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Esteri

LE PAROLE CHE IDENTIFICANO LO SCONTRO USA-CINA:IL DECOUPLING

Decoupling declinato e modulato come friendshoring o come delisting o come derisking rappresenta certamente lo strumento più efficace con cui gli Usa intendono a livello globale contrastare l’ascesa economica, tecnologica e militare della Cina. Prima di pensare seriamente a scatenare una guerra mondiale.    

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Credit foto https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/usa-e-cina-la-vera-lotta-e-la-leadership-tecnologica-20874

Di Fulvio Rapanà

L’ineguale sviluppo economico e sociale degli ultimi venti anni fra Occidente e Asia e in particolare fra Usa e Cina; il passaggio cruciale della crisi bancaria del 2008 che ha indebolito il sistema bancario Usa; l’enorme sviluppo della globalizzazione con l’esplosione del commercio internazionale di beni e servizi, cresciuto dal 19% del PIL mondiale nel 1990 al 31% del 2022; l’affermarsi   delle catene globali del valore (GVC)  a tutto vantaggio dell’Asia in generale, e della Cina più di altri; la  forte integrazione (coupling,) fra tutte le economie mondiali, costituiscono  fasi, cicli economici e geopolitici che hanno  ingigantito le capacità della Cina e dell’Asia intera a essere i nuovi protagonisti in una  proiezione globale. Pechino dal 1998 in poi ha moltiplicato la sua forza economica, politica e militare, ha penetrato mercati e territori in Asia e Africa, scalzando quelle potenze ex coloniali per le quali queste zone di influenza rappresentano ancora una parte rilevante del retroterra produttivo, e modificando di fatto le gerarchie delle priorità a cui l’occidente, in fase di relativo declino, è stato chiamato a dare risposte incisive e urgenti

E in effetti l’occidente a guida Usa ha incominciato a rispondere utilizzando la sua indiscutibile superiorità militare.   

Nel 2003, nei preparativi per la Guerra del Golfo, il New York Times dava una interpretazione autentica alla “guerra preventiva al terrorismo”: “Il presidente (Bush J.) non ha alcuna intenzione di consentire a qualunque potenza straniera di recuperare l’enorme vantaggio conquistato dagli Stati Uniti dopo la caduta dell’URSS. Le nostre forze armate saranno forti abbastanza dal dissuadere i potenziali avversari dal perseguire una politica di riarmo (e di sviluppo economico) tale da eguagliare o sorpassare la potenza degli Stati Uniti”. L’invasione rappresentava la determinazione a presidiare un territorio visto come punto nevralgico di passaggio fra Asia e Europa. I “potenziali avversari” erano ovviamente la Cina e il blocco asiatico allora percepito tutto come ostile. 

Gli scarsi risultati raggiunti dalla guerra di Bush J. e  verificato che gli Usa non hanno più la forza economica per sostenere una guerra prolungata su vasta scala hanno consigliato ad Obama   di adottare una politica più prudente di  “rentrenchment”, di ridimensionamento del ruolo e dell’impegno degli Usa nel mondo,   con la precisa strategia di limitare il coinvolgimento Usa negli affari mondiali, di ridurre le spese militari e  persuadere gli alleati ad assumersi una maggiore responsabilità, e costi, per la propria sicurezza.

Trump con il suo unilateralismo ha provato, da solo e spesso contro i suoi alleati, un po’ con il bastone dei dazi un po’ con la carota dell’”Accordo di fase uno” stipulato con la Cina nel gennaio 2020, un riequilibrio, consensuale e contrattato, dell’interscambio commerciale, fra le due economie, più favorevole per gli Usa.Anche questa non è andata bene essendo il disavanzo commerciale Usa ulteriormente aumentato negli anni successivi.

Biden, visti i fallimenti precedenti, in modo multilaterale ha chiamato a raccolta tutto l’occidente e nuovi alleati per attuare una politica di contenimento dell’espansionismo cinese basato sulla separazione, sul disaccoppiamento, un “decoupling”, delle economie occidentali da quella cinese  ed in particolare la rottura delle catene di valore del settore tecnologico . L’amministrazione Biden come un rifinitore di merletti dal 2020 ha iniziato a tagliare i fili che collegano le economie occidentali a quella cinese, un lavoro di fino, fatto settore per settore, azienda per azienda ad iniziare dall’industria dei semiconduttori che rappresentano il cervello dell’economia produttiva e manufatturiera. Gli Usa, meno gli europei, mirano a dividere il mondo in blocchi attuando una “militarizzazione” della propria economia e di quella degli alleati al fine di creare un vuoto tecnologico, economico e commerciale intorno all’economia cinese per renderla meno competitiva. Nel 2023 il “decoupling” nei confronti della Cina esprime una competizione commerciale, tecnologica e strategica con l’intento dichiarato di bloccare, ritardare, condizionare o invertire l’integrazione dell’economia cinese in quella globale presidiando l’intera struttura del commercio mondiale e mettendo nel mirino quelle catene globali del valore (GVC) che rappresentano il carburante che alimenta la spinta tecnologica del Dragone. Un primo risultato concreto è la difficoltà per le aziende tecnologiche occidentali ad operare nel mercato cinese che per quasi tutte rappresenta il loro primo cliente. Un esempio per tutti è Apple che produce gran parte dei suoi prodotti per tramite la Foxcom, una azienda di Taiwan, in Cina. Su pressioni del governo americano Apple ha chiesto a Foxcom e Pegastrom di attuare una politica di “friendshoring”, iniziando una delocalizzazione della produzione e creando nuove catene di approvvigionamento, dalla Cina in paesi amici o potenziali tali come India o Vietnam. Tim Cook, che peraltro è entrato 20 anni fa in Apple proprio per migliorare la capacità produttiva dell’azienda, ha dato una prima valutazione non positiva di questo friendshoring: “solo il 50% delle custodie di alluminio fornite da Tata raggiunge gli standard di precisione stabiliti”. La realtà industriale e produttiva di aziende come la Apple ma anche di tantissime del settore tecnologico è molto più complessa di quanto i politici possano pensare. Apple ci ha messo 20 anni e miliardi di investimenti per arrivare all’attuale altissima capacità produttiva raggiunta negli stabilimenti cinesi di Shenzhen.  A conferma di ciò Apple ha commissionato alla cinese Luxshare di produrre, in Cina, i primi visori avanzatissimi di classe AR (augmented reality).

