Cultura
Nove ore in treno da Vitoria a Santiago di Compostela (II)
di IGOR SANTOS
*** Continua con queste righe una serie di tredici puntate per raccontare un viaggio in treno da Vitoria, nei Paesi Baschi, a Santiago di Compostela, nella Galizia, che ripercorre buona parte del nord della penisola iberica ****
Un’ampia curva apre lo sguardo a una enorme distesa di grano (verdissimo, alto tre dita) e ai monti che chiudono questa rada dove è meglio non pensare agli spazi occupati dall’industria che si susseguono senza sosta fino a imboccare le banchine della stazione di Miranda. Qui scendono i primi viaggiatori, pendolari che lavorano a Vitoria-Gasteiz e vivono nella stessa Miranda, gente che non credo riesca a immaginare, fino in fondo, questo loro treno come quello che realmente è, un anacronismo su rotaia. Altre persone salgono, ma nessuna di loro porta valigie o grosse borse, si tratta, probabilmente, di altri pendolari che scenderanno nella capitale della provincia, la città di Burgos.
Eppure questa sosta dilatata che è per me il viaggio stesso, mi consente di osservare quel che resta di una delle stazioni ferroviarie più antiche della Spagna. Se non fosse per la troppa luce di questo marzo, per questo sole così limpido, sembrerebbe di essere arrivati, non si sa per quale sorta di incantesimo, in una remota località della Gran Bretagna. Il merito è tutto del’ingegnere britannico Charles Blacker Vignoles (1793-1875) che decise di costruire in stile vittoriano l’edificio che avrebbe dovuto sopportare i freddi inverni e le calure estive della Castiglia. Lungo una teoria di archi neoromanici si innalza una tettoia di ferro battuto, coperta dal legno spiovente, e il sapore british dell’insieme ricorda come questa stazione sia figlia di una stagione storica fatta di sudore indigeno, caciques locali e borghesia inglese.
Siamo ancora fermi. Da sempre Miranda è stazione di scambio. Al nostro treno se ne unisce un altro, che arriva da Bilbao, o forse siamo noi a unirci al loro. Qui i convogli si scompongono e ricompongono come se fossimo in mano a bambini contenti di giocare con i loro trenini elettrici. Qui si separano i destini di chi andrà verso il centro della Meseta da quelli che attraverseranno parte di essa per inseguire un tramonto condannato ad affogare nell’Atlantico. A Miranda de Ebro, la stazione, i tempi e le rotte ricordano ancora il peso che ha ancora l’Ottocento in queste terre. Un secolo che si esalta in questa piana nel ricordo della folle logica che stava dietro alla rete ferroviaria spagnola, costruita in modo radiale, quando si decise di aggiustare i percorsi dei binari più in base alla volontà delle famiglie potenti di ogni zona che alle logiche della geografia. Qui è facile pensare che la distanza più corta tra due punti sia soltanto un anelito, impossibile a compiersi. Che la geografia non risponda a paesaggi e distanze e che gli atlanti nulla possano davanti ad altri atlanti, più forti, seduti nei loro studi e club, vestendo eleganti doppiopetto dietro a sigari, pince-nez e baffi a manubrio. Le vecchie mappe dei percorsi ferroviari fatti con azulejos affissi nella parete della stazione sottolineano soltanto la vittoria di quei signori sulla scienza. Sono carte sbiadite che testimoniano, a distanza di un secolo e mezzo, la nostra sconfitta.