine, 1998).

Silvia Federici, studiando la storia della caccia alle streghe, scrive: «La violenza sulle donne non è mai solo individuale, ma è un meccanismo sociale che trasforma il loro corpo e la loro soggettività in strumenti di disciplina» (Calibano e la strega, 2004).

Per bell hooks, l’interiorizzazione della sottomissione è parte integrante del patriarcato: «Il patriarcato ha sempre richiesto che le donne interiorizzassero la sottomissione, trasformando l’oppressione in destino inevitabile» (Feminism is for Everybody, 2000).

Rita Segato, analizzando la violenza maschile in America Latina, osserva: «La violenza contro le donne non è l’eccesso di alcuni uomini, ma la pedagogia crudele di un potere che si perpetua» (La guerra contra las mujeres, 2016).

Dalla competizione all’alleanza

Per interrompere questo circolo vizioso non basta riconoscere il trauma: bisogna rifiutare la naturalizzazione dell’abuso, smettere di trasformare la sofferenza in una gara silenziosa e sterile, e soprattutto costruire alleanze tra donne.

L’energia non deve disperdersi nel piagnisteo o nella competizione del dolore, ma deve tradursi in resistenza attiva: solidarietà, rottura delle catene simboliche, sostegno reciproco tra chi ha avuto il coraggio di ribellarsi e chi ancora cerca una via di uscita.

Solo così il dolore non resterà un’eredità da sopportare, ma potrà trasformarsi in liberazione.

Bibliografia

Bourdieu, P. (1998). La domination masculine. Paris: Seuil.

Federici, S. (2004). Calibano e la strega. Milano: Mimesis.

hooks, b. (2000). Feminism is for Everybody. Cambridge: South End Press.

Segato, R. (2016). La guerra contra las mujeres. Madrid: Traficantes de Sueños.