Oasi Culturale
“La bambina che salvava i libri” di Markus Zusak
Bentrovati su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. Oggi parleremo del romanzo “La bambina che salvava i libri” di Markus Zusak
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DI SARA D’ANGELO
Credit foto: Pinterest
Si passano anni provando a dimenticare che la guerra comincia dalla culla, non è frase di qualcuno ma principio certo della prima battaglia vis à vis con la morte.
A volte la pietà permette l’incontro con un corridoio umanitario utile ad alleggerire il peso di vivere, giusto il tempo di sanare una ferita, poi la lama ritorna più affilata di prima ed è di nuovo guerra. Ancora guerra.
I libri di storia contano pagine da sfogliare in religioso silenzio, laghi di sangue e nessuna gomma da cancellare.
Liesel è una bambina tedesca di nove anni cresciuta da Rosa e Hans Hubermann, una coppia prima, poi famiglia nel momento in cui accoglie la piccola in affidamento. Sotto il dominio di Hitler l’infanzia non conosce oasi dove far fiorire i petali della piccola età sequestrata da ordini comunicati via radio. La Germania nazista odora di morte in ogni angolo delle sue città, i monumenti dimenticano di essere marmo tremando come foglie nelle notti illuminate da stelle di fuoco. Lo scrittore australiano Markus Zusak affida alla Morte la voce narrante, una inusuale entità libera dal mantello nero tanto umana quanto gentile nelle sue espressioni alquanto singolari.
“In tutta sincerità, mi sforzo di prendere la faccenda allegramente, anche se, a dispetto delle mie proteste, la maggior parte delle persone trova difficile credermi. Per favore, fidati di me. Posso davvero essere allegra. Posso essere amabile. Affettuosa. Affabile. E queste sono solo le parole che cominciano per A. Non chiedermi però di essere bella: essere bella non è da me”.
Nessuno più di lei cristallizza l’istante venuto a rubare una dopo l’altra le gemme incastonate nell’anima, perché questo è il suo dovere. Non è un mestiere facile, lo ammette, ma di lei non si può dubitare perchè non mente. La condotta meschina della vita che anticipa a grandi passi la presenza oscura le dona una reputazione accompagnata da aggettivi più indulgenti di quanto lo siano quelli pretesi dall’impronta terrena.
“Non possiedo la falce. Non ho quel viso da teschio che vuoi appiopparmi. Vuoi sapere qual è il mio vero aspetto? Mentre proseguo il racconto, cerca uno specchio”.
Allo spirito che fu spetta il compito di raccontare il capriccio seriale di una bambina: rubare i libri. Strana ovazione per chi compie un furto, cos’altro non è? Cosa può rappresentare un libro tra le mani di una bambina che non sa leggere?
Ci fu una prima volta quando raccolse un volume caduto nella neve accanto alla tomba del suo fratellino. Ne seguirono altri sottratti al rogo dei nazisti, ma la meraviglia brillò quando vide la biblioteca della moglie del sindaco, una stanza piena di parole scritte sotto protezione delle copertine una diversa dall’altra.
La strada della libertà comincia dalla magia di un oggetto nuovo nella vita di Liesel, piccola mente da forgiare attraverso la conoscenza. Le farà da maestro il papà, sarà per lei una costellazione di parole che da tanto la stava aspettando. Liesel impara l’amore per i libri, la fantasia nascosta dentro le pagine timide e riservate, la carta l’accoglie seminando banchi di nebbia sul terzo Reich a Monaco di Baviera.
I libri ispirano lo svolgimento di un esercizio di possibilità alla vita interrotta nella delusione di un futuro rubato, se esiste promessa mai disattesa è quella raccolta dalle pagine di un libro.
“Raccogli l’umanità e fa di essa la cartolina di un mondo che vorresti”.
Dal 1939 al 1945 la Germania nazista alza il sipario di morte sul mondo. La casa di Liesel è una cantina da cui si separa per le sue escursioni vivaci con l’amico Rudy. I libri. Li cerca, li trova, li ruba. Cresce con le parole da cui ricava i mezzi per elevare l’affettività oltre i confini di un sentimento uguale agli altri.
Nel rifugio impara una lezione-madre negli occhi inorriditi di Max Vandenburg, un pugile ebreo inseguito dalla Gestapo. Fosse solo paura quel volto sbiancato ad ogni rumore sospetto, invece è diario non scritto e graffiato dagli artigli nemici. Su quel volto per la prima volta Liesel legge una parola soppressa dalla guerra: dignità.
Tra i due nasce un sentimento d’amicizia maturato con la complicità delle piccole cose, quando Max si ammala la piccola Liesel gli porta 13 regali senza valore che si presentano come un vero tesoro agli occhi persi nel limbo della paura. Max ricambia il dono con una storia illustrata servendosi delle sue poche risorse a disposizione, ci penserà il cuore a confezionare la curva del sorriso grato. Attraverso gli occhi della ragazza Max non perde la speranza di tornare ad essere un uomo libero di scegliere la direzione dei suoi passi. Un seminterrato non ha mai visto il cielo, nè sa come potrebbe far alzare in volo due ali costrette a vivere di un surrogato
d’aria impaziente di uno spiffero.
Verrà chiamato “La scrittrice di parole” l’album di disegni e parole in dono dall’amico “sotto scorta”, Liesel darà poi lo stesso nome alla sua scrittura a metà del 1945.
Libri come tenaglie che strappano con forza le pagine più dolorose della vita, portano via il terrore della guerra richiamando con un filo di voce il tesoro sepolto durante il disordine della battaglia. La parola sa quanto male può sradicare dalla terra secca, tuttavia non sempre il contadino può dirsi fiero del raccolto.
A testa alta Liesel corre controvento pur di cogliere il frutto che ha con sé la chiave della libertà. Da un lato la guerra miete vittime innocenti, dall’altro lo sguardo fisso sulle pagine semina nuove radici istruite ad accelerare il disgelo dell’umanità. Un libro improvvisa una voce per curare i silenzi e gli addii seppelliti sotto le macerie dell’anima. Ad ogni disperazione il potere delle parole riacquista quel vigore assopito durante la primavera con una foglia secca in tasca. Per sopravvivere alla distruzione Liesel legge una realtà modificata pur di evitare il confronto con il tradimento della morte.
“Quando mi metto a pensare così rimango esausta, e non posso permettermi il lusso di indulgere alla stanchezza. Sono costretta ad andare avanti perché, sebbene non sia vero per ogni persona sulla faccia della terra, è vero per la grande maggioranza, cioè che la morte non sta ad aspettare nessuno; se lo fa, di solito non aspetta molto a lungo”.