Editoriale
Ode al privato
di Lavinia Orlando
“Signori, non siamo più nelle condizioni, nel mondo, di reggere un impatto con le criticità ambientali che sono diventate sempre più ricorrenti e di dimensioni spaventose…se io ho una casa accanto ad un fiume, o mi metto al sicuro facendo quello che faccio con la mia macchia, ricorrendo ad un’assicurazione, o delocalizzo…lo Stato non è più nelle condizioni di approntare le risorse necessarie per sempre e per tutti”.
Con queste poche frasi, il ministro per la Protezione Civile e per le politiche del mare, Nello Musumeci, ha posto una pietra tombale sulla capacità dello Stato italiano di fare fronte alle oramai sempre più frequenti perturbazioni con piogge violente che causano alluvioni, centinaia di sfollati, case ed attività distrutte.
Il disastro che ha dato vita alle considerazioni di cui sopra si è ripresentato pochi giorni fa, con tutta la sua dirompenza, esattamente negli stessi luoghi – Emilia Romagna – in cui si era già verificato, per ben due volte a distanza di poche settimane nel maggio del 2023.
Trattasi di una vergogna di proporzioni inenarrabili, esacerbata dal contorno di polemiche politiche avviate quando chi di dovere era ancora intento a ricercare i dispersi ed a mettere in salvo vite umane.
È vero che un conto sono i tanti soldi stanziati in relazione ai danni generati dagli eventi del 2023, che non sono ancora stati concretamente spesi, a causa dei ben noti, ma sempre astratti, rallentamenti burocratici, e che altro conto è la mancata mitigazione di rischi oramai già conosciuti in presenza di piogge di rilievo.
Il problema, tuttavia, è il combinato disposto dei due fattori. Ricordiamo tutti le immagini della Premier in stivali antipioggia intenta a rassicurare i cittadini colpiti dalle alluvioni dello scorso anno circa i ristori prontamente stanziati dal governo, ma, al momento, stando a quanto affermato dai diretti interessati, non ancora giunti a destinazione. Se a ciò si aggiunge la nuova alluvione, evidentemente causata dalle stesse ragioni di cui al 2023, al danno si somma la beffa.
Delle due l’una. Se gli straripamenti di torrenti e fiumi sono variabili indipendenti dalle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria di argini, alvei, tombini e via dicendo, non resterebbe altro che costringere al trasferimento i tanti residenti dei luoghi a rischio. Se, invece, una maggiore cura aiutasse ad azzerare o, perlomeno, ridurre il rischio alluvione, sarebbe in capo alle competenti autorità pubbliche la responsabilità di agire per tempo e con costanza, di modo da evitare a chi risiede nelle zone rosse di rivivere il medesimo film dell’horror a poco più di un anno di distanza.
Una terza via, tuttavia, è stata suggerita da Musumeci che, come sopra anticipato, ha parlato di obbligo di assicurare le case, dopo un po’ lenito con un’iniziale facoltatività, che dovrebbe poi trasformarsi in obbligo. Sebbene tale indicazione abbia generato diversi mugugni in seno alla maggioranza, è il concetto generale a lasciare interdetti.
L’abdicazione di un pubblico inefficiente in favore di un privato rapido e concreto è idea già più volte posta in essere – si pensi solo alla sanità. In questo modo, l’incapacità della politica diventa ragione di guadagno per le imprese private, oltre che ulteriore fattore di incremento delle differenziazioni sociali tra chi ha di più e chi di meno.
Per queste ragioni, invece che negare il cambiamento climatico che, a detta degli esperti, sarebbe il principale artefice della dirompenza delle precipitazioni degli ultimi anni, e di preferire il privato, chi ci governa dovrebbe impiegare le risorse – tra l’altro provenienti dai cittadini che pagano le tasse –in interventi compositi che spazino dal contrasto al riscaldamento climatico alla manutenzione spicciola.
Sbagliare è umano, perseverare diventa diabolico.
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