Società
La storia che non insegna
di MICHELANGELA BARBA
Questo numero de “Il sudest” sarà online mentre noi di Ebano saremo a ricordare il secondo anniversario dalla tragica morte di Jessica Faoro.
Porteremo sulla sua tomba le frasi delle sue amiche, sorelle di vita, che abbiamo raccolto in occasione del 25 novembre.
Vogliamo ricordare Jessica ancora, ancora e ancora.
Vogliamo ricordare la bambina con i grandi occhi blu che vagava da una struttura di accoglienza all’altra.
Vogliamo ricordare la ragazzina “difficile” sempre in fuga.
Vogliamo ricordare la giovanissima madre, fatta diventare madre ma poi privata della figlia.
Vogliamo ricordare la neomaggiorenne invisibile che amava i cani e urlava “Ti amo” sotto le finestre di un carcere.
Infine sì, vogliamo ricordare la vittima di femminicidio, ultimo atto di una tragedia, tanto palese quanto palesemente ignorata.
Vogliamo ricordare Jessica, che non c’è più per ricordare le tante Jessica che ci sono ancora, le tante Jessica che camminano con noi e quelle che no, annaspano per stare a galla. A volte ci riescono, a volte no.
Quante sono? Dove sono?
Non è possibile censirle: un censimento vero e proprio, attuale e completo delle strutture di accoglienza non esiste.
Il Comune di Milano ha stanziato 194.547,92 euro (esclusa I.V.A. al 5%) per occuparsi dei neomaggiorenni che faticano a trovare il loro posto nel mondo. Li chiama i “NEET” in onore al principio per cui per ogni fenomeno italiano esiste non solo un orrendo termine inglese ma anche un orrendo acronimo da utilizzare.
Di questa cifra 169.041,60 euro saranno destinati agli stipendi degli operatori che “progetteranno percorsi”, indiranno riunioni, organizzeranno “tavoli di confronto” e “faranno rete”.
Gli ultimi 25.506,32 euro (esenti I.V.A.) saranno adibiti a “rimborso spese”. Quali spese? Le sale in cui si terranno le riunioni di cui sopra? O un aiuto concreto ai ragazzi e alle ragazze in difficoltà?
Anche volendo, la seconda ipotesi pare non percorribile.
Il progetto abbraccia circa due anni. Significa 12753 euro all’anno, poco più di mille euro al mese.
Se lo dividiamo per un ipotetico , minimo numero di 10 tra ragazze e ragazzi in difficoltà, in tutta Milano, fa circa cento euro al mese. Un aiuto, forse. Un aiuto risolutivo di sicuro no.
Jessica non è morta perché aveva bisogno di counselling per orientare le sue scelte. Non è morta perché aveva bisogno di “confronto”.
Jessica aveva un’emergenza abitativa, aveva bisogno di una casa dove poter iniziare a vivere, in una città dove il caro affitti è financo imbarazzante e il bisogno della casa la prima delle tragedie quotidiane.
Non chiedeva Jessica di essere orientata perché le alternative erano: il tranviere Garlaschi, la strada, la prostituzione.
Jessica le aveva chiarissime, le alternative a Garlaschi: immediatamente strazianti.
Quindi ha scelto il minore dei mali, quello che forse le avrebbe dato tempo per cercare un’ulteriore soluzione.
Non è andata così. Game over per lei.
E a due anni dalla sua morte continua a non fare autocritica su un sistema di aiuto che si chiama “welfare” e ha cancellato il fine della sua stessa esistenza tra acronimi, sigle, items, P.E.I. , griglie di valutazione.
A volte s’incontra l’ectoplasma di uno scampato – diceva Montale – ce non sembra propriamente felice.
Ma ahimé, ancora una volta, “la storia non è magistra di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.”
Piangeremo Jessica con le nostre Jessica.
Intanto il Comune di Milano, che al funerale si costituì parte civile, finanzia “progetti di accompagnamento” (verso vicoli ciechi) che permetteranno all’Assessore pro- tempore di dire, alla prossima morte, quel che già disse Maiorino: “Abbiamo fatto tutto il possibile è lei che ha rifiutato il percorso che offrivamo.”
La colpa è delle vittime, sempre.
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