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Editoriale

La volta buona. Forse.

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di Lavinia Orlando

Venerdì 5 luglio 2024. Una data che potrebbe rappresentare l’avvio formale di una nuova stagione per la politica nostrana. O che, al contrario, potrebbe essere definita come l’ennesimo tentativo andato a male di costruzione di un fronte comune. Spetta ai posteri l’ardua sentenza.

Nel frattempo, il deposito in pompa magna, presso la Corte di Cassazione, del quesito referendario finalizzato all’abrogazione dell’appena approvata legge sull’autonomia differenziata si fa portatore di un duplice merito.

Da un lato, il mobilitarsi di un fronte largo per porre argine ad una legge che rischia seriamente di incrementare le differenze tra Regioni ricche e Regioni povere è atto di fondamentale importanza, che, tra l’altro, assicurerà l’ulteriore beneficio di arricchire il pubblico dibattito con questioni concrete. Il divario tra i cittadini, la carenza di servizi che potrebbe determinarsi a sfavore di alcuni di loro, la rottura dell’unitarietà della Repubblica sono argomenti che, se ben spiegati, non potranno che trovare l’interesse dei diretti destinatari dei provvedimenti.   

Dall’altro lato, non si può negare che il no all’autonomia differenziata possa rappresentare un tentativo di costruzione dell’alternativa alla destra di governo. Il fronte sarebbe estremamente variegato. Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, Italia Viva, Pace Terra e Dignità, Possibile, + Europa, Rifondazione Comunista sono i partiti che hanno depositato il quesito, accompagnati da sindacati (Cgil, Uil, Acli) e diverse associazioni.

Difficile non notare l’assenza di Azione di Carlo Calenda, che, come sovente accade, non ha perso l’occasione di fare ciò che meglio gli riesce: il Bastian Contrario. Pur condividendo la critica alla riforma e pur dichiarandosi favorevole all’abrogazione della norma, Calenda si è dissociato dalla scelta dello strumento referendario, che richiede il raggiungimento di un difficile quorum – si direbbe quasi impossibile visto l’importante spopolamento delle urne – e che quindi, sempre secondo l’idea di Calenda, rappresenterebbe un boomerang per gli stessi depositari del quesito. Trattasi di considerazioni che, seppure astrattamente valide, non dovrebbero assolutamente condizionare le scelte di un partito che afferma di tenere alle sorti dell’Italia.

Calenda a parte, resta il grossissimo dubbio circa l’estensione del fronte anti autonomia differenziata nel caso in cui lo si voglia davvero considerare come la nascente alternativa all’attuale maggioranza. Immaginare quella stessa Italia Viva che si trova sovente d’accordo con Meloni governare con Rifondazione Comunista è quanto di più assurdo possa farsi. Lo stesso dicasi del Movimento Cinque Stelle e di Allenza Verdi e Sinistra, che non paiono avere in comune quasi nulla con Renzi.

Il dubbio è, tuttavia, ancora più radicale, poiché, sebbene la Segreteria democratica a guida Schlein paia esprimere idee più compatibili, rispetto al passato, con quelle della sinistra, permangono importanti differenze tra il Pd – ed in particolare modo con una parte dei democratici – e le altre forze politiche. Basti pensare all’adesione del Movimento Cinque Stelle al gruppo della Sinistra nel Parlamento Europeo, così come AVS, al contrario del Pd, che siede convintamente nel gruppo dei Socialisti e Democratici.

Si tratta di differenze non meramente formali che, in un’ipotetica futura coalizione, si farebbero indubbiamente sentire e rispetto alle quali, prima ancora di iniziare a pensare ad un governo unitario, le forze politiche coinvolte avrebbero l’obbligo di fornire i necessari chiarimenti.   

Anche e soprattutto per evitare i tanti errori già compiuti nel passato.

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