L’efficacia delle misure messe in atto dai governi occidentali e dagli Usa maggiormente si scontra con la realtà di economie occidentali fatte da aziende private che operano sul mercato improntando la loro attività all’efficienza e alle economie di scala su costi e sistemi produttivi. Per questo le riserve ad una politica di decoupling o di friendshoring sono molte e ben rappresentate anche dall’interno dell’establishment politico e imprenditoriale americano. In un articolo su “Foreign Affairs” si sostiene che “la globalizzazione è andata troppo avanti per poter invertire la rotta, non c’è più modo di separare il mondo in blocchi concorrenti. Le economie americana e cinese sono troppo intrecciate per potersi separare senza creare un caos. Salvo piccoli gradi di isolamento il ritorno alle economie nazionali è impossibile eccetto che in caso di conflitto militare globale”. Un falco come Henry Paulson ex segretario al Tesoro di George Bush J. e ex capo di Goldman Sachs respinge il decoupling “come porta verso un conflitto multidimensionale” e considera una “idea terribile di delisting (espulsione, cancellazione)delle imprese cinesi quotate nelle Borse americane”. L’Economist, rappresentativo della finanza londinese, stima che il decoupling delle catene di forniture dell’hardware tecnologico costerebbe 2.000 miliardi di dollari e 10-15 anni di tempo sia all’economia degli Usa che a quella cinese per ricomporre un sistema di approvvigionamento alternativo.      

Ma in occidente vi sono pareri e tesi altrettanto autorevoli che avallano in qualche modo un decoupling, anche se parziale, fra le due economie. Stephen Roach ex presidente di Morgan Stanley Asia considera “il decoupling come l’esito prevedibile di un modello di eccessiva dipendenza tra gli Usa e la Cina, basato su ambedue presupposti errati: quello della Cina di grande affidamento sui consumatori americani come sostegno esterno del suo modello economico;  e da parte degli Usa con la dipendenza dalla Cina come maggiore finanziatore del proprio debito ma che in qualche modo ritorna negli Usa per il tramite le banche d’affari come capitale da rinvestire”.

In Cina ovviamente il dibattito sulla contesa è molto più soft, i pareri e le tesi sono meno accentuate rispetto all’occidente ma vi sono voci autorevoli che considerano il decoupling più un’arma negoziale che l’inizio di una nuova “guerra fredda” con la divisione del mondo in blocchi contrapposti.  Zhang Weiwei professore all’università Fudan di Shanghai si dice ottimista sulla soluzione della crisi “la reazione americana passerà dalla negazione del riconoscimento della Cina come co-potenza strategica al pari degli Usa, al confronto, alla contrattazione e infine all’accettazione” e ancora “se gli Usa sono l’unica potenza militare globale la Cina è l’unica potenza economica e produttiva globale”.      

La contesa si va articolando in momenti di accelerazioni e di distensione. Nel mese di giugno Blinken, Segretario di Stato, è andato in Cina per incontrare  Xi Jimping e i più alti livelli del governo cinese. E’ seguito il viaggio in Cina di Janet Yellen , Segretario al Tesoro,  che ha attenuato i toni gelidi  tra i due governi usando un linguaggio più morbido per descrivere la strategia economica americana nei confronti della Cina, sconfessando il termine derisking che ha preso piede a Washington e che chiede agli alleati di attuare una politica economica e industriale tesa a diversificare, aumentando le catene di approvvigionamento e il numero dei fornitori,  per evitare il “rischio” di una crisi dell’approvvigionamento che blocchi le attività produttive e manufatturiere. Fornitori chiaramente alternativi, a quelli cinesi, e posizionati in paesi amici o potenzialmente tali.

Due riflessioni ci danno il senso della complicazione che regna su tutta la contesa. La prima viene dal premier indonesiano Muhammad Lutfi: “dieci anni fa non eravamo in grado di produrre un milione di auto, oggi lo siamo, quando pensa che le macchine indonesiane saranno guidate negli Usa”. Una domanda fatta a Biden apparentemente banale ma efficace per smascherare la debolezza della posizione del Presidente a cui questi nuovi potenziali alleati chiedono di aprire il mercato americano alle loro merci, una contropartita che Biden allo stato attuale non può dare in quanto dovrebbe farsi approvare queste aperture dalla camera e al senato con nessuna possibilità di avere un esito positivo.  La seconda riflessione viene da Robert Zoellick, repubblicano, rappresentante commerciale dell’amministrazione Bush J. “Gli storici saranno confusi da questa svolta degli eventi: un presidente degli USA prova la rimodulazione centralizzata del commercio mondiale, mentre un governo comunista avverte che il commercio internazionale deve riflettere le “condizioni di mercato”.

Decoupling declinato e modulato come friendshoring o come delisting o come derisking rappresenta certamente lo strumento più efficace con cui gli Usa intendono a livello globale contrastare l’ascesa economica, tecnologica e militare della Cina. Prima di pensare seriamente a scatenare una guerra mondiale.    

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