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The view from halfway down: il panorama a Metà Strada:

In un precedente articolo si era parlato di Bojack Horseman, serie televisiva conclusasi recentemente e che ha lasciato un solco profondo nel cuore degli spettatori. Non si è però analizzato uno dei passi più cruciali della sesta stagione, che richiama all’unione di poesia, comunicazione e visione onirica.

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In un precedente articolo si era parlato di Bojack Horseman, serie televisiva conclusasi recentemente e che ha lasciato un solco profondo nel cuore degli spettatori. Non si è però analizzato uno dei passi più cruciali della sesta stagione, che richiama all’unione di poesia, comunicazione e visione onirica.

Bojack, ormai deluso dai tanti fallimenti della sua vita, da un passato che continua a tornare malgrado egli tenti di distanziarsene, decide di gettarsi nella piscina di quella che un tempo era la sua casa. Una casa che aveva accolto le più disparate personalità, che aveva visto prima l’acmé di un cavallo nel mondo del cinema e poi il suo declino verso una inesorabile depressione.

Dopo aver rinunciato ai diritti di Horsing Around, trasmissione in cui aveva preso parte e che aveva inaugurato il suo successo negli anni, il cuore di Bojack rimane distrutto e vuoto. Al suo posto se ne sarebbe inaugurata una nuova, più creativa, senza un cavallo di riferimento ma soprattutto senza Bojack.

L’egocentrico cavallo sente che ormai ogni suo punto di riferimento viene a mancare: l’amica Diane è ormai a Chicago, pronta a rifarsi una nuova amorosa e professionale; Princess Caroline apprende, dopo tanti anni, l’importanza di dedicare del tempo a se stessa e alla sua nuova famiglia; Todd ristabilisce, dopo un lungo periodo di incomprensioni, dei rapporti famigliari che a lungo erano mancati; il dolce Mr Peanutbutter per la prima volta nella sua vita impara la bellezza della solitudine e a disintossicarsi dall’urgenza di futili rapporti affettivi basati sul bisogno di avere qualcuno al proprio fianco.

Qual è, in questo scenario di continua evoluzione, il posto di Bojack? La domanda però sembra coinvolgere anche lo spettatore, nella cui vita probabilmente tale interrogativo sarà sorto diverse volte.

Bojack, come spesso accade a molti, rimane senza risposta. Non c’è nessuna via di scampo e la morte sembra l’unica soluzione. Un tuffo, overdose da medicinali, silenzio e buio lo avvolgono.

Nel quindicesimo episodio però, ancora una volta, Bojack è riportato ad un ultimo ma chiarificatore colloquio con quelle che sono state le personalità più rappresentative della sua vita. Si tratta di un confronto obbligatorio, dal quale egli non può sfuggire e che lo porta a guardare la realtà con una luce più razionale ma allo stesso tempo emotiva.

La prima parte, svoltasi in un precario salone dal cui soffitto cade del catrame nero (simbolo che i polmoni di Bojack si stanno riempiendo di acqua e che sta annegando), vede una discussione di carattere filosofico e ontologico sul senso della vita e sul sacrificio. Cosa significa vivere in nome di un ideale? Cosa significa rinunciare ai propri sogni per accontentare i bisogni di un mondo i cui standard sembrano irraggiungibili? I personaggi coinvolti forniscono opinioni disparate, avvolte nel cinismo o altruismo, immolazione e devozione ciascuno verso la propria causa. L’unico a non saper rispondere è un imbarazzato Bojack, la cui vita si è sempre basata su assenze, silenzi, e dolore.

La seconda parte, invece, racchiude il nucleo centrale di tutta la serie. Sulle note di “Don’t stop dancing ‘till the curtain fall” intonate dalla giovane Sarah Lynn, morta tra le braccia di Bojack per overdose di farmaci e alcolici, ecco che i vari personaggi si esibiscono su un palco.

Lungi da ricordare che è proprio su un palco da cabarettista che Bojack comincia la sua carriera, accompagnato dall’amico di sempre Herb Kazaz, ora conduttore di quel piccolo show ed ex direttore di Horsing Around, il luogo in cui il cavallo realizza il senso della fine.

Si apre una porta dinanzi ai personaggi, i quali uno ad uno vi si gettano all’interno dopo essersi esibiti. Colpisce la spontaneità del loro atto, dovuta al fatto che questi ultimi, essendo già morti, non possono sottrarsi ad un destino già compito.

La porta, infatti, rappresenta il punto di non ritorno, la morte definitiva, che ciascuno dei personaggi deve accettare. Non vi è Purgatorio o Paradiso ad attenderli: solo un triste e profondo vuoto nero. In una visione pienamente laica della concezione stessa di morte, sembra quasi di avere a che fare con dei titoli di coda di uno spettacolo dai toni sarcastici ed avvincenti.

Prima che il tutto termini, Butterscotch, padre di Bojack, impersonato da Secretariat, recita una poesia. Si vuole qui aprire una breve parentesi in riferimento alle due figure da poco menzionate.

Butterscotch Horseman, è un cavallo sconsiderato, tavolta volgare, traditore seriale e padre completamente assente nella vita dell’attore. Narcisista, indisciplinato ed alcolizzato, il cavallo ha come fine ultimo quello di portare a termine un romanzo, basato sugli ideali di emancipazione della classe borghese a cui egli appartiene. L’intento iniziale non viene portato a termine a causa della morte del personaggio, le cui vere ragioni restano sconosciute al figlio. In effetti alcuni episodi precedenti riferivano che, a causa di un duello avutosi con un critico letterario, Butterscotch sia morto sbattendo la testa su un sasso, dopo essere inciampato.

La verità si viene a scoprire proprio nell’episodio 15 della sesta stagione: il tanto odiato cavallo, da cui Bojack ha sempre voluto prendere le distanze, è morto suicida dopo essersi gettato da un ponte. Curioso è allora notare come la medesima sorte sia stata riservata a Secretariat.

Atleta sin dall’infanzia, il tanto amato cavallo a seguito di un grave infortunio, diviene impossibilitato nel gareggiare. Il movimento, la corsa, che erano i punti cardini della sua vita, scompaiono definitivamente. Anche per lui il senso di impotenza diviene così forte da spingerlo a compiere un gesto estremo: il suicidio. Vuolsi ricordare come, specie nell’infanzia di un Bojack già infelice e non amato dai suoi parenti, l’impetuoso cavallo rappresentava un grande punto di riferimento. Spesso, in mancanza di affetto da parte dei propri cari, i bambini sono soliti sviluppare modelli di attaccamento a figure sì distanti, ma che rispecchiano le precise caratteristiche di un potenziale genitore: ecco allora giustificata la trasfigurazione della figura paterna in Secretariat.

Sorprendente però è la lettura di una poesia, da parte di quest’ultimo, che rappresenta forse l’atto finale di composizione da parte di Butterscotch, ossia le uniche parole di quel famoso romanzo che egli avrebbe tanto voluto scrivere. Essa è intitolata: “Il panorama a metà strada”, titolo la cui traduzione forse trasfigura il senso inglese del testo.

La poesia descrive con esattezza l’atto del suicidio, e le sensazioni che esso implica. Se in un primo momento ogni speranza sembra perduta, quando il vento accarezza la criniera del cavallo, quando l’asfalto oltre il ponte si avvicina, quando la morte sta per giungere, ecco l’epifania.

La vita sembra riacquistare senso, nasce il desiderio di voler tornare indietro: il cavallo si agita, rimpiange il suo gesto. Ormai, purtroppo, è tardi. Che siano queste le emozioni che i due personaggi centrali hanno provato prima di compiere il loro gesto? Che siano questi gli stati d’animo che affliggono un Bojack ormai prossimo alla morte?

Non c’è tempo per riflettere: Secretariat, che lotta disperatamente per sfuggire alla morte, viene gettato nel baratro ed è lì che Bojack realizza di voler cambiare la direzione del sentiero da lui intrapreso.

Comincia dunque una fuga disperata, mentre il catrame (rappresentazione stessa della morte che incombe) tenta di attirarlo a sé; la chiamata a Diane, ultima persona con cui la coscienza di Bojack vorrebbe parlare, è inutile.

Perché quindi ricordare questa poesia, non riportata in questo articolo ma facilmente reperibile nel testo originale o in traduzione?

Il senso è uno solo: sottolineare la bellezza della vita, l’esigenza dell’esistere solo se in pace con sé stessi. Soprattutto, anche nelle più dissipate avversità, cercare un motivo di sopravvivenza e non lasciare che quella stessa melma nera (rappresentazione della depressione che a lungo ha afflitto il cavallo) ci inglobi. Di cruciale importanza diventa allora quella lotta, furiosa, faticosa, incessante, contro il buio a cui si oppone in un senso religioso e classicheggiante, la luce.

La luce non rappresenta solo la vita, ma l’essenza stessa del vivere, l’incessante e filosofeggiante ricerca di uno scopo nella lunga strada che accompagna il proprio percorso di crescita. E non solo: l’episodio tratta in modo allegorico il rimpianto, la possibilità di poter tornare indietro anche quando, nel proprio conscio, si suppone di aver perso tutto.

L’essere umano è nato per scegliere, ed è sul piano delle scelte morali che la serie verte, nella sottile e fragile distinzione tra giusto e sbagliato. Non c’è però una risposta sempre precisa nei riguardi delle scelte che si compiono, così come non vi è esclusivamente un estremo bianco e uno nero.

Proprio in questo episodio, dal carattere macabro e allegorico, l’autore tende a voler ribadire nei confronti dello spettatore la possibilità di vivere in un mondo di sfumature, fatto dalla non conoscenza (impossibile per antonomasia) della verità, ma della ricerca di un senso. In particolare, e in conclusione all’articolo, il doveroso confronto tra passato e presente, tra vittorie e rimorsi, in una finale valutazione del proprio tracciato, della propria storia nell’anonimo ma ben definito mondo in cui si vive.

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