Economia & lavoro
L’AUTO ELETTRICA RISVOLTI SOCIALI
L’elettrificazione dei trasporti oltre ai risvolti industriali, progettuali e di produzione dell’energia sta già facendo emergere le conseguenze e gli sviluppi sociali
Di Fluvio Rapanà
L’elettrificazione dei trasporti oltre ai risvolti industriali, progettuali e di produzione dell’energia sta già facendo emergere le conseguenze e gli sviluppi sociali, e quindi politici, che ovviamente non potranno essere lasciati totalmente all’ iniziativa privata e al mercato. Per fare in modo che “la start up della mobilità elettrica” si realizzi velocemente è indispensabile l’intervento dei governi che hanno già posto in essere sia disincentivi, con tasse e balzelli per ridurre la vendita e limitare la circolazione per le auto a scoppio, che incentivi come la rottamazione delle auto a scoppio e la defiscalizzazione per l’acquisto di auto elettriche. L’elettrificazione dei trasporti richiede uno sforzo gigantesco di investimenti nelle alte tecnologie che coinvolge tutti i settori industriali: dall’elettronico all’elettrico, dal chimico alle telecomunicazioni, dalla robotica ai servizi in una generale transizione energetica dell’intera società. Ma questa rivoluzione socialmente non sarà indolore a somma zero. Alberto Bombassei titolare della Brembo spa leader a livello mondiale nel settore dei freni per veicoli sostiene in una intervista sul Sole 24 Ore di gennaio ” con l’auto elettrica è a rischio in Europa un milione di occupati “. Se questa riconversione “verde” o “ecologica” trova un consenso anche elettorale nelle città medio grandi, con l’inquinamento e la congestione urbana percepiti come problemi reali e incombenti , al contrario nei sobborghi e nei centri medio piccoli, in cui il trasporto pubblico incide meno e prevale l’utilizzo dell’auto privata, queste politiche sono anche elettoralmente contrastate. Un caso ravvicinato e ancora sensibile è quello della Francia dove la miccia della protesta dei “gilet gialli” è stata innescata da una tassa sul gasolio, varata per finanziare la riconversione ecologica dell’economia, che ha suscitato la protesta proveniente per la gran parte da sobborghi e piccoli centri . Ma anche in altre parti del mondo il costo della riconversione ecologica ha scarso appeal. Negli USA unitamente alle elezioni di midterm del 2018 si sono effettuati referendum, relativi all’introduzioni di imposte o misure amministrative atte a preservare l’ambiente e/o finanziare lo sviluppo di energie alternative , ebbene sono state tutte respinte anche in quegli stati che hanno visto prevalere il partito democratico, convintamente esposto sull’economia verde. I governi, particolarmente quelli dell’occidente, se vogliono favorire e accelerare questa rivoluzione “sociale” devono puntare più sugli incentivi economici e sulla protezione sociale che però producono buchi di notevole rilevanza nei bilanci degli stati. In UE sono convinti di dover investire risorse economiche molto rilevanti per convincere l’opinione pubblica che l’economia verde , compreso quello dell’auto elettrica, è necessaria oltre che per migliorare l’ambiente e la qualità della vita, anche per modernizzare l’economia e creare nuovi posti di lavoro più qualificati con redditi più alti. Pur di dimensioni ridotte rispetto alla protesta dei gilet gialli si sono verificate in Francia manifestazioni di “gilet verdi” i cui partecipanti, in modo del tutto pacifico e colorato, avevano, rispetto ai “gilet gialli”, una età più giovane, un livello di scolarizzazione superiore e provenivano la quasi totalità da Parigi o grandi città della Francia e della Germania. Ma la transizione ecologica non può essere un fatto di classe e quindi per sganciare le politiche verso una economia verde da una gestione nazionale molto onerosa economicamente ma anche elettoralmente si parla sempre più nelle stanze dei poteri europei di agganciare lo sviluppo dell’economia verde ad una nuova concezione di spesa europea generata da una capacità fiscale autonoma rispetto alla attuale basata sui trasferimenti degli stati membri. Sarebbe un doppio salto in avanti nell’integrazione europea. Dei 300 miliardi che le case automobilistiche spenderanno nei prossimi 10 anni per la produzione e lo sviluppo di modelli di auto elettriche 150 miliardi saranno investiti in Cina con in testa la Volkswagen che sta riducendo l’occupazione in Europa per assumere lì personale altamente qualificato con l’obiettivo di produrre in quel mercato circa 10 milioni di auto elettriche.
