Politica
Vitalizi, Parlamento e costi della politica
di VINCENZO DE ROBERTIS
Il Fatto Quotidiano del 30 gennaio, riportava in prima pagina la notizia che l’organo di giustizia del Senato si prepara a restituire a 700 Senatori le somme da essi non percepite a seguito della modifica del sistema di calcolo del vitalizio, da retributivo a contributivo, a suo tempo approvata definitivamente dalla Camera dei Deputati, ma solo provvisoriamente applicata ai Senatori.
La notizia ha suscitato stupore e perplessità in quei settori dell’opinione pubblica che si erano già convinti, sulla base di una propaganda superficiale e menzognera, che il vitalizio fosse stato già definitivamente abolito, mentre in verità si era trattato solo di una modifica del sistema di calcolo che riduceva l’importo per i Parlamentari con poche legislature alle spalle, ma lo aumentava per quelli con molte.
Il vitalizio è divenuto un privilegio di cui godono i Parlamentari nazionali, accordato successivamente anche ai Consiglieri regionali ed ai Parlamentari europei, che non confluisce nei trattamenti pensionistici degli stessi, ma si aggiunge alla pensione ordinaria sulla base di un’interpretazione giuridica sui generis che non lo assimila al trattamento previdenziale ordinario.
Sicchè, se l’eletto è stato in una sua vita lavorativa, precedente o successiva all’esperienza parlamentare, Medico, Avvocato, piuttosto che Professore o Magistrato (operaio ovviamente no, perché incompatibile con lo status e l’habitat parlamentare), avrà diritto alla sua pensione di lavoratore, con l’aggiunta di uno o più vitalizi se nella sua carriera politica sarà stato anche Consigliere regionale e/o Parlamentare europeo, oltre che Parlamentare nazionale.
E’ questa, ad esempio, la condizione di Raffaele Fitto, che il centro-destra si appresta a candidare come Presidente della Regione Puglia, già consigliere regionale e Presidente della Puglia, Parlamentare nazionale ed ora europeo, che, raggiunta l’età, potrà godere di tre vitalizi, oltre ad una pensione ordinaria, semmai avrà svolto qualche attività lavorativa nella sua vita terrena.
Peraltro, il vitalizio maturerà nella minima misura solo se il Parlamentare avrà svolto almeno quattro anni e sei mesi della quinquennale legislatura. Il che presenta almeno due storture:
La prima è quella che, il Parlamentare che avesse svolto un solo mandato, al raggiungimento dell’età prevista (comunque più bassa di quella di qualsiasi lavoratore) percepirà un emolumento, non irrisorio, avendo svolto un numero di anni bassissimo, che non ha paragone con nessuna categoria.
La seconda è quella che il requisito minimo (quattro anni e sei mesi), per vedere maturato quel diritto, ha l’effetto indiretto di blindare ogni Legislatura ed ogni Governo, più di qualsiasi sistema elettorale maggioritario, perché ogni singolo Parlamentare, che non avrà raggiunto il requisito minimo, ci penserà dieci volte prima di far cadere un Governo e provocare magari la fine anticipata della Legislatura.
La normale dialettica politica viene così distorta e si favorisce il trasformismo, finalizzato al mantenimento della poltrona.
A tutto ciò si potrebbe porre rimedio se i contributi pensionistici accantonati dai Parlamentari durante il loro mandato confluissero in un unico calderone insieme con tutti gli altri contributi previdenziali, talchè all’età prevista dalle leggi in materia previdenziale il soggetto percepisca un’unica pensione, frutto dei contributi unificati di tutta la sua attività, compresa quella di Parlamentare.
Ma questa sembra essere allo stato un’utopia.
Meglio battere la grancassa della lotta alla “casta”, magari sfruttando la recente decisione dell’organo giuridico del Senato, dove i numeri non sono favorevoli al M5s, come alla Camera.
Questo è il grande inganno sui vitalizi, che molti davano per aboliti, mentre ci si era limitati a modificare solo il loro sistema di calcolo.
Ma una persona non ingenua non potrà non accorgersi che si tratta di demagogia, analoga a quella con cui si è ammantata la legge costituzionale sul taglio dei Parlamentari, che il M5s ha voluto imporre come condicio sine qua non per la formazione del Governo Conte 2, presentandola come una misura finalizzata a ridurre la spesa per la politica, che, invece, si sarebbe sicuramente ridotta in misura maggiore se fossero stati ridotti emolumenti e privilegi di cui godono oggi i Parlamentari.
Come detto in più occasioni, la riduzione del numero dei Parlamentari ridurrà la partecipazione democratica e contribuirà a svilire le funzioni del Parlamento, da più tempo e più parti attaccato, con l’obiettivo di ridurlo ad organo ratificatore delle decisioni del Governo e con l’obiettivo di sostituire alla Repubblica Unitaria e Parlamentare, così come la descrive la nostra Costituzione, una Repubblica federativa di staterelli, tenuti insieme da un potere esecutivo forte, magari presidenzialistico.
Votare NO al Referendum del 29 marzo è un obbligo politico e morale per tutti i veri democratici che vogliono difendere la nostra Costituzione.