Politica
Alla Russia manca il comunismo
Il mondo è cambiato, non c’è più spazio per le ideologie, tuttavia la semplice fiducia, o il forzato asservimento negli uomini al governo, da sola non basta per tenere unita una Nazione. Il comunismo è stato lungamente la spina dorsale dell’Unione Sovietica, ma con la caduta di quest’ultima il popolo russo come lo conoscevamo ha cessato di esistere.
di Alessandro Andrea Argeri
Aumentano le proteste nelle piazze della Russia contro l’operazione speciale decisa da Vladimir Putin, nonostante la promulgazione della legge sulle fake news. Gli oltre ventimila arresti sono la prova lampante di come le fondamenta della “sicura” propaganda scricchiolino più di quanto si vuole lasciar trasparire agli occhi esterni degli “ostili” occidentali. Eppure con Stalin l’Unione Sovietica, pur con tutti i suoi crimini, aveva retto meglio: alla Federazione manca il comunismo, ovvero un’ideologia come collante sociale.
A più riprese Vladimir Putin l’aveva chiesto nei suoi contraddittori discorsi alla nazione, ma il “passionarmost”, ovvero la capacità di sopportazione, di resistere alle avversità nel lungo periodo, è venuto meno nell’animo stremato del popolo russo, tradizionalmente abituato a soffrire lungamente per poi vincere anche le battaglie più dure grazie alla “resilienza” (ne avevamo parlato in un articolo pubblicato un paio di settimane fa: https://ilsudest.it/attualita/2022/02/28/ruskij-mir-passionarmost-peacekeeper-i-vocaboli-di-putin/).
La ragione dietro l’evidente dissidenza sociale dei governati nei confronti dei governanti è da ricondursi al crollo dell’ideologia comunista. All’infuori della propaganda del regime, i cittadini russi non hanno più nulla a cui credere, poiché con la caduta dell’Unione Sovietica hanno perso la propria “religione di Stato”, utile a giustificare la “ragion di Stato”. Fino ad oggi infatti il comunismo è stato l’unico “credo” assieme al cristianesimo capace di raggiungere i cuori di chiunque, tramite la promessa di un mondo migliore, all’interno del quale tutti avrebbero potuto essere veramente uguali. Basti pensare come, all’apogeo dell’ideologia Marxista, lo stesso Gesù Cristo sia stato definito “il primo socialista della storia”.
La pace è solo un intervallo tra due guerre, tuttavia la sua interruzione va giustificata, se non all’opinione pubblica, almeno a chi deve combattere, ovvero alla gente comune, coloro i quali sopportano quasi totalmente il peso di ogni conflitto. Attualmente, i sacrifici imposti dalle durissime sanzioni dell’Europa non sono richiesti a Putin, o agli oligarchi, ma ai cittadini impossibilitati ad acquistare anche solo i beni di prima necessità. Lo stesso congelamento dei conti correnti è una misura nel suo complesso “blanda” se si considera come la maggior parte dei beni materiali della classe dirigente russa, a cominciare da quelli dello stesso Zar in Svizzera o nella nostra Lombardia, siano affidati a vari prestanome sparsi per il mondo.
Di conseguenza, come può un popolo voler combattere, accettare spontaneamente dei pesanti sacrifici, senza un reale scopo? Non c’è più l’obiettivo di instaurare la “dittatura del proletariato”, nessuno grida più “tutto il potere ai soviet”, è cessata “la lotta di classe” così come “la liberazione dalla morsa dei padroni per la creazione di un mondo basato sull’uguaglianza”. Resta solo un’eccessiva, folle, xenofoba paura dell’altro. Ma a lungo andare anche il terrore cessa di essere uno scudo per i governi, di conseguenza il singolo cittadino, non solo arriva a chiedersi se sia veramente necessario vivere perennemente nell’emergenza, nel terrore “del nemico” rappresentato dalla narrazione ufficiale, ma anche se quest’ultima sia reale, o quantomeno fondata.
Una Russia semplicemente ortodossa, laica, o basata sul “culto dello Zar” non è un sistema capace di mantenere un intero popolo sia isolato dal mondo sia contro quest’ultimo, oltretutto stanziato sul territorio più vasto del pianeta, perché la paura dell’accerchiamento, dell’invasione, della perdita dello spazio vitale risulta infondata quando si dispone di ben undici fusi orari. Qual è dunque la vera causa, il fine superiore per cui combattere, morire, perdere i propri cari, sopportare i lutti, la fame, la povertà? “L’aggressione da parte dell’Occidente, l’espansione della NATO, gli americani” risponde il regime russo. Tuttavia le proteste in piazza, i numerosi arresti, i giornalisti in televisione inneggianti alla pace durante i principali programmi nazionali, dimostrano come popolo sia in realtà contrario alla guerra. A tratti potrebbe anche definirsi stanco di combattere.
L’Europa invece si è riscoperta unita malgrado le divisioni interne proprio grazie al fermo credo nei valori democratici di libertà, uguaglianza, fratellanza. Gli ucraini, simpatici o meno, combattono da quasi un mese nonostante la sofferenza, spinti dal senso di unità nazionale, da una causa comune, ma soprattutto sentita come necessaria, con al loro fianco, non un autocrate distante da suoi cittadini, bensì un uomo democraticamente eletto rimasto lì nonostante il giorno prima dell’invasione gli alleati americani gli avessero già preparato la fuga. Proprio in merito a Zelensky, vincitore mediatico di questa guerra, la propaganda russa continua a diffondere notizie degne della migliore Oceania orwelliana. Sicuramente non sarà un santo, né un comico con cui scherzare, però resta da capire come si possa essere nello stesso momento sia nazisti sia ebrei, o perché bombardare il sacrario ebraico se l’obiettivo è “colpire i nazisti”.
Sicuramente, la forza delle idee da sola non basta per affrontare le avversità, per questo nelle ultime settimane si parla continuamente di inviare aiuti militari, oltre che di aumentare le spese per gli armamenti, tuttavia le ideologie hanno un peso nei conflitti, in quanto sono il motore di spinta delle azioni di qualsiasi governo, il quale, se non sostenuto dall’opinione pubblica, per quanto dittatoriale, non riuscirà mai a raggiungere gli obiettivi prefissati. A dimostrazione di ciò, la lenta avanzata dell’esercito russo: fiacco, stanco, moralmente a terra, costretto a combattere controvoglia, oltre che inconsapevolmente.
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