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Superstizione e magia nell’Antica Roma
di MARIA PACE
Gli Dei primitivi dell’Antica Roma, tra la fine dell’età del bronzo e l’età del ferro, non avevano nulla in comune con l’Olimpo, ma molto, invece, con quella forma di superstizione che era stato il credo religioso primitivo del vicino popolo greco. Erano “spiriti” presenti nella Natura, misteriosi e ostili, che, con preghiere e sacrifici bisognava rendersi propizi ed è da questo che deriva il culto delle acque, dei boschi, dei fiumi, dei colli, ecc… e perfino degli animali selvatici.
Si trattava di una religione che poco aveva di mistico, ma tutto era dettato dalla paura e dalla necessità di agire e comportarsi secondo la volontà divina, per conoscere la quale, c’era la figura del vates, che ne interpretava la volontà attraverso il volo degli uccelli, lo stormire del vento tra le foglie, il disporsi delle nuvole, ecc… in modo che le persone, la famiglia, il raccolto, ne beneficiassero. Anche qui, diversi erano i numina: Fornax e il forno, Penates e la riserva di casa, Arculus era la madia, ecc… Ogni comunità, ed a volte perfino ogni famiglia, aveva i propri numina, come ad es. i Penati.
L’antica religione era, dunque, una religione di contadini e di famiglia, un credo legato alla terra e alle sue trasformazioni e strettamente connesso ai culti familiari: il magazzino di casa era tutelato dai Penati, i Lari proteggevano la casa e la famiglia, i Mani erano gli antenati, ed a questi si aggiungevano divinità del culto pubblico, come Vesta a protezione del focolare domestico o Giano a protezione delle porte… e il ministro del culto familiare era il Pater familias.
Una religione animistica, dunque, quella romana della fase più antica, (ma presente anche in età storica), espressa attraverso culti e pratiche magiche.
La magia era la capacità di dominare le forze della natura senza l’intermediazione di un Essere Supremo e per questo era fortemente osteggiata dai collegi sacerdotali. Ciò nonostante, le pratiche magico-religiose erano presenti in molte cerimonie ufficiali oltre che, naturalmente, nelle credenze popolari.
I principi fissi ed immutabili, che fin dalla fase più antica, regolarono i rapporti fra gli uomini e quelle forze animistiche, erano così radicati da lasciare una traccia profonda anche nel diritto. Propiziarsi il favore di quelle forze superiori attraverso l’azione dello indigitare, cioè attraverso un rituale magico-religioso fatto di gesti e formule, più che una tradizione, era una necessità ed è per questo che lo troviamo anche nel diritto primitivo romano: le Legis actiones, ossia i Procedimenti Giudiziari. Questi dovevano essere perfetti e precisi in ogni suo atto, così come lo dovevano essere i riti religiosi. Così come il pur minimo errore nel corso di una invocazione divina rendeva nullo il rituale sacro, anche durante un procedimento giudiziario, una parola o un gesto errato, potevano comportare la perdita della causa.
Nella fase più antica, dunque, la religione romana era costituita soprattutto da rituali magico-religiosi atti a propiziarsi le forze (anche sconosciute) della Natura, ovvero, la magia.
La magia possedeva diversi connotati. C’era la magia che si praticava attraverso la riproduzione di simboli e c’era la magia che si praticava su un oggetto fisico appartenente alla persona su cui si voleva agire. E c’erano, poi, le Defixiones, forme di maledizione, incise su lamine di piombo arrotolate e trapassate da un chiodo, una pratica in uso anche in Grecia, Egitto… In Egitto, in particolare, erano incise su cocci che venivano poi frantumati. Le defixiones si deponevano in tombe, fosse, pozzi sorgenti o qualunque posto potesse “condurre” agli inferi ed attirarvi un nemico.
Nuocere, però, non era il solo scopo di questa pratica magica: una defixiones poteva essere utile anche in amore, potere, denaro e altro. Gli addetti ai lavori, maghi, fattucchiere e sacerdoti, facevano affari d’oro e godevano d’immenso prestigio. (come oggi, d’altra parte.)
Pozioni ed amuleti per proteggersi da maledizioni e malocchio, erano assai costosi e alquanto misteriosi: gli oscilla, dischi decorati, le lunulaea forma di mezzaluna, il sucinum ambra gialla ecc…
Maghi e fattucchiere si aggiravano nei cimiteri per procurarsi erbe da mescolare ai più raccapriccianti ingredienti: interiora di topi, ossa di serpenti ed altro.
Famosa era la bulla, un sacchetto contenente amuleti e posta al collo dei bambini.
Altre forme di superstizione che atterrivano i “figli della lupa” erano: il canto della cornacchia, quello del gallo durante un banchetto, l’olio versato non intenzionalmente… tutti segni di imminenti disgrazie.
E che dire del divieto alle donne di camminare tenendo in mano un fuso, perché si credeva che questo fosse di cattivo augurio per il raccolto? Per lo stesso motivo alle schiave era proibito partecipare a certi riti di donne e agli stranieri a certe cerimonie. Nulla da stupirsi, se ancor oggi c’è chi ha paura del gatto nero! C’erano, poi, le Lemures: ombre dei morti che si divertivano a spaventare i vivi con catene e ferraglia e c’erano i Versipellis: lupi mannari, ecc.
Infine, se crediamo che il “Signore degli Anelli” sia una invenzione di uno scrittore dei giorni nostri, ebbene, ci sbagliamo di grosso: Ovidio parlava già di “spiriti maligni” nascosti in anelli e nodi.
A tutto ciò si aggiunse (in età imperiale) la convinzione che gli Astri influissero sulle cose e sulle persone: stiamo parlando di Astrologia, un argomento che imperversa ancor oggi e inchioda, ogni mattino, migliaia di creduloni davanti al televisore in attesa delle notizie dell’oroscopo del giorno.
Anche la materia poteva risultare idonea oppure no ad un rituale: il ferro era profano mentre il bronzo era sacro-magico, come pure la lana e il lino.(CONTINUA)
Tratto da “ANTICA ROMA – Costumi e Tradizioni” di Maria Pace