Esteri
Vecchie e nuove faglie dividono la Spagna da Madrid a Barcellona
Nel pieno della crisi del sistema globale quello spagnolo uscito dalle urne il 23 di luglio cerca convulsamente di trovare una soluzione per il nuovo governo che succeda a quello un po’ traballante di Pedro Sanchez.
Di Fulvio Rapanà
Nel pieno della crisi del sistema globale quello spagnolo uscito dalle urne il 23 di luglio cerca convulsamente di trovare una soluzione per il nuovo governo che succeda a quello un po’ traballante di Pedro Sanchez. Qualche numero : il PP (centrodestra) ha vinto le elezioni con 8.089.000 voti e 139 seggi rispetto ai 7.800.000 del PSOE e 121 seggi e 3.000.000 di VOX (destra) e 31 seggi. Per inciso hanno votato il 71% degli aventi diritto in leggero aumento rispetto alla precedente elezioni. In Italia stiamo al 55%. Il re Felipe VI, come da prassi istituzionale ,ha dato mandato al segretario del PP Alberto Feijòo di trovare una maggioranza minima di 178 seggi rispetto ai 350 del Congresso. Dopo più di un mese di trattative Feijòo avendo trovato l’accordo solo con Vox, e non volendo cedere alle richieste dei partiti autonomisti, per un totale di 170 seggi ha dovuto rinunciare.
L’iniziativa è quindi passata a Sanchez che in teoria ha un compito più complicato avendo solo 121 seggi ma le elezioni hanno anche prodotto 59 seggi ai partiti indipendentisti e autonomisti che gli permettono uno spazio politico di manovra maggiore rispetto a quello di Feijòo. Per Sanchez i voti dei partiti autonomisti, che rompono la dicotomia destra sinistra per inserirne una fra nazionalisti centralisti e nazionalisti indipendentisti, non sono a buon prezzo. Trattare con i due maggiori partiti Catalani e con i baschi di EH Bildu, è complicato e reputazionalmente controverso in quanto ambedue hanno ferite politiche e giudiziarie ancora aperte. La sinistra autonomista basca di EH Bildu , fondato nel 2012, sono in parte gli eredi politici del gruppo terroristico ETA e alle elezioni Amministrative del 28 maggio aveva candidato sette persone che in passato erano state condannate per gravi delitti, compresi alcuni omicidi politici. Queste sette persone hanno tutte scontato la loro pena, ma il clamore politico è stato così grave che il partito è stato costretto ad annunciare il ritiro delle loro candidature. Ma se la questione basca è in via risoluzione, la faglia maggiore che taglia la politica e la società spagnola è certamente quella che parte da Barcellona e arriva dritto al cuore della faglia madrilena. In Catalogna vecchie divisioni storiche che si pensavano sopite dallo sviluppo capitalistico e dalla presenza sempre piu’ numerosa di una borghesia imprenditoriale collegata in modo irresolubile all’europa e al resto del mondo ha avuto una improvvisa e incontrollata accellerazione nel 2010. Per sommi capi: alla morte di Franco, Adolfo Suarez, con alle spalle la chiesa conciliare del cardinale Tarrancon,vescovo di Madrid, volendo allentare la morsa iper-nazionalista franchista, concesse nel 1978 un assetto autonomistico a tutte le provincie spagnole diluendo cosi’ su scala nazionale le concessioni e i privilegi date a catalani e baschi. Il referendum per l’autonomia fù approvato in Catalogna con l’89% dei voti favorevoli. Nel 2006 l’autonomia fu ampliata , con l’approvazione da parte del Parlamento Spagnolo a guida socialista, con il riconoscimento della “Nazione Catalana all’interno della nazione Spagnola” e il “Catalano prima lingua amministrativa”. Qualche mese dopo Mariano Rajoy, galiziano come Franco, e leader del centrodestra impugno’ la decisione del parlamento presso la Corte Suprema “potendo il livello di autonomia concessa alla Catalogna minacciare l’unita’ della Spagna”.
Nel 2010 la Corte riconosce le ragioni poste da Rajoy cassando la deliberazione del parlamento del 2006 e annullando il riconoscimento di “nazione e il catalano come prima lingua amministrativa”. La risposta catalana, abbastanza scomposta, fu di fare un salto di qualita’ nelle rivendicazioni passando dall’autonomia al secessionismo indipendentista. Rajoy, in linea con una cultura politica centralista e reazionaria che da Aznar in poi ha pervaso il Pardito Popoular Spagnolo, ha contro risposto togliendo alla Catalogna, nel 2012 , anche l’autonomia fiscale. Alle elezioni del 2017 Il Partito Democratico Europeo Catalano (PDeCAT) di Puigdemont e il blocco autonomista hanno ricevuto, su una piattaforma indipendentista, il 45% dei voti che rappresentano quasi la metà dei voti (85%) incassati al referendum per l’autonomia. Risultava del tutto evidente che dalle urne era uscita una bocciatura della linea indipendentista di Puigdemont su una delega chiara a portare la Catalogna fuori dalla Spagna e fuori da una Europa che istituzionalmente frena le aspirazioni indipendentiste per evitare ulteriori frammentazioni delle sovranita’ continentali che la compongono. La sconfitta definitiva della linea indipendentista è arrivata sia dai grandi gruppi economici e bancari catalani che dal Vaticano. I primi fecero sapere di essere pronti ad andarsene dalla Catalogna se portare la Catalogna fuori dalla Spagna avesse significato anche fuori dall’UE, fuori dall’Euro e quindi senza la protezione della BCE. Il Vaticano, in una dichiarazione arrivata dalla Segreteria di Stato, e quindi da Bergoglio, sosteneva che : “la Santa Sede e’ contraria a ogni decisione unilaterale proveniente da entrambe le posizioni e quindi ad atti di autodeterminazione, che non siano giustificati da un processo di decolonizzazione.E’ inoltre contraria a iniziative che non rispettino la legalita’ costituita”. In altre parole niente benedizione per l’autodichiarazione di indipendenza dei catalani. D’altronde il Vaticano che ha solide radici religiose e civili in Catalogna, conosce perfettamente la situazione , il peso e le qualita’ dei leader autonomisti, ha sempre appoggiato le aspirazioni e le iniziative “autonomiste” della borghesia catalana la piu’ larga possibile ma sempre all’interno della Spagna e senza rotture con Madrid. Le iniziative di Jordi Pujol e Artur Mas, i due precedenti leader alla guida del movimento autonomista, che hanno abilmente lavorato per ottenere una larghissima autonomia economica,fiscale e culturale a cui la Catalogna aspirava da sempre, si sono sempre mossi con l’accorto sostegno della Commissione Episcopale di Spagna. Le conseguenze tragiche delle iniziative politiche, un po’ avventurose, dei leaders indipendentisti messe in atto nel 2017 sono state le pesanti sentenze di condanna da parte del Tribunale Supremo spagnolo, alcuni in carcere dal 2017 mentre Puigdemondt si e’ consegnato alle autorita’ belghe, condannati per il reato di “sedizione”.
Ma la sentenza ha sancito qualcosa di piu’ “politico” negando l’esistenza di un generico “diritto a decidere“ del popolo Catalano. Secondo il Tribunale, il “diritto a decidere” sarebbe una cosa diversa dal “diritto di autodeterminazione dei popoli” riconosciuto dall’ONU, organizzazione che in diverse sue dichiarazioni ha sottolineato “l’illegittimità di applicare questo diritto per rompere l’integrità territoriale di stati sovrani, indipendenti e democratici”, come il caso della Spagna.
Con i leader catalani in carcere o in esilio e con i partiti baschi al cui interno militano ex terroristi non è facile per Sanchez trovare una quadra per formare il governo.
Due sono le richieste che provengono dai partiti autonomisti: una amnistia per i leaders catalani in carcere o in esilio per i fatti del 2017, e la possibilità di poter effettuare un nuovo “referendum con garanzie legali”. La sola apertura delle trattative ha scatenato la reazione della destra aumentando il livello dello scontro nelle piazze e nei tribunali con l’obiettivo, mai negato, di evitare la nascita di un nuovo governo Sanchez PSOE/Autonomisti, e tornare alle urne. La prima conferma è arrivata dal giudice Castellòn dell’ Audienza Nacional che ha rinviato a giudizio per “terrorismo” Puigdemont accusato per la “ possibile relazione fra le proteste che si verificarono all’aeroporto Prat di Barcellona il 14 ottobre 2019 con la morte di un turista francese avvenuta nel medesimo aeroporto ”. Un nesso fra i due fatti che la Procura Generale di Spagna aveva già escluso essendo il decesso avvenuto in un terminal diverso da quello in cui si erano verificati i disordini. Il giudice Castellòn ha indagato Puingdemont per terrorismo in modo da evitare che su un reato minore collegato all’ ordine pubblico il processo possa andare per competenza ad un tribunale catalano. Tutto legittimo ciò che succede nei tribunali in cui alla fine il diritto viene sempre fuori. Molto più preoccupante è quello che sta succedendo nelle piazze e davanti alle sedi del PSOE in tutta la Spagna con manifestanti della destra caricati dalla polizia, saluti romani, inni al franchismo, e gli aderenti della Falange Armata in azione. Ancora di più preoccupante è la posizione del presidente del PPE, Manfred Weber, che ha benedetto l’accordo fra PP e Vox, sempre alla ricerca di nuove formule politiche da utilizzare su scala europea e poter scalzare i socialisti da Bruxelles alle prossime elezioni europee di giugno 2024, dimenticando ancora una volta che i democristiani, andando a destra, sono stati i veri colpevoli negli anni ’20 e ‘30 del secolo scorso dell’ascesa e dell’affermazione del fascismo, del nazismo e del franchismo. Le notizie di queste ultime ore danno per sancito l’accordo fra PSOE con i partiti autonomisti baschi e catalani, non se ne conoscono i termini e i contenuti, ma siamo solo agli inizi di una ennesima puntata della telenovela politica spagnola e ci sarà tempo e modo per tornarci. Per ultimo resta sorprendente la coerenza del cdx spagnolo, di PP/Vox, rispetto a quello italiano, che ha mantenuto fede alla promessa elettorale di non trattare con i partiti autonomisti un più ampio livello di autonomia rispetto a quello ora esistente nella Costituzione spagnola.
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