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LE POLITICHE DI DECOUPLIG E DERISKING STANNO ALLONTANANDO L’ECONOMIA USA DA QUELLA CINESE ?
L’amministrazione Biden molto più di quelle precedenti ha messo in campo iniziative politiche, economiche e geostrategiche con un duplice obiettivo: uno, districare l’economia Usa da quella cinese; due, convincere o dissuadere le economie asiatiche a rendersi meno dipendenti da quella cinese diversificando i fornitori di beni e servizi.
Di Fulvio Rapanà
Gli sforzi degli Usa per separare l’economia cinese da quella americana e isolare questa dalle economie asiatiche che risultati sta dando? sta funzionando?
L’amministrazione Biden molto più di quelle precedenti ha messo in campo iniziative politiche, economiche e geostrategiche con un duplice obiettivo: uno, districare l’economia Usa da quella cinese; due, convincere o dissuadere le economie asiatiche a rendersi meno dipendenti da quella cinese diversificando i fornitori di beni e servizi.
Sul primo obiettivo, che comprende anche quello di ridurre drasticamente il disavanzo commerciale Usa verso la Cina che ammonta da almeno 10 anni a 60/70 mld. l’anno, Ciad P. Bown, in un articolo apparso sul Peterson Institute 1), afferma che “è in corso una sia pur lenta tendenza alla separazione fra queste due economie pur in presenza di dati che sembrerebbero contrastanti. Nel 2022 le importazioni statunitensi di beni e servizi dalla Cina hanno raggiunto la cifra record di 568 mil. con un aumento del 6% rispetto al 2021 , A prima vista questo aumento sembrerebbe sconcertante e va contro un “disaccoppiamento (decoupling) del commercio USA-Cina, in base al quale gli Stati Uniti dovrebbero o vorrebbero acquistare meno beni dalla Cina”. Bown spiega l’ incongruenza esaminando le tipologie di beni importati dalla Cina rispetto agli stock degli stessi beni che gli USA importano dal resto del mondo che sono cresciuti nel medesimo periodo del 40%. Inoltre risulta rilevante la tipologia di beni che includono semiconduttori, mobili, hardware IT e prodotti elettronici di consumo in cui questo disaccoppiamento è particolarmente evidente. In parole semplici l’evidenza del disaccoppiamento delle due economie ci viene indirettamente dal dato delle importazione dei medesimi beni dal resto del mondo (+38) rispetto al dato cinese (+6%).
Ma l’amministrazione Usa si sta muovendo ritornando nello scacchiere Indo-pacifico, da dove Trump cinque anni fa se ne era uscito recedendo dal TPP, dando vita dell’ IPEF (Indo-Pacific Economic Framework ) un accordo giuridico-commerciale che raggruppa 15 stati con l’ambizioso obiettivo di rafforzare i rapporti fra i membri e contrastare l’influenza cinese nell’area. “Stiamo riscrivendo le nuove regole per l’economia del 21° secolo”, ha detto Biden “Aiuteremo tutte le economie che partecipano a questa iniziativa a crescere più velocemente e in modo più equo”. Le nazioni che hanno sottoscritto il memorandum di intesa sulla fondazione dell’IPEF rappresentano circa il 40 per cento del Pil mondiale. E’ un accordo diremmo “a la carte” nel senso che gli stati partecipanti all’iniziativa possono scegliere a quale delle quattro aree ( cambiamento climatico e alla transizione energetica, tassazione equa, antiriciclaggio e anti-corruzione) a cui aderire e concludere accordi senza doversi impegnare in tutti e quattro gli ambiti previsti dall’IPEF. L’impegno più rilevante dell’accordo e’ quello di ridurre l’influenza della Cina nell’area indo-pacifica e riorganizzare e diversificare le “catena di valore” e di approvvigionamento. Ridurre la dipendenza dalla Cina per ridurre il “rischio” di avere un fornitore troppo grande da cui non si può prescindere.La parola che identifica questo obiettivo è derisking, aumentare i partner commerciali sia come importatori che come esportatori per ridurre il rischio di dipendere troppo da uno solo, la Cina. Ma alle belle parole e intenzioni di Biden si contrappone la realtà di un accordo che difficilmente otterrà un cambiamento reale, dal momento che proprio Washington non ha presentato sul tavolo le giuste carte per determinare un reale miglioramento delle condizioni lavorative e ambientali. L’Indo-Pacific Economic Framework non è un accordo di libero scambio come lo era il TPP. A differenza dei tradizionali blocchi commerciali, infatti, non c’è al momento un piano fra i Paesi che partecipano all’iniziativa per negoziare tariffe e facilitare l’accesso al mercato, uno strumento diventato sempre più sgradevole agli elettori Usa e che avrebbe bisogno della ratifica fa parte dei due rami del parlamento Usa con la camera in mano ai repubblicani che mai voterebbe a favore.
Per tutti l’affermazione del primo ministro Indonesiano che rivolgendosi a Biden chiede “l’Indonesia produce più di un milione di auto all’anno quando potremo vederle girare per le strade di New York?”.
Cosa sta realmente accadendo nell’area Indo-Pacifica e se realmente la Cina sta ampliando o riducendo la propria presenza in quei mercati con o senza l’IPEF con o senza il derisking o il friendshoring ( produrre e approvvigionarsi da paesi che sono alleati geopolitici).Sull’argomento mi avvalgo dei dati e delle risultanze che emergono in due articoli apparsi sulla stampa americana a firma di Abigail Dahlman (PIIE) and Mary E. Lovely (PIIE) che hanno analizzato con grande accuratezza i dati che emergono dall’OMC (Organizazione Mondiale del Commercio), dalle dogane della Cina e dei 15 paesi che aderiscono all’IPEF. Non sono dati completissimi e certi al 100% ma certamente sono sufficienti per valutare le tendenze. I due autori hanno analizzato i dati che vanno dal 2010 al 2021 . Ebbene l’esito dello studio ci dice che la Cina è ancora la prima fonte di acquisti di beni per tutti i Paesi IPEF, tranne il Brunei, ed è la prima destinazione di esportazione di beni per la metà dei paesi membri dell’IPEF. Dal 2010 ad oggi i membri dell’IPEF sono diventati più dipendenti dal commercio con la Cina, sia in termini di esportazioni che di importazioni. In media, nel 2021 i Paesi IPEF hanno importato il 30% in più di merci dalla Cina e hanno esportato verso la Cina il 20% in più.
I casi più emblematici per il periodo 2010-2021:
– gli Usa hanno diminuito del 10% le importazioni dalla Cina e hanno aumentato del 28% le esportazioni;
– l’Australia ha aumentato del 39% le importazioni dalla Cina e diminuito del 1% le esportazioni verso la Cina ;
– la Sud Corea ha aumentato le importazioni del 28% e aumentato le esportazioni del 10%;
– l’India ha aumentato le importazioni del 48% e aumentato le esportazioni del 18%;
-per Vietnam e Indonesia il medesimo dato importazioni + 43% esportazioni +19%.
Per le autrici dell’articolo diversificare le catene di approvvigionamento della regione in modo artificioso modificando il mercato con accordi potrebbe rivelarsi quasi impossibile:” L’analisi dei dati relativi ai flussi commerciali bilaterali dal 2010 al 2021 fornisce una prova chiara del fatto che gli obiettivi di diversificazione dell’IPEF vanno contro le tendenze del mercato a lungo termine. I paesi IPEF ora fanno più affidamento su un insieme più ristretto di fonti di importazione e di destinazioni per l’esportazione rispetto a dieci anni fa, e i loro modelli di importazione ed esportazione sono diventati molto meno diversificati e in particolare si evidenzia la tendenza, di quasi tutti i paesi che aderiscono all’IPEF , ad aumentare la dipendenza da fornitori e da acquirenti cinesi”.
In sostanza l’accordo IPEF e la politica di derisking si evidenziano tutte le storture derivanti da fattori economici artificiosi che vorrebbero modificare le tendenze del mercato che accetta solo misure pro e rigetta quelle contro le tendenze del mercato. La mancanza di un accordo di libero scambio fra gli Usa e i 14…o 13 membri che partecipano all’IPEF toglie consistenza e concretezza all’iniziativa. Il disaccoppiamento forzato lo possono attuare in modo più o meno compiuto gli Usa nell’ambito della propria economia supportandola con incentivi e contribuzioni che ne facilitino l’attuazione. Politiche di disaccoppiamento molto meno attuabile da economie che stanno emergendo e da una parte hanno necessità di merci a basso costo e investimenti in infrastrutture che la Cina è disposta a fornire e dall’altro non hanno le risorse finanziarie per supportare politiche artificiose di decouplig della loro economia da quella cinese.
A tutto questo aggiungiamo che il governo cinese sta già attuando politiche che incentivano i consumi interni e che nel breve trasformeranno, con il miliardo e mezzo di abitanti, quello cinese nel più grande mercato economico del mondo a cui le economie asiatiche guardano con grande interesse. E non solo quelle asiatiche ma anche europee.
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