Politica
Politica vs magistratura. La nuova puntata.
L’Italia, in questi giorni, ha vissuto l’ennesimo capitolo del conflitto tra poteri dello Stato, con, in questo caso, il Parlamento contrapposto ai giudici. Oggetto del contendere è, come nel 99% dei contrasti riguardanti la magistratura, l’individuazione del limite oltre il quale l’azione del potere giudiziario sfocerebbe nella c.d. persecuzione politica.
di Lavinia Orlando
L’Italia, in questi giorni, ha vissuto l’ennesimo capitolo del conflitto tra poteri dello Stato, con, in questo caso, il Parlamento contrapposto ai giudici.
Oggetto del contendere è, come nel 99% dei contrasti riguardanti la magistratura, l’individuazione del limite oltre il quale l’azione del potere giudiziario sfocerebbe nella c.d. persecuzione politica.
Protagonista indiscusso della querelle è Matteo Renzi, che ha oramai sostituito il capostipite Silvio Berlusconi nell’opera di delegittimazione dei magistrati che osano occuparsi di vicende, penalmente rilevanti, riguardanti politici di maggiore o minore caratura.
Nello specifico, il Senato della Repubblica ha deciso di sollevare conflitto di attribuzione ai sensi dell’articolo 134 della Costituzione, portando dinanzi alla Consulta i giudici della Procura di Firenze, rei di aver rinviato a giudizio l’ex Presidente del Consiglio, ora leader di Italia Viva. Più in particolare, i magistrati sono accusati di aver utilizzato ai fini dell’inchiesta chat e mail di Renzi in assenza della formale autorizzazione della Camera di appartenenza richiesta dall’articolo 68 della Costituzione per tutti i parlamentari. Peccato che tale documentazione fosse stata sequestrata a terzi non parlamentari e che si trattasse, per l’appunto, di atti non assimilabili né a corrispondenza né ad intercettazioni – come molto bene spiegato dal Senatore Grasso, ex magistrato.
Senza, tuttavia, entrare nei tecnicismi, giova sottolineare i gravi risvolti politici che la vicenda porta con sé.
In primis, va stigmatizzata la distanza che continua ad intercorrere tra Parlamento e problemi concreti del Paese. Renzi si ostina a sottolineare che la sua non è un’ossessione nei confronti dei magistrati che l’hanno dapprima indagato e poi rinviato a giudizio, bensì una “battaglia di civiltà giuridica e di dignità politica”. Dando anche per assodato ciò, il Senatore di Rignano, da persona estremamente intelligente quale ha dimostrato di essere, avrebbe già da tempo dovuto comprendere che la comunità italiana ha ben altro di cui occuparsi e preoccuparsi. Dopo due anni di pandemia e con una guerra appena iniziata alle porte dell’Europa, pensare che il nostro Parlamento si preoccupi di una vicenda giudiziaria che riguarda un singolo parlamentare o, a prendere per buone le parole di Renzi, neanche mille donne e uomini che siedono tra Camera e Senato, è circostanza che fa quanto meno riflettere, se non adirare.
Altro risvolto politico, anche in questo caso molto lontano dalle problematiche concrete degli italiani, parte dall’analisi del voto che i singoli partiti hanno assicurato sul punto nello specifico. Che il centrodestra, compattamente, decidesse di esprimersi a favore del conflitto di attribuzione non desta alcuna sorpresa. Che il Partito Democratico, alla fine, si accodasse al trio è circostanza alquanto curiosa. Quanto il Pd condivida nel merito la battaglia e quanto invece la scelta di votare a favore del conflitto di attribuzione sia legata alla necessità di non slegare totalmente i fili con quella stessa Italia Viva che è nata da una scissione con i democratici è tutto da discutere. Se fosse vera questa seconda opzione, tale circostanza non farebbe che confermare l’istinto suicida e masochistico del Pd, che mostra di essere costantemente votato al martirio. Anche perché va rammentato che le uniche due forze politiche che hanno bocciato il conflitto di attribuzione sono state il Movimento Cinque Stelle e Leu, ossia i partiti che dovrebbero comporre un possibile schieramento di centrosinistra. E, se in molti storcono il naso al solo immaginare un centrosinistra così composto, gli stessi dovrebbero essere colpiti da pesanti convulsioni al solo pensiero che nella sinistra possa essere ricompresa una forza come Italia Viva, le cui istanze, sin dall’inizio, hanno dimostrato di essere votate ad un liberismo sfrenato – oltre alla questione legata alla giustizia.
Ancora e per finire, una valutazione di ordine generale non va sottaciuta: un tempo, rispetto ad un Parlamento che si pone in contrasto con la magistratura, a partire da una vicenda personale di un singolo senatore, già Presidente del Consiglio, rinviato a giudizio, molto vicino ad un principe saudita non propriamente rispettoso dei diritti umani, si sarebbe scatenato l’inferno, la gente sarebbe scesa in piazza ed alcune forze politiche – a partire dal Pd – avrebbero urlato allo scandalo. Ora, invece, pare essere tutto normale. Per quanto la Costituzione preveda effettivamente il giudizio sul conflitto di attribuzione, la gravità delle motivazioni sottese a tale conflitto non possono essere sottaciute, né minimizzate. Al contrario, vuoi per una sorta di assuefazione determinata dal ventennio berlusconiano, vuoi per la totale genuflessione di uno dei principali partiti – il Pd – che dovrebbe farsi carico di tali questioni, la situazione è ben differente: un Parlamento che, con pochissime eccezioni, si chiude a riccio onde difendere un proprio componente in rappresentanza di tutti gli altri ed un Paese che non sa neanche più indignarsi rappresentano lo stato attuale della nostra silente democrazia.
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