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Cultura

Cultura umanistica, oggetto del desiderio del potere

Gli indiscussi maestri della Silicon Valley vantano formazioni universitarie perlopiù non scientifiche,  cosa che continua a produrre nel mondo intero grande meraviglia, sebbene siano proprio i ricercatori della Silicon Valley a sottolineare la necessità della centralità del sapere umanistico, il solo ad offrire all’universo tecnologico ed economico competenze per elaborare previsioni migliori  e modelli di analisi realistici. 

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La quotidianità ci dimostra con sempre maggior forza che la tecnologia non è parte di una cultura che integra, ma qualcosa che mira a diventare la sola cultura esistente e dominante. Gli studi umanistici risultano infatti essere in netta minoranza e la cosa è tanto più vera se si guarda al nostro paese, che almeno a partire dal ventennio fascista ha favorito la separazione tra sapere scientifico e sapere umanistico, con l’inevitabile conseguenza che gli scienziati, per evitare intromissioni ideologiche, hanno preferito chiudersi a tutto ciò che non potesse considerarsi frutto  esclusivamente del proprio linguaggio. 

A tutt’oggi le cose non sono cambiate: in Italia prevale la monocultura che orienta la ricerca a fini esclusivamente applicativi. Commetteremmo tuttavia un grossolano errore se ritenessimo che in ogni parte del mondo a prevalere fosse la conoscenza tecnologica e la separazione tra i saperi e questo in ragione delle differenti vicende storico politiche che hanno riguardato ciascuna nazione. Lo sforzo che portò nel secondo dopoguerra le università americane a diventare leaders nelle tecnologie più avanzate, traeva  la sua origine nella guerra fredda e nella competizione con l’Unione Sovietica. Gli scienziati a cui ne fu affidata la programmazione sottolinearono tuttavia ben presto la natura speculativa della ricerca e la necessità di svincolarsi da standards ed esigenze di natura produttiva, che ne avrebbero pregiudicato i risultati. Peraltro incominciò ad apparire evidente come la specializzazione estremizzata delle competenze ritardasse la conoscenza scientifica nel suo complesso. Quanto appena esposto fu la ragione che portò al sistema universitario statunitense attuale, ancora oggi fondato su un duplice percorso: il “major” che riguardava la specializzazione fondamentale dello studente ed il “minor” che poteva riguardare discipline anche molto lontane da quelle contemplate nel major. È dunque questo ciò che ha favorito fenomeni quali quello della Silicon Valley, l’avanguardia che orienta la tecnologia mondiale, i cui indiscussi maestri vantano formazioni universitarie perlopiù non scientifiche,  cosa che continua a produrre nel mondo intero grande meraviglia, sebbene siano proprio i ricercatori della Silicon Valley a sottolineare la necessità della centralità del sapere umanistico, il solo ad offrire all’universo tecnologico ed economico competenze per elaborare previsioni migliori  e modelli di analisi realistici. 

A ciò va aggiunto che alla ricerca scientifica giova il pensiero cosiddetto divergente, quello che muove ad esempio la creatività artistica. Sono gli scienziati stessi a ritenere che alcuni errori della ricerca siano stati determinati dal disinteresse degli operatori nei confronti della filosofia e dalla conseguente incapacità di porsi le domande fondamentali a cui tentare di offrire risposte. 

I grandi fisici della scienza contemporanea hanno sempre cercato di trarre ispirazione da concetti e prospettive più ampie: Einstein, Bohr, Schrodinger (per citarne solo alcuni) erano motivati da problemi filosofici. Creatività ed innovazione sono diffuse nelle regioni ricche di culture differenti e capaci di rompere le convenzioni, producendo un maggiore sviluppo economico, con un conseguente incremento della popolazione e dell’occupazione. Un modello dunque  multidisciplinare fa da interfaccia tra cultura, tecnologia ed economia. Tutto ciò rende attuale un problema antico quale quello della separazione delle conoscenze, ancora in atto ma nato un attimo dopo la nascita dei saperi fondamentali nella Grecia classica e pone l’accento sul beneficio che anche il mondo umanistico trarrebbe dalla cooperazione con quello scientifico, evitando di isterilirsi. Il sapere del mondo arcaico greco era veicolato interamente dall’epica e solo in seguito,  in epoca appunto classica, si sviluppò con Erodoto prima e Tucidide poi la narrazione storica grosso modo per come noi oggi la intendiamo. Ricordare che la conoscenza nasce come unica deve servire a relazionare i saperi specialistici e ad inserirli in un quadro più ampio e certo più complesso,  senza il quale però rischieremmo di non cogliere uno degli elementi fondamentali della vita dell’uomo e cioè quello di pensare e produrre in un sistema di relazioni in grado di fornirgli identità e linfa per il cambiamento e l’adattamento. Non mi pare fuori luogo aggiungere che il sapere umanistico in particolare,  essendo riflessione dell’uomo sul mondo favorisce la conoscenza di sé e la capacità di orientarsi liberamente, cioè misurando ciò che si ritiene davvero di essere con tutto ciò che ci circonda. 

Oggi prevale il convincimento che la tecnologia stia prendendo il posto della cultura. In verità non esiste nulla che possa sostituirsi al tutto che la cultura rappresenta. Chi ritiene di fondare la propria potenza sul dominio della tecnologia non comprende di essere lo strumento di altri, in grado di porsi problemi che la scienza da sola non mi pare riesca ancora a porsi. La cultura umanistica è infatti ancora indispensabile per fare di noi degli uomini liberi.

Rosamaria Fumarola 

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano