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Economia & lavoro

Whirpool: lavoratori contro sindacati

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di FABRIZIO RESTA

Tutto quello che il governo è riuscito a fare è procrastinare la chiusura dello stabilimento di Napoli al 31 ottobre.

Solo pochi mesi che non risolvono certo i problemi dei lavoratori. Dal 31 gennaio sono cominciate una serie di scioperi che andranno avanti senza soluzione di continuità.         A marzo scadono gli ammortizzatori sociali, attualmente utilizzati in tutti gli stabilimenti del gruppo, e l’azienda, in assenza del raggiungimento dei volumi produttivi previsti nell’accordo quadro, sarà costretta a chiederne altri.  I lavoratori sono comprensibilmente frustrati ed incattiviti al punto da arrivare a picchiare un sindacalista Fim, reo di non aver saputo ottenere qualcosa in più dalla trattativa con l’azienda e il MISE. Successivamente si è arrivati alle mani anche con le forze dell’ordine. L’Italia è un paese strano: un’azienda decide di non rispettare gli impegni presi e se la cava impunemente, il governo preso in giro non è in grado di intervenire, i sindacalisti che lottano per rappresentare i legittimi diritti dei lavoratori vengono picchiati. Nessuno vuole ovviamente sottovalutare lo stato d’animo dei lavoratori, la cui rabbia è assolutamente giustificabile ma verrebbe da chiedersi dove può condurre la sola rabbia, privata dei giusti interlocutori.

La colpa di questi comportamenti, tuttavia, non è figlia della vertenza in parola, non solo. È soprattutto figlia del pensiero che ormai si sente in giro ovunque, dai social alle piazze, che ha anche uno slogan: “I sindacati hanno rovinato l’Italia”. Quello che sfugge ai critici è che il Sindacato in Italia non ha mai assunto forme rivoluzionarie (a parte le impennate del ’69, degli anni ’70 e qualche rara eccezione negli anni ’80). La sua educazione è tutta legalitaria. Infatti lo Stato Sociale realizzato negli anni ’70 che fu il prodotto della fase economica di quel periodo fece crescere la credibilità delle scelte politico-sindacali della sinistra riformista (vecchio PCI in testa). L’attuale crisi economica ha però ricondotto tutti con i piedi per terra: è crollato il mito del “capitalismo dal volto umano”, si è disfatto il PCI, è entrato in crisi irreversibile il sindacato che cogestiva col capitale il potere. In questa ottica, aggiungendo che ci troviamo in un periodo storico caratterizzato da una graduale riduzione di quella parte della spesa pubblica destinata ai servizi assistenziali e previdenziali, all’aumento del carico fiscale sui lavoratori, ad un notevole aumento dei disoccupati, precari e delle persone costrette a lavorare in nero e infine, persino all’attacco al diritto di sciopero, che ha trovato il suo culmine nel recente decreto sicurezza,  è normale che i lavoratori italiani siano sempre più disillusi e in particolare nei confronti dei sindacati, caratterizzando una società che sembra sempre più sfibrata e connotata dall’individualismo. A questa situazione si aggiunge la battaglia che in questi anni il M5S, ossia il movimento che ha governato in questi anni, ha combattuto contro i sindacati, togliendo quella legittimità che è così importante per il ruolo che ricoprono. Ricordiamo ancora una dichiarazione di Grillo: “Voglio uno Stato con le palle, eliminiamo i sindacati che sono una struttura vecchia come i partiti. Le aziende devono essere di chi lavora.”

Certo, come dice Landini, i sindacati devono mantenere i nervi saldi e tenere fermo l’obiettivo di salvaguardare la produzione e l’occupazione ma un sindacato, per quanto si impegni, non può fare le veci del governo, istituzione a cui tocca il compito di trovare soluzioni. La maggior parte delle aziende sembra non aver accettato di dover fare i conti con i sindacati, che rappresentano la voce collettiva dei lavoratori; ed è normale se c’è un governo che permette loro di continuare a “ricattare” i lavoratori, minacciando di disinvestire, spostando la produzione dove costa meno.  Le soluzioni ci sono e nel passato si sono trovate. Ricordiamo tra le altre, la vertenza Elettrolux, casa svedese di elettrodomestici, che ha ottenuto 6 milioni di euro in tre anni di sgravi contributivi sui contratti di solidarietà, finanziamenti garantiti dalle regioni (per il caso Whirpool  la Regione Campania ha confermato la disponibilità dei 20 milioni di euro per un eventuale accordo di sviluppo) per gli investimenti e, per lo stabilimento di Porcia, ulteriori sgravi sull’Irap, un incremento dei pezzi prodotti sulle linee basato esclusivamente sulla intensificazione della prestazione lavorativa: quello che si faceva in 8 ore ora si farà in 6. Non erano soluzioni perfette ma per lo meno l’occupazione l’hanno garantita. Nel caso Whirpool, il governo ha un vantaggio in più rispetto al precedente in parola: la multinazionale sta violando un accordo firmato proprio al Ministero dello Sviluppo economico a fine 2018.  No non è attaccando i sindacati che si risolveranno i problemi, perché non sono loro che aggrediscono i lavoratori. La violenza si trova da un’altra parte.



Fonte foto: Repubblica Napoli

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo