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Intervista ad Antonio Olivieri

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di STEFANO ORSI

Presidente dell’associazione “Verso il Kurdistan” di Alessandria


Mi sono recato alla sede della Associazione verso il Kurdistan di Alessandria per approfondire le ragioni di una protesta simbolica come lo sciopero della fame, da loro iniziata nei giorni scorsi.

Entro nel locale sito al piano terra di una via del centro, mi colpiscono le foto in bianco e nero alle pareti, molto belle, le foto di Ochalan.

Mi presento e mi siedo con il presidente della associazione Antonio Olivieri, che subito mi dice:

Buongiorno, sono Antonio Olivieri, sono Presidente dell’associazione “Verso il Kurdistan.”

Abbiamo preso questa iniziativa dello sciopero della fame, che è stato organizzato a livello nazionale da Rete Kurdistan, a cui noi aderiamo.

Questo sciopero lo abbiamo iniziato sabato 27 aprile e si concluderà nella prima fase, il Primo di maggio, anzi il 2 maggio al mattino.

Si tratta di uno sciopero della fame a staffetta.

Quali sono le ragioni che hanno scatenato questa vostra azione dimostrativa?

Questa azione dimostrativa, si ricollega direttamente a quanto stanno facendo i prigionieri politici curdi detenuti nelle carceri turche. Sono ben 7300, compresi i loro famigliari e militanti che noi abbiamo incontrato a marzo. Sono in sciopero della fame da diversi mesi.

Ha iniziato una giornalista curda Leyla Guven ben 171 giorni fa.

Caspita, 171 giorni, eppure c’è un silenzio assoluto da parte degli organi di stampa nazionali, non si sente assolutamente parlare di questa iniziativa né di questa protesta, eppure spesso si sente parlare dei Curdi in Siria, come mai invece tutto questo silenzio sulle persecuzioni dei Curdi in Turchia?

Ecco questa è infatti una cosa molto importante.

C’è un silenzio ASSORDANTE da parte dell’Europa e da parte dell’Italia, questo per alcune motivazioni molto semplici, l’Europa ha fatto un patto scellerato con la Turchia di Erdogan perché si tenga i profughi siriani in Turchia, e si è impegnata a versargli nelle casse dai 5 ai 6 miliardi di Euro. La Turchia è poi acquirente di armi dall’Europa, abbiamo visto in azione nel cantone di Afrin, durante l’invasione di questo territorio (siriano ndr.) i carri Leopard 2 acquistati dalla Germania. Hanno fatto un massacro durante questa invasione.

E costruiscono gli elicotteri da combattimento su licenza italiana, elicotteri che hanno usato per bombardare e distruggere i villaggi curdi, come avvenuto a Cysre, come avvenuto Nusaibin e altre città.

Ecco dobbiamo notare che l’invasione del cantone di Afrin è avvenuto in territorio siriano, quindi in totale spregio del diritto internazionale e questa invasione ha causato più di 3000 vittime solo tra i combattenti curdi e non sappiamo quanti tra i civili durante l’invasione e dopo visto che è in corso una sorta di pulizia etnica.

Esattamente e anche questo non appare su nessun organo di stampa.

Poi ci sono gli affari che le banche e le imprese fanno con le imprese turche.

La Turchia è sempre più destabilizzata, è stato introdotto un regime sempre più autoritario, non ancora fascista, ma prefascista.

Questo processo ha avuto una accelerazione dopo il fallimento del tentato golpe di tre anni fa?

Direi presunto colpo di stato del 16 luglio 2016, dico presunto e ne parlo della situazione in Turchia perché sono una persona che ha pagato per la sua attività, perché io son stato arrestato in Turchia ed espulso nel 2013 per la mia attività, noi in 13 anni abbiamo organizzato i più grandi progetti di una ONG in Turchia.

La Turchia secondo noi ha sfruttato questo presunto colpo di stato per fare altre cose.

Hanno introdotto una legge di emergenza che presenta aspetti incredibili, su 106 sindaci dell’HDP ne ha sostituiti 95, e al loro posto ha messo dei commissari nominati dal Governo. Hanno in questo momento, detenuti nelle carceri 50.000 detenuti politici.

Sono stati licenziati 150.000 dipendenti pubblici.

Hanno arrestato avvocati, insegnanti, docenti universitari, studiosi, musicisti, la Turchia è stata trasformata in un grande carcere a cielo aperto, e soprattutto si parla della Cina si parla dell’Iran, ma non si fa cenno al Paese che ha il più grande numero di giornalisti detenuti del mondo che è la Turchia, oltre 160 giornalisti incarcerati per il loro lavoro.

