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Lisistrata e le sue sorelle

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di MICHELANGELA BARBA

 

Fa discutere la proposta #sexstrike lanciata dall’attrice statunitense Alyssa Milano: un invito a tutte le donne a praticare “il grande sciopero del sesso” per protestare contro alcune iniziative legislative volte a restringere o vietare la possibilità di interrompere una gravidanza.

 


Fa discutere e non può non portare alla memoria – quantomeno per chi ha avuto la ventura di frequentare un liceo classico – la vicenda di Lisistrata, il personaggio di Aristofane che con un’analoga iniziativa convinse i signori uomini del tempo a porre fine alla guerra del Peloponneso.

Correva l’anno 411 a. C. e non è esattamente una gioia vedere che per le donne il campo di battaglia è sempre lo stesso: il corpo. “Il corpo generativo” preciserebbero alcune femministe.

Quel corpo generativo che i nuovi provvedimenti in materia di aborto varati dalla Georgia vorrebbero controllare dimenticando che – in quanto corpo – è collegato a una mente, dotata di pensiero (si è dovuta arrendere la scienza su questo punto), mente che può non voler generare affatto per una pluralità di motivi.

A ciò Alyssa Milano – e prima molto prima di lei Lisistrata – oppone corpo usato come arma di ricatto per ottenere un risultato. Un corpo quindi che elargisce prestazioni “utili a un fine” , di lì a dire “monetizzabile” il passo è breve. D’altronde questo ci dice la teoria del “sex work is work”: non c’è differenza tra mettere a disposizione degli altri il proprio ingegno o il proprio corpo, un lavoro come un altro. Che poi si tratti di “togliere dalla disposizione” per un tempo determinato e necessario all’ottenimento di un fine è pura questione di marketing.

Curiosa pertanto la scelta di rivendicare di non essere considerate mere incubatrici dichiarandosi meri strumenti di piacere altrui. Incubatrice mai sia ma bambola gonfiabile sì. E quel collegamento imprescindibile di un corpo con una mente pensante e senziente come sempre scompare.

“Corpi senza testa” si intitolava un’iniziativa di Arcilesbica a Modena cui anche Ebano ha potuto dare il suo contributo parlando delle donne in prostituzione, quelle che lo Stato misconosce come vittime e che più voci ci dipingono come scaltre amministratrici delle proprie “potenzialità”.

Le donne, si dice, siedono sulla loro fortuna. Siamo sempre al punto di partenza.

Neppure da quelle donne che il diritto a essere (anche) mente se lo sono conquistato si riesce ad ottenere una presa di posizione chiara e univoca.

“Non sono una bacchettona e credo che lavorare con il corpo non sia diverso che lavorare con la mente” scrisse mesi fa una signora su una pagina social abolizionista “Non è giusto che le prostitute girino con i macchinoni e non paghino le tasse mentre mia figlia che fa carriera universitaria ha un assegno misero”.

“Perché se lavorare con il corpo è uguale a lavorare con la mente ha pagato a sua figlia lunghi studi universitari scarsamente redditizi?” Le chiese qualcuno. Nessuna risposta e blocco dei contatti.

Neanche il tempo di spiegarle che i macchinoni tendenzialmente sono di proprietà del magnaccia.

Riconoscere la mente delle donne, la capacità critica e progettuale, la determinazione oltre alla potenza del corpo è il primo e inevitabile passo per riconoscere che su quel corpo solo la rispettiva mente può decidere.

Combattere il dominio da parte di terzi sul corpo riconoscendo agli stessi terzi la sovranità sullo stesso è un assurdo logico. Basta chiedere a Google la definizione della parola “Sciopero”.

“Sciopero = sostantivo maschile, astensione DAL LAVORO da parte di DIPENDENTI”

Aderendo alla campagna della signora Milano dunque ci proclamiamo tutte rassegnate sex worker e neppure autodeterminate ma vincolate da un contratto di subordinazione al partner.

“Le parole sono importanti” tuonava Nanni Moretti anni fa…poi cosa è successo?

Già concetti più rivoluzionari li esprimeva Aristofane, nel testo di 2430 anni orsono, sia nelle parole di Lampetta “è duro per le donne dormir sole” (riconoscendo così il desiderio femminile) sia in quelle della protagonista Lisistrata: “Stacci di mala voglia: in queste cose, c'è poco gusto, se son fatte a forza. E in ogni modo s'hanno a tormentare: e non pensare, cederanno súbito súbito! Un uomo non avrà piacere mai, se non ne procura anche alla femmina”, dandoci una rappresentazione dell’atto sessuale come reciprocità lontano le mille miglia sia dai “doveri coniugali” (ahimè concezione ancora ampiamente diffusa, come portato alla ribalta dal blogger noto come “Il Signor Distruggere”) sia dalla teoria del sex work e da quanto rivelano gli atroci scambi tra fruitori di prostituzione negli appositi forum in cui non solo manca totalmente la dimensione del piacere della donna ma addirittura sono il suo dolore, la sua sofferenza e umiliazione i maggiori indici di gradimento.

 

411 a.C. batte 2019 d.C. 

Che altro dire?

 

Che volendo attingere da Aristofane e dalla Lisitrata, in tema di aborto, più che il tema dell’astensione sessuale, sarebbe stato interessante riprendere una battuta della protagonista, quando il compagno le porta il figlioletto che piange per occuparsene (la bigenitorialità non era ancora stata inventata): “oiov to tekein”. Che cos’è essere madri! Ma anche: che cosa grande è essere madri!

 

L’ovvio, esplicito riconoscimento del privilegio materno che nel 411 a.C. nessuno osava discutere.

Meno #sexstrike e più #oiovtotekein per favore.

Forse per andare avanti bisogna prima tornare indietro.

 

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo