Musica & Spettacolo
L’universo complesso del jazz di Kenny Wheeler
Nel 2014 lessi su un periodico nazionale che il trombettista e compositore canadese Kenny Wheeler fosse ridotto sul lastrico ed in fin di vita. Com’era possibile che un genio della musica versasse in condizioni tanto drammatiche?
Di Rosamaria Fumarola
Nel 2014 lessi su un periodico nazionale che il trombettista e compositore canadese Kenny Wheeler fosse in fin di vita, ricoverato assieme alla moglie in un ospedale in Inghilterra e ridotto sul lastrico a causa delle costose cure a cui era costretto a sottoporsi. La notizia era per addetti ai lavori perché se sei un jazzista, anche un grande jazzista, non hai mai la visibilità ed il pubblico delle star del rock.
Ne rimasi profondamente colpita: com’era mai possibile che un talento della tromba e della composizione, un innovatore raffinato come Wheeler fosse costretto a dipendere dalle raccolte fondi dei suoi amici per sopravvivere? Com’era possibile che un artista che aveva creato mondi paralleli e sofisticati di irraggiungibile bellezza non vedesse riconosciuto dal destino il meritato valore e la condizione di genio? Il mio era ovviamente il ragionamento di un’ingenua che credeva che per alcuni non valesse ciò che purtroppo vale per tutti e senz’appello. Una volta a casa cercai i due suoi album a cui più ero legata: quella musica aveva riempito le mie giornate una quindicina di anni prima, quando le mie frequentazioni mi avevano permesso di imbattermi in simili capolavori, quando con un’audiocassetta registravo i pezzi jazz che la radio trasmetteva. Ricordo ancora la rabbia quando un amico mi sottrasse la registrazione di “Music for Large and Small Ensemble” e la gioia poi per l’acquisto del cd! Ricordo anche la tristezza per la solitudine di un certo tipo di bellezza, che amavo ma che condividevo con pochi, bellezza per me irrinunciabile come un vizio e fonte di una gioia profonda, che sapevo bene il mondo non avrebbe mai potuto riservarmi. Wheeler muore il 18 settembre 2014, ad ottantaquattro anni.
Era nato in Canada nel 1930 ma il suono per il quale era diventato famoso era molto inglese, perché in Inghilterra aveva vissuto e lavorato per gran parte della sua esistenza, accanto a musicisti del calibro di Keith Jarrett, Dave Holland, Paul Bley, Steve Coleman, Ralph Towner, Jan Garbarek, per citarne solo pochissimi. Ovviamente non si può parlare di lui senza ricordare gli Azimuth con John Taylor al piano e Norma Winston alla voce. Ma perché interessarsi alla musica di questo musicista? Chi come me lo ha amato non potrebbe che rispondere con una sola parola: raffinatezza, che tuttavia non è mai in lui vuota forma, ma elegante e “pietoso” canto di umanità, anche dolente, consapevole. Ecco io ho ascoltato Wheeler perché mi pareva sapesse raccogliere ogni goccia di sangue e renderla segno elegante, profumo in grado almeno in parte di consolare dal dolore. E poi per la varietà delle sue improvvisazioni, la libertà assoluta del fraseggio, cui faceva sempre da contraltare la solidità del rigore ritmico. Non posso negare che a tutt’oggi il già citato “Music for Large and Small Ensemble” o “Deer Wan” con Garbarek, Abercrombie, Holland, De Jonette, producono in me il senso di una sacralità senz’altro impastata con una componente esistenziale, quella di una larga parte della mia vita anche attuale, ma pure con una estetica, una dimensione alta in grado di riscattare dalle umane bassezze. A tutt’oggi l’ascolto di alcuni autori importanti come Kenny Wheeler sostituisce il vuoto inutile di certe feste comandate, restituendo autenticità al mio tempo.
Per un approccio iniziale con la sua musica consiglio oltre i due album di cui ho già detto, “Angel Song” del 1997 con Lee Konitz, Bill Frisell e Dave Holland e “Where do we go from here?” con John Taylor. Ricordo infine che in “Music for Large and Small Ensemble” doppio cd di cui personalmente amo ogni brano, Wheeler si avvale tra gli altri della collaborazione di Peter Erskine, Norma Winston, John Abercrombie, John Taylor.
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