Editoriale
Abuso d’ufficio, addio
di Lavinia Orlando
È affermazione generalmente condivisa che la destra governi con disposizioni che vorrebbero tutelare chi più ha. L’esempio più recente giunge proprio dalla maggioranza targata Giorgia Meloni con l’approvazione definitiva del disegno di legge Nordio di riforma della giustizia penale.
I provvedimenti in esso contenuti non sono altro che una manna dal cielo per chi, trovandosi in posizioni di comando, abbia posto in essere condotte discutibili. L’abolizione del reato di abuso di ufficio, bandiera della riforma approvata, è, infatti, disposizione in grado di favorire i soli colletti bianchi, con buona pace dei comuni mortali che, nella maggior parte delle ipotesi, sono le vittime, quanto meno indirette, delle condotte viste.
Fino a ieri, grazie all’art. 323 del codice penale, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento della funzione o del servizio, avesse intenzionalmente procurato a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrecato ad altri un danno ingiusto, sarebbe stato punito con la reclusione da uno a quattro anni, salvo aumenti di pena. Da oggi, al contrario, quest’importante strumento di tutela è scomparso con conseguenze facilmente immaginabili. Si pensi al dirigente pubblico che anticipa ad un candidato le domande che gli verranno sottoposte in sede di concorso o che assume un proprio conoscente senza rispettare le indicazioni in tema di evidenza pubblica. Questo dirigente potrebbe ora tranquillamente farla franca.
Chi, invece, patirà maggiormente le conseguenze di tale cancellazione non sarà altri che il singolo cittadino, che non potrà più pretendere che il pubblico ufficiale agisca correttamente per tutelare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, secondo i dettami dell’art. 97 della Costituzione.
In tanti hanno festeggiato il colpo di spugna eccependo le poche migliaia di condanne ad oggi pronunciate ai sensi dell’articolo appena visto, che, sempre secondo gli stessi, avrebbe solo rallentato le decisioni in seno alle P.A. Ad essi non può che rispondersi che, proprio “grazie” al loro voto, quelle migliaia di vittime di donne e uomini ai posti di potere non avranno più giustizia. Trattasi di circostanza molto grave in un Paese quale l’Italia, da sempre in bilico visti i tempi biblici della giustizia ed un sistema diffuso di scorrettezze nell’ambito della P.A.
I difensori dell’abrogazione sostengono che le condotte problematiche verrebbero comunque punite tramite un nuovo reato in via di approvazione – il peculato per distrazione – e la permanenza del reato di traffico di influenze – sia pure rimaneggiato dalla stessa riforma Nordio. Peccato che i magistrati, quasi all’unisono, ritengano che, in seguito all’abrogazione dell’abuso d’ufficio e pur in presenza dei correttivi visti, l’attività di contrasto ai reati contro la Pubblica Amministrazione risulti del tutto depotenziata.
Se a questo si aggiunga tutto il resto contenuto nel provvedimento appena approvato – stretta sulle intercettazioni, svuotamento del reato di traffico di influenze illecite, introduzione dell’obbligo di interrogatorio per disporre le misure cautelari – l’intento di fondo di Meloni e dei partiti che la sostengono è sufficientemente chiaro: continuare ad essere forte con i deboli e debole con i forti, in perfetta linea con qualsivoglia governo di destra che si rispetti.
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