Siamo agli inizi della rivoluzione e su tutte le variabili che interagiscono nel grande progetto dell’elettrificazione dei trasporti una costante è l’incertezza: come verrà gestito il declino dell’attuale industria automobilistica; in che modo e a quale prezzo l’industria elettrica riuscirà a riconvertire l’attuale sistema sociale/industriale verso un altro più efficiente più flessibile ma soprattutto più “intelligente”; come le società dell’informazione e delle telecomunicazioni riusciranno a rispondere alle richieste delle industrie automobilistiche ed elettriche di software e sistemi che riescano ad integrarsi e a interagire. I governi assisteranno senza eccepire a colossali scambi di tecnologie fra un paese ed un altro se mai in competizione fra loro, come riusciranno ad ammortizzare i costi sociali della ristrutturazione o della riconversione industriale. Per l’industria italiana l’incertezza è ancora superiore: Stellantis/FCA per ora fa’ accordi strategici con aziende usa o cinesi su elementi della componentistica in attesa di trovare un partner di rilevanti proporzioni con cui fondersi o per una joint venture globale. Gli altri marchi compreso Ferrari o Lamborghini sono troppo piccoli per sviluppare una autonoma tecnologia elettrica e sempre di più dovranno servirsi della componentistica e dei software elettrici ed informatici di altre aziende così come adesso si fa per gli airbag o per l’iniezione elettronica. L’elettrificazione dei trasporti, la transizione energetica e digitale sono i campi dove i grandi player dell’economia EU,USA,Cina, India si contenderanno la leadership mondiale. Sarà una competizione durissima e spietata come agli inizi del ‘900 l’industria dell’auto soppiantò quella del trasporto con cavalli o come nel medesimo periodo l’energia elettrica sostituì quella ad olio. Le estinzioni di massa causati dal petrolio e lo sviluppo della produzione elettrica innescò lo sviluppo di sistemi economici e di produzione che avrebbero migliorato la vita di miliardi di uomini e prodotto un grande salto della società umana, non sono stati indolori e nemmeno questo processo in corso lo sarà. Quando la scienza e la tecnologia passano da uno stato di studio e di sperimentazione ad uno industriale e produttivo, e i protocolli diventano alla portata di tutti, l’intera filiera sociale subisce un cambiamento, che interessa e coinvolge gli stili di vita di tutte le classi sociali , il modo di rapportarsi e confrontarsi fra di loro. Così come il petrolio e il fordismo hanno identificato un secolo di superiorità industriale ed economica degli USA così l’auto elettrica potrebbe sancire , con lo sviluppo dei sistemi produttivi e delle tecnologie asiatiche, il primato di quelle economie , cinese in testa, a livello mondiale. Proprio per questa serie di motivi , di riflessioni e di incognite in occidente quasi tutti i governi, senza esplicitare la contrarietà di fondo, provano a rallentare la velocità con cui è attuata la transizione energetica in generale compresa l’elettrificazione dei trasporti. In Germania il ministro tedesco dell’economia, il verde Robert Habeck, ha annunciato che il governo bloccherà un pacchetto di misure studiato per aumentare l’efficienza energetica dei nuovi edifici costruiti in Germania. “A causa delle difficili condizioni del settore edilizio, legate all’aumento dei tassi d’interesse e all’aumento dei costi provocato dall’inflazione, non è possibile per il momento rendere obbligatoria l’applicazione di standard energetici particolarmente stringenti”. In Irlanda la centrale elettrica della contea di Clare, alimentata a carbone, sarà tenuta aperta fino al 2029, rispetto alla chiusura prevista per il 2025, per assicurare le forniture di energia elettrica necessarie al fabbisogno nazionale. Nel Regno Unito il premier conservatore Rishi Sunak ha annunciato, il 20 settembre, il rinvio del divieto di vendere auto con motore a benzina o diesel dal 2030 al 2035. Ci sarà inoltre più tempo per l’adozione della pompe di calore al posto della caldaie alimentate con il gas, ma saranno rafforzati gli incentivi ai proprietari di casa che scelgono di rinnovare il sistema di riscaldamento. Alla Cop 28 la pdc Giorgia Meloni ha dichiarato: ”Italia sta facendo la sua parte nel processo di decarbonizzazione in modo pragmatico con un approccio che rispetti la neutralità tecnologica libero da radicalismi: se vogliamo essere efficaci serve una sostenibilità ambientale che non comprometta la sfera economica e sociale. Una transizione ecologica non ideologica“. Per il settore auto e dei trasporti in generali le industrie europee sanno perfettamente di essere in ritardo e quindi “si aspettano” un qualche tipo di protezione da parte della Comunità Europea rispetto ai prodotti asiatici. Puntualmente la Von Del Lyen, parlando al Green Deal Summit a Praga, ha chiesto una indagine anti-dumping sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina: “ Si pensi all’industria automobilistica. Le case automobilistiche europee stanno ora investendo pesantemente in nuove linee di veicoli elettrici. Ma allo stesso tempo, i mercati globali sono invasi da auto elettriche cinesi a basso costo. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi statali”. Ma la domanda che tutti ci poniamo a fronte delle variabili e delle incognite che si evidenziano è: se esiste realmente la possibilità di rallentare questa rivoluzione, di rinviarla, di riarticolarla, di adeguarla. La risposta più appropriata è quella che ho letto in un documento pubblicato all’inizio di settembre dagli economisti del “ Centro studi Bruegel”, Jean Pisani-Ferry, Simone Tagliapietra e Georg Zachman che scrivono: “Man mano che i costi della transizione energetica diventano più evidenti e le mutate condizioni politiche ostacolano l’azione sulla crisi climatica, dev’essere chiaro a tutti che l’Unione Europea ha intrapreso una vera e propria rivoluzione industriale, i cui benefici saranno nettamente maggiori dei costi, ma che comporta per larghi strati della nostra società una trasformazione dolorosa. Alcuni beni si svaluteranno, alcuni posti di lavoro saranno eliminati, alcune regioni soffriranno. La competitività sarà messa alla prova e le implicazioni a livello macroeconomico potrebbero essere temporaneamente negative. Un’impresa simile può riuscire, aggiungono Pisani-Ferry, Tagliapietra e Zachman, solo se si salvaguardia l’equità, cioè se a nessuno sarà chiesto di investire oltre le sue possibilità, e se l’Unione Europea riuscirà a imprimere una visione comune senza infrangere la sovranità nazionale”. È sempre la politica con le sue leve e la capacità di decidere resteremo ai vertici dell’imperialismo mondiale o saremo colonizzati dall’Asia. Per noi italiani fortuna che sarà Bruxelles a decidere.
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