Politica
Questioni complesse, problemi semplici: il potere degli slogan
Il conflitto israelo-palestinese è una questione troppo complessa per essere trattata per slogan. Di sicuro non ci sono più parti moderate, in entrambi gli schieramenti. Però chiediamoci: da Oslo ad oggi, come abbiamo potuto lasciar degenerare il problema fino al rischio genocidio?
di Alessandro Andrea Argeri
La propaganda non è giornalismo; un giornalista deve porre le domande, soprattutto se queste possono risultare scomode. Pertanto, consapevole di andare controcorrente rispetto ai tanti slogan di questi giorni, pongo un dubbio: è veramente necessario ridurre la guerra israelo-palestinese nella solita litigata da bar in cui la faziosità politica va sistematicamente ben oltre il ridicolo in barba ai morti, alle devastazioni, ai sacrifici di chi versa il sangue? È facile inneggiare al sangue di un popolo quando si vive a un continente di distanza. Bravi tutti a sventolare le bandiere, tuttavia oggi il vero atto sovversivo consiste nell’inneggiare alla pace.
Off- topic: oggi ilsudest pubblica un messaggio arrivato da Giuditta Brattini, sindacalista di USB che si trova a Gaza e che ci chiede di far girare. L’Italia non si è mossa per creare corridoi umanitari, né per i connazionali rimasti intrappolati a Gaza né per gli abitanti delle zone colpite. Potete ascoltare il messaggio qui.
Chiariamo subito: questo conflitto è uno dei peggiori avvenimenti verificatisi nella storia recente. Siccome non nasce il 7 ottobre 2023, bensì ha radici molto profonde, più si approfondisce, meno sembra di capire quale sia la “parte giusta” da sostenere, motivo per cui a parlare dovrebbero essere gli esperti, quelli veri, per rispetto sia del popolo ebraico sia di quello palestinese, altrimenti si rischia di trattare un argomento tanto delicato in modo troppo semplicistico, dunque di renderlo pane per la propaganda delle frange più estremiste, oltre che le più violente, della politica nostrana, come d’altronde è già capitato con la guerra in Ucraina.
Non può essere giustificata la sistematica eliminazione dell’altro per il solo fatto di “essere l’altro”. Per questo lasciano perplessi i presunti “antifascisti” pronti a sostenere Hamas, i quali evidentemente non ricordano di quando nei campi di concentramento assieme agli ebrei venivano mandati anche i comunisti; allo stesso modo stupiscono i tanti pronti a giustificare il massacro di una popolazione composta prevalentemente da minori perché mossi da odio islamofobo. Insomma, il conflitto israelo-palestinese è una questione troppo complessa per essere trattata per slogan.
Di sicuro non ci sono più parti moderate, in entrambi gli schieramenti, dove probabilmente mancano i veri buoni. Tuttavia di fronte ai corpi dei bambini decapitati, o tenuti in braccio dai soldati di cui sono ostaggio, non si può non individuare i “meno cattivi”. Anziché cercare un colpevole di quanto avviene in Medioriente, domandiamoci: da Oslo ad oggi, come abbiamo potuto lasciar degenerare il problema fino al rischio genocidio?
Non ha senso nemmeno distinguere la Palestina da Hamas, in quanto in quel territorio non esiste democrazia, i palestinesi non sono liberi di scegliere il proprio governo né di distaccarsi dalle decisioni di quest’ultimo. Infatti, come insegna la teoria di Weber, qualsiasi regime per esercitare un controllo sulla popolazione deve essere sostenuto almeno dalla maggioranza. Soprattutto: per andare in guerra servono soldati da mobilitare. D’altra parte, gli stessi giornali israeliani sono contro il loro premier per l’attacco subito; l’amministrazione Netanyahu è considerata la più corrotta della storia di Israele; dalla primavera i suoi cittadini si riversano nelle piazze per protestare contro una discutibile riforma della Giustizia.
Di certo l’attuale governo israeliano dovrà dimettersi una volta terminata la guerra. Per ora però il rischio è di veder risolto un conflitto con il genocidio, un altro, mentre noi cittadini del mondo libero amanti della libertà d’espressione saremo capaci solo di puntare il dito contro l’Europa, perché è sempre colpa dell’Occidente: per alcuni noi siamo Dinkleberg, infatti viviamo nel mondo dei Due Fantagenitori, in cui per risolvere problemi complessi basta un desiderio, un post su Instagram, una bandierina accanto alla biografia del profilo social, un volantino distribuito nei corridoi delle Università, una petizione online, un asterisco in fine di parola. Com’è bello giocare ai soldatini così!
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