Tra tutti ricordiamo il giornalista che venne incarcerato per aver denunciato le commistioni tra la Turchia e l’ISIS, il traffico di armi al confine con il nord della Siria allora occupato dall’ISIS.

C’è poi da notare che il Governo turco sta subendo il contraccolpo di queste politiche, Erdogan alle ultime elezioni amministrative, ha perso il controllo di diverse città, ci sono state due nostre delegazioni che hanno monitorato le elezioni, abbiamo visto che laddove ha vinto nelle regioni curde è stato per il fatto che sono stati mandati i militari a votare in quei centri. Io conosco il caso di Shirmak, una città curda distrutta dall’esercito nella misura dell’80%, questa città è il simbolo della resistenza curda, qui ha vinto l’HKP ma sono stati mandati a votare 14.000 soldati, a Sirte, stessa cosa, a Eiruth, dove si ebbe il primo attacco del Pkk contro una caserma turca, ha vinto l’HKP e anche qui erano stati mandati a votare i militari.

C’è un altro aspetto che, io che vengo dal mondo sindacale, vorrei sottolineare, e anche su questo c’è un grosso e colpevole silenzio, nella costruzione del terzo aeroporto di Istanbul, che sarà l’aeroporto più grande al mondo, le manie di grandezza di Erdogan, sono morti 400 operai per incidenti sul lavoro, e la polizia, quando gli operai hanno protestato per denunciare la situazione, la polizia è intervenuta e ne ha arrestati 600.

Ecco quando si parla di diritti dei lavoratori in Europa pare che il silenzio sia d’obbligo, sembra divenuto un argomento tabù.

Ma qui c’è anche una responsabilità delle forze di sinistra e dei sindacati europei, prima si parlava di primo maggio internazionale, di internazionalismo proletario, oggi non se ne parla più. Tutti gli anni a Istanbul il primo maggio ci sono scontri ferocissimi perché i sindacati non possono arrivare con le manifestazioni, a piazza Taksim dove nel 1988 c’è stato un massacro, eppure nessuno cita questi episodi, e lo dico con grande dispiacere.

Dunque, quali sono secondo lei, le prospettive di aprire un dialogo tra i Curdi ed il governo? C’è una qualche speranza o magari c’è al momento una finestra di trattativa?

C’era un dialogo aperto che poi il Governo ha chiuso improvvisamente nel 2015, c’erano anche degli incontri che si erano tenuti ad Oslo tra il PKK ed esponenti dei servizi segreti turchi.

L’iniziativa dello sciopero della fame è una lotta tradizionale dei detenuti politici curdi per rompere l’isolamento e tentare di avviare un percorso che porti l’attenzione sulla loro situazione, non solo quella di Ochalan, ma su quella dell’intero popolo curdo, rompere quindi l’isolamento per a riaprire dei negoziati e delle trattative di pace. Questo è il percorso immaginato.

In un primo momento il Governo, quando ha iniziato lo sciopero della fame Leyla Guven, detenuta e condannata a 15 anni di carcere, ha risposto in due modi, facendo incontrare Memet Ochalan con suo fratello nel carcere di Imradi, siccome un incontro non avveniva da 4 anni, voglio ricordare che Ochalan non vede i suoi avvocati da 11 anni, tenuto in isolamento totale, e poi liberando Leyla Guven, facendola quindi uscire dal regime carcerario.

Il movimento curdo ha considerato questi provvedimenti come dei palliativi, l’obbiettivo è di riprendere un confronto, è un obbiettivo che oggettivamente viene visto come molto lontano.

Noi siamo stati nel campo profughi di Makmura nel nord Iraq, un campo formato da 14000 profughi curdi cui hanno bombardato i villaggi e sono dovuti espatriare in Iraq attraversando le montagne, sono poi arrivati in mezzo al deserto e li hanno costituito una comunità. Qui abbiamo incontrato uno degli scioperanti della fame che era ormai al 126 giorno di sciopero, un ragazzo di 30 anni molto sofferente. Ci disse una cosa che mi ha colpito molto, con non poco sconforto, ci disse che lui e altri sarebbero morti, perché disperava che Erdogan potesse avviare le trattative con le autorità curde e riprendere quindi quel dialogo interrotto ormai da 4 anni.

Un grosso rammarico perché l’Europa che dovrebbe essere l’Europa dei diritti, non può tacere su questo, deve farsi sentire ed invece è silente. Siate voi la nostra voce in Europa! Concluse.

Ecco perché oggi noi facciamo questo perché dobbiamo essere anche noi la voce del popolo curdo anche in questa Europa autoritaria e silente.

Credo che sia questa una iniziativa degna di grande rispetto e nobile nel vero senso della parola, per il coraggio e per la determinazione con cui la state portando avanti.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo