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Autonomia differenziata e sanità
di TOMMASO FIORE
Quando si parla di autonomia “rafforzata” o “differenziata” nel nostro Paese può valer la pena occuparsi di sanità per due motivi: 1) le diseguaglianze Nord-Sud in sanità sono ben esemplificative dello sviluppo duale italiano, di cui in sostanza si paventa il “rafforzamento” 2) il SSN, istituito nel 1978 dopo una fase complessa di trasferimento di poteri alle neo-costituite Regioni, è stato oggetto di un lungo esperimento applicativo in un settore significativo, per rilevanza sociale ed economica, del concetto e della pratica dei “livelli essenziali di prestazione”, nel caso specifico denominati LEA (“livelli essenziali di assistenza”).
Per economia di tempo non affronterò il tema dei determinanti di salute, sui quali in Italia, patria di Giulio Maccacaro, sono disponibili molti studi, raramente, se non mai, utilizzati dal decisore politico, e persino un sofisticato indice, denominato “indice di deprivazione”, elaborato da Nicola Caranci, che ha portato ad una mappatura del territorio che attende di fatto di uscire dall’ambito specialistico. Mi limiterò a ricordare solo che l’operazione indecente in corso ormai da decenni di derubricazione dei determinanti sociali di salute a “stili di vita” non ha visto una opposizione organizzata, malgrado la rilevanza anche economica del problema (si pensi al tema della “sicurezza” alimentare).
Qual era dunque la situazione dei servizi sanitari nel nostro paese alla nascita della Repubblica? Marco Geddes (Saluteinternazionale.info, 2011) nella sua breve storia degli ospedali italiani documenta la situazione a metà degli anni trenta. I dati collocano l’Italia (3.5 p.l. x 1000) in situazione assai più arretrata rispetto ad altri paesi europei quali Francia (4,2 p.l. x 1.000 abitanti), Inghilterra (5,4), Germania (5,9), Svizzera (4,8).